Month: Febbraio 2004

Nuova Puntata di Report, 29 Febbraio

Gentile telespettatore Le ricordiamo che Report torna in onda domenica 29 febbraio alle ore 23.20, sempre su Raitre, con la prima puntata della nuova serie di inchieste dal titolo:
“PARZIALMENTE SCREMATI”
di PAOLO MONDANI
www.report.rai.it

I risparmiatori italiani sono sul piede di guerra. Dopo i fallimenti dei titoli “Argentina”, Cirio e Parmalat chiedono di essere rimborsati dalle banche e le accusano di averli rassicurati quando invece avrebbero dovuto metterli in allarme, perché tutto il mondo degli analisti e degli esperti conosceva ormai da tempo la fragilità di quei bond. Report comincia dal basso, dai lavoratori Parmalat e Cirio che temono di perdere il posto e che si interrogano sul comportamento di uomini come Tanzi e Cragnotti. Si chiedono come è stato possibile che le banche non vedessero i falsi e i debiti. La Banca d’Italia e l’ABI replicano che non si poteva prevedere un crack come quello della Parmalat, perché i bilanci falsi hanno imbrogliato
pure i banchieri. Mentre Tanzi e Cragnotti sono in carcere, a Milano, Parma, Monza e Roma si indaga per comprendere gli intrecci della finanza creativa e sul comportamento degli istituti bancari. Report ha incontrato anche i titolari dei bond del primo dei “default”, il più pesante, quello argentino. Parmalat ha emesso bond per 8 miliardi di euro, Cirio per 1,2
miliardi ma il “buco” argentino ammonta a 25 miliardi di euro. E qui i risparmiatori chiedono conto nientemeno che al Fondo monetario internazionale, reo a loro dire di aver spinto quello stato a emettere un prestito che non avrebbe mai potuto restituire. E alle banche italiane, esattamente come per il caso Parmalat, si sommano le responsabilità delle principali banche internazionali. Una curiosità: le proprietà Parmalat sono tutte sotto sequestro? Sono state tutte perquisite?

150 Euro per il digitale terrestre

Avevo appena finito di scrivere un articolo che parlava, tra le altre cose, anche della follia del digitale terrestre, che ricevo la notizia tramite Zeus News sul finanziamento per coprire parte delle spese per il decoder.

150 euro di rimborso, per essere precisi.

Una follia, per essere molto precisi, se si pensa che esattamente le stesse cose potrebbero essere fatte tramite parabola, che ha un costo minore rapportato al servizio.

In un momento di crisi economica, si taglia in tutto tranne che nelle cagate.

Meno ricercatori universitari, biblioteche a pagamento ed allo stesso tempo più decoder per poter vedere la chat del grande fratello.
Questa la ricetta del nostro futuro?

Probabilmente non sono fatto per questo tempo.

I servizi su internet, oltre al web

Internet è un modello di trasmissione, anche se ormai nell’immaginario collettivo è associata ai motori di ricerca, all’email ed alle pagine web.

Pertanto, data per scontata una larghezza di banda sufficiente, l’idea di trasmettere audio, video, e quant’altro non è assurda.
Poco spesso, però, dimentichiamo che cosa ha decretato il successo di un mezzo nuovo di comunicazione. La Stampa, la Radio, la Televisione, si sono diffuse così tanto perché erano stati creati degli standard che permettevano a tutti di fruire del servizio, in maniera indipendente da un singolo fornitore. Non è una cosa banale: i caratteri, la dimensione di un libro, l’idea che un libro sia fatto in una certa maniera, la sua grande fruibilità una volta imparato a leggere, hanno decretato il suo successo come portatore di conoscenza.
E così per la Radio: nessuno obbligava ad ascoltare una radio in particolare, o ad acquistare un modello di radio specifico.
Così ora si vuole portare il video in streaming nelle case. L’idea è eccezionale, io attendo con ansia il momento in cui potrò decidere quello che voglio vedere, senza la limitazione dei 6 canali o delle fasce di orario.
Però bisogna fare in modo che ci siano i presupposti per un suo utilizzo di massa. Serve, innanzitutto, un modo standard che mi permetta di vedere nella televisione quello che ricevo, ed al contempo non mi vincoli all’acquisto di un apparecchio di un solo produttore, che tra un anno dovrò certamente cambiare.
Datemi un apparecchio che apra i divx o gli xvid, gli mp3 e gli ogg, le jpg e le png, e trasmettetemi le informazioni in maniera standard, con link e ricerche tramite browser adattati per la televisione.
Datemi la possibilità di scegliere da chi ricevere questo materiale, gratis o a pagamento, qui o là, indipendentemente dal produttore.
Allora, e solo allora, la gente si muoverà all’acquisto, come si è mossa per scaricare gli mp3.

Non è banale pensare che si voglia accedere ad una risorsa solamente quando è semplice e vantaggiosa? I film in streaming a 6 euro non muoveranno nessuno: faccio prima a scendere in strada, noleggiare il dvd, e riportarlo indietro, risparmiando un sacco di fatica ed una sporta di denaro. Il satellite si è diffuso con le schede pirata, non con il costo proibitivo dei suoi inizi. Ed ora gli abbonati sono tanti, e cresceranno ancora, anche a pagamento.

Internet si è evoluta grazie alla presenza di standard, che permettono tuttora una buona fruibilità dei contenuti. Se vogliamo espandere il range di contenuti, inserendo audiovideo, telefonate, allargando la possibilità di scelta tramite l’on-demand, allora dobbiamo attenerci a degli standard che permettano una grande diffusione ed un ampliamento del bacino degli utenti, per poi guadagnare sulle loro richieste.

Per questo l’esperimento di Telecom sarà un fallimento, come dice anche Mantellini, ma non dobbiamo arrenderci: prima o poi qualcuno farà le cose nel verso giusto, e guadagnerà un sacco di soldi.

E basta con l’idea stupida della televisione digitale terrestre. Il satellite c’è già ed offre ancora più caratteristiche, perché investire su una cosuccia così insensata? Ah, dite che i canali del satellite diano troppa scelta e rivoluzionerebbero troppo il settore, mentre il terrestre con le sue limitazioni lasci ancora abbastanza spazio al controllo?
Ops!

Wikipedia, un’altro bene comune da sviluppare.

Questa volta parliamo di Wikipedia, un’enciclopedia che sta crescendo in maniera esponenziale a partire dalla data della sua creazione, il 2001.
L’idea di collaborare per creare una enciclopedia libera è piuttosto vecchia, ma prima della creazione del Wiki, uno strumento studiato appositamente per comporre e pubblicare gli articoli della Wikipedia, il numero degli articoli era veramente scarso.
Il Wiki permette a tutti di scrivere i propri articoli e modificare quello degli altri, e questo ha portato sia un incremento notevole del numero delle voci (nella versione inglese hanno superato i 200’000), sia all’aumento della qualità delle definizioni.
Gli articoli inseriti, infatti, sono continuamente modificati finché non raggiungono un livello che metta d’accordo tutti, e questo garantisce un’imparzialità senza precedenti.

Le enciclopedie proprietarie tremano, e perdono clienti: non possono competere con un lavoro distribuito di migliaia di utenti, né per qualità né per quantità delle voci che vengono inserite.

E con la crescita della Wikipedia inglese, aumentano le visite, e di conseguenza aumentano le voci inserite, creando un circolo virtuoso che fa crescere con un ritmo sempre maggiore il sistema. Questo inoltre spinge alla creazione di wikipedie in tutte le lingue, compreso l’italiano.

Per quanto riguarda la sezione italiana, le voci sono ancora poche (circa 6500), e invito tutti a dare il loro contributo. Il loro numero sta crescendo molto in fretta (nel Maggio del 2003 si contavano circa 1200 articoli), e si spera che continui il suo incremento a vantaggio di tutti.

Scrivere è alla portata di tutti, ora possiamo dare un contributo notevole allo sviluppo di un sistema per la condivisione della conoscenza, dimostrando che è possibile e vantaggioso per tutti.

Una Controversa Direttiva sulla Proprietà Intellettuale

Grazie ad Andrea Glorioso, un comunicato del gruppo IP Justice è stato tradotto in italiano. Si tratta di una direttiva sulla proprietà intellettuale che sta arrivando alla sua definizione finale, e che se verrà introdotta nel modo in cui è stato annunciato, permetterà un maggiore controllo delle major nei confronti dei cittadini europei, permettendo ad esempio la perquisizione con il solo sospetto dell’uso di sistemi di peer to peer.
C’è un problema di fondo di equilibrio tra reato e pene, che si sta cercando risolvere tramite leggi che propongono una situazione di svantaggio per gli utenti finali. Chi utilizza sistemi illegali di riproduzione a scopo commerciale, infatti, in proporzione è molto più tutelato rispetto ai semplici utilizzatori dei sistemi informatici, che potrebbero venire perquisiti e perseguitati sulla base di semplici ipotesi, non comprovate da indagini, magari perpetrate da major che sono state danneggiate dalla persona in questione.

Non credo che le multinazionali del software possano permettersi di denunciare tutti coloro che non rispettino le loro licenze, ma il rischio che si possa indirizzare un sistema legale molto severo verso alcuni determinati soggetti scomodi è reale ed iniquo.

Non si possono creare leggi che non si possono controllare, il rischio è sempre quello di creare un sistema giuridico iniquo, che possa essere utilizzato come strumento di oppressione verso piccole realtà, invece di cercare di svolgere il suo compito di rendere i diritti degli uomini uguali per tutti.

IP Justice Media Release ~ 23 Febbraio 2004

Contatti: Robin D. Gross, Direttore Esecutivo IP Justice
+1 415-553-6261 robin@ipjustice.org

Una Controversa Legge sulla Proprietà Intellettuale

Oggi e domani (23-24 febbraio 2004) la controversa Direttiva dell’Unione Europea per l’Imposizione dei Diritti di proprietà Intellettuale (“European Union Directive for the Enforcement of Intellectual Property Rights”, IPRED) giungerà alle fasi conclusive di dibattito all’interno del Comitato per gli Affari Legali dell’EU (JURI). Nonostante sia stata criticata da gruppi per le libertà civili, da scienziati e da settori dell’industria per il modo estremamente rigido in cui i consumatori vengono trattati dalla direttiva, quest’ultima ha viaggiato all’interno del processo legislativo europeo con una velocità mai vista prima e minaccia di diventare legge dell’UE entro il prossimo mese.

Lo scopo originario della direttiva era l’armonizzazione delle legislazioni che i vari Stati Membri adoperano contro le
falsificazioni commerciali su larga scala. Ma degli accordi di corridoio hanno allargato lo spettro della direttiva fino ad includere qualsiasi violazione – incluse quelle minori, non intenzionali e non a scopo commerciale come nel caso degli utenti di sistemi P2P.

La direttiva crea dei nuovi e potenti strumenti per l’applicazione delle norme relative, strumenti che verranno usati contro il consumatore europeo medio che abbia commesso delle violazioni incidentali e non a scopo commerciale. Per esempio, i dirigenti dell’industria discografica potranno effettuare perquisizioni e sequestri nelle case degli utenti di sistemi P2P e bloccare conti bancari in base al semplice sospetto.

Questa direttiva non causerebbe alcun problema alla maggior parte dei consumatori se essa utilizzasse le proprie “armi nucleari” contro i grandi falsari. Ma la mancanza di proporzionalità nei confronti dei consumatori e delle violazioni a scopo non commerciale crea un grosso problema.

“Il Digital Millenium Copyright Act (DMCA) ha creato simili poteri extragiudiziari e tali poteri hanno permesso all’industria discografica di spaventare ed estorcere denaro a migliaia di consumatori statunitensi che utilizzavano sistemi P2P per scambiarsi brani musicali” – ha detto Robin Gross, avvocato e Direttore Esecutivo di IP Justice, un’organizzazione internazionale per le libertà civili che promuove una legislazione equilibrata in materia di proprietà intellettuale – “L’ampiezza esagerata della direttiva permetterà all’industria discografica di violare i diritti di milioni di consumatori europei per delle violazioni minori”.

Lo scorso autunno una coalizione internazionale di 50 gruppi per le libertà civili hanno inviato una lettera al Comitato per gli Affari legali dell’EU (JURI) invitando quest’ultimo a respingere la proposta di direttiva a causa del danno che che essa avrebbe creato alle libertà civili, alla concorrenza e all’innovazione. La lettera della Campagna per un Ambiente Digitale Aperto (“Campaign for an Open Digital Environment”, CODE) stata tradotta in 9 lingue.

Particolarmente problematico il fatto che questa direttiva ha attraversato l’intero processo legislativo a rotta di collo. Il
Proponente della direttiva (che anche la moglie del CEO di Vivendi), la Sig.ra Janelly Fortou, ha utilizzato il “Fast Reading”, una procedura usata raramente per direttive non controverse in cui vi sia inoltre un accordo unanime sull’oggetto di discussione. Bisognerebbe far sì che questa direttiva, enormemente controversa, sia sottoposta ad una seconda lettura dove le sue disposizioni possano essere adeguatamente dibattute dal pubblico e dal legislatore prima di venire imposte in tutta Europa.

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