Articolo:Influenza aviaria: pandemia, business o entrambi?

Influenza Aviaria - Virus H5N1In uno degli ultimi numeri di Schegge abbiamo parlato di rischio e di percezione del rischio. Dicevamo, ancora lontani dall’allarme di questi ultimi giorni, che le persone si preoccupano per quello che vedono, e solitamente osservano con maggiore attenzione quello che viene fatto loro notare.
L’influenza aviaria ci fornisce, purtroppo, una ulteriore possibilità di riflettere sulle differenze tra la visibilità di un problema e la sua reale consistenza.

I media, d’altra parte, non forniscono un quadro serio della situazione e delle cause che potrebbero scatenare una vera e propria diffusione nell’uomo.
Nei giorni scorsi, infatti, è passata l’informazione errata che per emarginare i rischi della diffusione dell’aviaria è stato introdotto l’obbligo di etichettatura delle carni. In realtà questa nuova regolamentazione ha avuto una gestazione molto più lunga, che deriva non tanto dagli attuali allarmismi, piuttosto dai vantaggi economici che ne derivano per le produzioni locali.
Quella che è una scelta del tutto condivisibile e che se verrà introdotta nella maniera adeguata permetterà una maggiore consapevolezza sulla provenienza del cibo è diventata una pubblicità negativa per le carni avicole.
Quando leggiamo un articolo, dobbiamo sempre chiederci qual’è lo scopo di chi scrive, su quale lato pende tra il fare informazione e la necessità di vendere un prodotto.
Se il prodotto è indipendente dalla qualità dell’informazione, spesso il bisogno di portare a casa uno stipendio prevarica l’etica del comunicatore, e di certo vende di più un falso allarmismo rispetto ad una analisi seria e pacata.

Tornando all’influenza aviaria, bisogna essere consapevoli del fatto che per passare dagli uccelli acquatici, i principali portatori del virus influenzale, all’uomo serve un passaggio intermedio, rappresentato dagli allevamenti dei maiali. In una intervista che ho pubblicato sul mio podcast CopiaCarbone.org∞ Mauro Delogu, ricercatore del Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale dell’Università di Bologna, ci fornisce qualche informazione in più di quelle che ci passano i telegiornali.
Spiega, ad esempio, che si può parlare di pandemia solo quando il virus riesce a mutare ed ad adattarsi particolarmente bene all’uomo, con la possibilità di trasmissione diretta da individuo ad individuo, ed acquisire la possibilità di uccidere le persone, che non possiedono gli anticorpi adatti a difendersi a questa nuova minaccia.
La minaccia di una nuova pandemia non avviene solamente attraverso l’adattamento dei virus animali, ma può anche arrivare dalla mutazione spontanee di virus già presenti nella popolazione umana: attenzione, quindi, all’uso di questo termine.
Mentre ci preoccupiamo troppo di evitare di mangiare la carne di pollo, assolutamente innocua perché sterilizzata, esageriamo nell’acquisto e nell’uso degli antivirali sull’uomo e negli allevamenti, esponendoci a grossi rischi a causa dell’adattamento dei virus alle contromisure preventive.
Questo ovviamente non significa che gli allevamenti intensivi non producano problemi ambientali ed etici, dal momento che gli animali vivono in spazi inferiori ad un foglio A4, ma dal punto di vista della diffusione del virus sono ragionevolmente sicuri.

I produttori dei farmaci e dei vaccini hanno brevettato i loro prodotti, e questo è un altro problema che dovremo affrontare. Se esiste veramente una soluzione al problema, la vendita a costi elevati da parte delle case farmaceutiche dividerà la popolazione mondiale in due grosse classi: chi può permettersi la sicurezza e chi invece non ha i soldi necessari per farlo.
E’ eticamente giusto?
La ricerca privata non è l’unica strada per arrivare ai vaccini, e certamente un governo o una organizzazione sovranazionale avrebbe la capacità ed il dovere di risolvere il problema in maniera tale da garantire un vaccino che sia di pubblico dominio.

Quando una multinazionale può trarre profitto da uno svantaggio diffuso nella popolazione, la nostra preoccupazione dovrebbe accentuarsi notevolmente, nonostante la quasi assoluta mancanza di informazione. Abbiamo già assaggiato più volte le cause del conflitto di interessi tra le major e la popolazione, per esempio nei paesi nei quali è stata privatizzata l’acqua potabile: la gente che ha sete non può permettersi di evitare di acquistare l’acqua per sopravvivere, ed è costretta a pagare più del valore del bene per farlo.

Se qualcuno può trarre grossi vantaggi economici dalla diffusione della pandemia, chi ci assicura che questa non verrà provocata appositamente?

Siamo capaci di inventarci malattie immaginarie, come è accaduto in America con l’ADHD (“Malattia da deficienza di attenzione e iperattività”) che si “cura” con il Metalfenidato (Ritalin) e che crea una dipendenza che spesso sfocia nell’abuso di cocaina, dubito fortemente che eviteremo per questioni etico-morali di favorire la diffusione di un virus dalle potenzialità economiche ancora maggiori.

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