Lo sviluppo collaborativo esce dal software

In questi giorni è uscita una nuova versione del racconto “La ballata del Corazza”, disponibile sulla pagine delle scritture comunitarie del gruppo Wu Ming, un lavoro scritto a più mani secondo le classiche regole dell’opensource. Partendo dall’idea che “Le storie sono di tutti” e che “La creazione è sempre collettiva”, il gruppo che ha pubblicato, tra gli altri, il romanzo Q, sta portando avanti diversi progetti che prendono in prestito le idee del software libero e le riutilizzano nella letteratura.

Partendo da questa notizia, mi viene da pensare che le idee di uno sviluppo collaborativo si stiano sempre più diffondendo nei più svariati ambiti della vita moderna.
Al di là di questi progetti, che richiamano da vicino anche le licenze in uso nel software libero, in moltissimi altri ambiti si stanno creando comunità di persone che collaborano per fini comuni. Dai siti che raccolgono gli spartiti per chitarra, ai gruppi di professori che insieme stanno scrivendo libri di testo liberi per le scuole, sicuramente la rete informatica mondiale ha permesso il raggruppamento delle persone che hanno gli stessi interessi, rendendo di fatto possibile portare avanti progetti comuni che richiedono lavoro intellettuale.

Se ripensiamo allo scopo primario di Internet, che era quello di aiutare la ricerca universitaria con lo scambio delle conoscenze, vediamo che questa evo/rivo-luzione non è altro che un enorme passo avanti rispetto al progetto iniziale.

Credo inoltre che lo sviluppo collaborativo sia qualcosa di sistemico, una derivazione naturale di quello che ha portato questa enorme libertà di comunicazione. Senza questi mezzi nessuna rivoluzione dello sviluppo sarebbe potuta nascere.
Molto probabilmente si potrebbe dimostrare che vale anche il contrario: senza una rivoluzione dei metodi di sviluppo non si avrebbe nessun ulteriore passo in avanti nelle libertà di comunicazione.

In futuro credo che sempre più ambiti verranno coinvolti da questo modo di fare. Tante ipotesi si potrebbero trovare semplicemente associando i modi classici di lavorare alla diffusione delle conoscenze in rete. Probabilmente nasceranno strutture che permetteranno di condividere i progetti degli architetti, di avere collezioni di disegni ingegneristici da personalizzare per le proprie esigenze.

Io credo che sia solo una questione di tempo. E di modi.

Pensare di adattare le licenze del software libero ad ogni ambito della produzione e della vita non è affatto realistico, come hanno dimostrato alcuni progetti come l’Open Cola.

La trasformazione dei nostri modi di fare avverrà in maniera graduale, vedrà molti progetti fallire per errori di analisi, molti altri avere grande successo anche per serie di coincidenze fortuite. La selezione “naturale” filtrerà solo le idee migliori, e tra qualche decina di anni probabilmente qualche idea che oggi appare futuristica sarà considerata tra le fondamenta delle nuove società democratiche.

La politica ne rimarrà esclusa? Io non credo.

Probabilmente solo i gruppi che riusciranno a trovare un’interfaccia bidirezionale con la società civile, attraverso anche mezzi di comunicazione innovativa, riusciranno a coinvolgere i cittadini anche all’atto del voto.

Probabilmente idee come la democrazia deliberativa non suoneranno così strane, se accompagnate da innovazioni tecnologiche come la firma digitale ed il riconoscimento biometrico delle persone.

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