I medici pubblicano i motivi della riflessione sugli inceneritori

Ho ricevuto e pubblico con piacere e preoccupazione un documento inviato dai medici di Forlì, attualmente coinvolti in una raccolta di firme a sostegno della loro tesi contro il nuovo impianto di incenerimento. Accanto al documento del contratto del Comune di Forlì per l’analisi sanitaria a Coriano, recentemente reso pubblico in una conferenza stampa del Clan-Destino, chiude perfettamente il quadro delle attuali conoscenze degli impatti negativi sulla salute dei cittadini.

Altro che lettera a Storace.

FORLI’ E I RIFIUTI: LE RAGIONI DELLA PREOCCUPAZIONE,

I MOTIVI DELLA RIFLESSIONE

Il gruppo di medici che ha promosso la raccolta di firme di colleghi (a tutt’ oggi oltre 260) sull’appello “Per una profonda e responsabile riflessione in relazione al potenziamento degli inceneritori a Forlì” desidera esprimere le motivazioni che l’hanno indotto a questa precisa presa di posizione, motivazioni che restano più che mai valide dopo l’avanzamento dell’iter di autorizzazione degli impianti e nonostante la risposta del Ministero della Salute (1) che, ad un’attenta analisi, riteniamo poco rassicurante.

I motivi sono essenzialmente di tre ordini:

1.. IMPLICAZIONE SULLA SALUTE UMANA DEGLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO:
DATI DI LETTERATURA

2.. MOTIVAZIONI DI ORDINE EPIDEMIOLOGICO IN RELAZIONE AL NOSTRO TERRITORIO

3.. MOTIVAZIONI DI ORDINE “ECO-AMBIENTALE ”

IMPLICAZIONI SULLA SALUTE UMANA DEGLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO

Lo smaltimento dei rifiuti rappresenta uno dei problemi più urgenti ed una delle sfide più importanti per la nostra società e la scelta delle possibili soluzioni è a tutt’oggi motivo di grande dibattito. Dal punto di vista della protezione ambientale il modo migliore per affrontare il problema rifiuti sarebbe evitare di produrli, o, comunque, di portare allo smaltimento solo ciò che resta dopo che tutti i processi di riutilizzo, recupero, riciclo siano esauriti (linee guida OMS/ Comunità Europea) (2, 3).

Termodistruzione e conferimento in discarica rappresentano quindi due opzioni da tenere in considerazione solo per quanto è comunque destinato a residuare: entrambi i metodi non sono scevri da rischi.

Gli impianti di incenerimento, bruciando materiali estremamente vari, emettono un gran numero di sostanze chimiche (ne sono state individuate più di 250), di diverso grado di pericolosità.

Lo stesso processo di combustione trasforma rifiuti relativamente innocui in rifiuti altamente tossici e pericolosi, sotto forma di emissioni gassose, ceneri volatili, ceneri pesanti, che a loro volta richiedono costosi sistemi di inertizzazione e di stoccaggio.

Tra le sostanze emesse vengono segnalati (4) metalli pesanti, composti organici volatili, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili, diossine, furani.

Tra quelle più pericolose troviamo: arsenico, berillio, cadmio, cromo, nickel, mercurio che sono classificati dalla IARC (International Agency Research of Cancer) a livello I come rischio oncogeno documentato in quanto correlati ad aumentato rischio di neoplasie a livello di: polmone, cute, fegato, vescica, rene, colon, prostata.

Fra le altre sostanze emesse si riscontra (4), con pari livello di evidenza, per l’insorgenza di leucemia, il benzene, e con livello di evidenza 2A, quindi inferiore, il tricloroetilene correlato con linfomi non Hodgkin ed epatocarcinoma.

Gli inceneritori rappresentano poi una delle fonti più importanti di inquinamento da diossine (5).

Le diossine sono sostanze liposolubili e persistenti che vengono assunte per il 95% tramite la catena alimentare in quanto si accumulano in cibi quali carne, pesce, latte, latticini – compreso il latte materno – che sembra essere uno dei loro veicoli più importanti. Queste sostanze sono tossiche a dosi infinitesimali – picogrammi, ossia miliardesimi di milligrammi – e proprio l’esposizione prolungata cronica di tipo non professionale a dosi molto basse sembra essere la più pericolosa (6, 7).

Nel 1997 la TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-dioxin) è stata classificata a livello I dalla IARC come cancerogeno certo per l’ uomo e, di recente, questo ruolo è stato ulteriormente riconsiderato e rafforzato (8).

Le diossine, in particolare la più conosciuta, la TCDD, esplicano infatti complessi effetti sulla salute umana in quanto sono in grado di legarsi ad uno specifico recettore nucleare – AhR – presente sia nell’uomo che negli animali, con funzione di fattore di trascrizione. Una volta avvenuto il legame fra TCDD e recettore con la formazione del complesso ARNT/HIF-1B- la trascrizione di numerosi geni – in particolare P4501A1 – viene alterata sia in senso di soppressione che di attivazione, con conseguente turbamento di molteplici funzioni cellulari. Recenti studi di biologia molecolare e tossicologia (9, 10) hanno identificato ulteriori frazioni proteiche coinvolte in questo complesso sistema ed i loro effetti sulla salute umana (11).

Una esposizione di breve durata ad alti livelli di diossine è caratterizzata da tipiche lesioni cutanee ed alterazioni epatiche; viceversa nella esposizione di lunga durata si registrano effetti a carico del sistema immunitario, del sistema nervoso in via di sviluppo, del sistema endocrino e riproduttivo ed effetti cancerogeni e mutageni. In particolare si segnala: ipotiroidismo, diabete, endometriosi, ritardo nello sviluppo puberale, disturbi nel comportamento, prevalenza di nati femmine, parti gemellari e, soprattutto, per esposizione trans placentare, alterazioni al sistema nervoso centrale (12).

Le caratteristiche di persistenza ed accumulo delle diossine – come pure degli Idrocarburi Policiclici Aromatici e dei Poli-Cloro-Bifenili – fanno sì che il rispetto dei limiti di legge delle concentrazioni di queste sostanze nei fumi non garantisca di per sé la salute della popolazione, in particolare di quella infantile. L’OMS, che aveva stabilito nel 1991 la dose massima tollerabile giornaliera a 10 pg/kg peso, ha ridotto questi valori nel 1998 a 1-4 pg/kg peso, e nel 2001 una strategia comunitaria sulle diossine fissa la dose tollerabile giornaliera a 2 pg/kg peso.

Numerosi studi sono stati condotti dagli anni ’80 ad oggi per valutare l’impatto sulla salute umana degli impianti di incenerimento: 46 di questi, condotti fra il 1987 e il 2003 sono recentemente stati oggetto di revisione (4).

Ben 32 studi hanno riguardato la salute della popolazione residente in aree vicine agli impianti, 11 sono stati condotti su lavoratori addetti agli impianti, 2 su popolazione residente e lavoratori ed uno, condotto in Giappone, ha valutato l’impatto sui residenti di alti livelli di diossine ed analoghi presenti in prossimità di un inceneritore.

In 14 studi si è anche ricercata la presenza di biomarcatori e sostanze ad effetto mutageno (policlorodibenzodiossine-dibenzofurani, idrossipirene, tioteri) in liquidi biologici (sangue, urine), riscontrando eccessi significativi in oltre la metà di essi.

I principali effetti indagati sono comunque quelli legati ad un aumentato rischio di neoplasie solide ed ematologiche; in 2/3 degli studi condotti per indagare la relazione col cancro in quanto a mortalità / incidenza / prevalenza si è riscontrata una associazione significativa per neoplasie a carico di: esofago, stomaco, intestino, fegato, sarcomi dei tessuti molli, linfomi Non Hodgkin, neoplasie infantili e soprattutto neoplasie polmonari.

Ulteriori effetti sulla salute umana sono stati oggetto di indagine con riscontro di riduzione della funzionalità respiratoria, riduzione degli ormoni tiroidei nei bambini, problemi di accrescimento e sviluppo sessuale in adolescenti, aumento di malformazioni, parti gemellari, proporzione più alta di nati femmine, eventi sfavorevoli della sfera riproduttiva (aborto spontaneo, basso peso alla nascita, malformazioni, mortalità perinatale), patologie ischemiche e cardiovascolari, dislipidemia, alterazioni del sistema immunitario, allergie.

Nonostante la intuibile complessità di tutti questi studi (tempo di esposizione, migrazione di popolazione, altri fattori concomitanti di rischio, stato socio economico, relativa rarità delle patologie in esame ecc.), la review del 2004 a cui si fa riferimento conclude comunque per un documentato aumento di rischio per linfomi non Hodgkin, sarcomi dei tessuti molli, neoplasie polmonari, neoplasie nell’infanzia per la popolazione residente in prossimità degli impianti di incenerimento.

Riteniamo comunque che, anche se il rischio oncogeno per le emissioni legate agli impianti di incenerimento è certamente quello più documentato, anche le altre implicazioni sulla salute – pur se non così strettamente dimostrabili allo stato attuale dell’arte – non possano essere trascurate, in particolare per quanto riguarda gli effetti legati alle diossine.

MOTIVAZIONI DI ORDINE EPIDEMIOLOGICO IN RELAZIONE AL NOSTRO TERRITORIO

La nostra città si trova collocata ai margini di un’area, quella padana, che è fra le più inquinate del pianeta: le foto dallo spazio del satellite Envisat (13) ci pongono alla stregua di Cina Settentrionale, Belgio, Olanda, Germania Nord Occidentale ecc. e questo per la ben nota circolazione aerea sfavorevole che determina il ristagno degli inquinanti nel nostro territorio.

Il nostro 56° posto per PM10 su 72 città capoluogo di provincia analizzate, conferma senza difficoltà tale preoccupante livello di inquinamento (14).

Un altro altrettanto ben noto triste primato è l’incidenza di neoplasie, che è sì analogo alle restanti aree del Nord Italia, ma evidentemente superiore rispetto alla media nazionale: il tasso standardizzato di incidenza nei maschi nel quinquennio 1993-98 è in Romagna di 558,5 per 100.000 abitanti contro una media nazionale di 536 (5° posto sui 16 registri italiani). Per quanto riguarda il sesso femminile registriamo un’incidenza pari a 446.9 rispetto ad una media nazionale di 425.3 (4° posto in Italia) (15).

Nella nostra città sono già in funzione due impianti di incenerimento: uno per rifiuti urbani ed uno per rifiuti speciali ospedalieri (impianto privato che smaltisce in misura preponderante materiale proveniente da altre province), per un totale fra entrambi di circa 70.000 tonnellate annue.

L’aumento della quantità dei rifiuti che si andrà ad incenerire con il raddoppio dell’impianto privato e la nuova linea avviene in un quartiere, quello di Coriano, che si è andato fortemente urbanizzando negli ultimi 30 anni e conta attualmente una popolazione residente di 25.000 abitanti in un’area di 3.5 km2 in presenza di asilo nido, scuola materna, elementare e media in un raggio massimo di 1 km dagli impianti. Tale quartiere, inoltre, è già sottoposto ad impatto ambientale notevole per la presenza di altri insediamenti industriali, artigianali, autostrada, interporto, futura tangenziale ed ipermercato.

Non dimentichiamo, poi, che in linea d’aria il centro urbano non dista più di 2 km dalla zona considerata e che l’estensione della città di Forlì, sede anche di aeroporto, rientra praticamente nel raggio di ricaduta delle emissioni degli impianti.

MOTIVAZIONI DI ORDINE ECOAMBIENTALE

Le direttive di OMS e Comunità Europea in materia (2, 3) indicano come la riduzione dei rifiuti, il riutilizzo ed il riciclo debbano essere considerati prioritari rispetto a qualunque altro approccio.

L’incenerimento è, tra i metodi in uso, quello che a parità di materiali trattati ha il maggior costo e il maggiore impatto ambientale in quanto, si ribadisce, trasforma rifiuti potenzialmente innocui in materiale tossici e pericolosi che a loro volta richiedono costosi sistemi di inertizzazione e di stoccaggio (le ceneri volatili, pari al 5% dei rifiuti inceneriti, e le ceneri pesanti, che contengono metalli che vengono resi biodisponibili dal trattamento termico).

Non dimentichiamo inoltre che tutti i processi di combustione sottraggono all’ambiente ossigeno, che solo la fotosintesi clorofilliana è in grado di restituire. Tutti questi problemi non esistono con il riuso, il riciclaggio, il compostaggio. A questo riguardo possiamo vedere come sia estremamente varia la quantità media di rifiuti prodotti per persona nel mondo occidentale (3): in Europa la quantità media di rifiuti prodotta pro capite è di 400 Kg/anno, con un minimo in Polonia di 200 Kg/anno. Negli USA dagli 800 kg/anno degli anni ’90, anche in seguito ad una drastica politica di riduzione alla fonte, si è ottenuta una riduzione del 19%.

In Italia, su 103 città capoluoghi di provincia, Forlì è al 93° posto come quantità di rifiuti prodotti con 727 kg/anno e al 52° posto come riciclo con solo il 20% (14).

Un esempio positivo è viceversa Lecco, che, pur essendo in un’area fortemente industrializzata, ha una produzione di rifiuti di 460 kg/anno pro capite e una quota di riciclo di oltre il 48%.

L’esempio di Lecco ci mostra che obiettivi come la riduzione complessiva dei rifiuti prodotti ed una raccolta differenziata attorno al 50% sono assolutamente praticabili, senza dimenticare che in alcune realtà si arriva fino all’80%.

I cittadini forlivesi, quanto a senso civico e senso di responsabilità, non sono certamente da meno di quelli di Lecco ed è noto, dall’esperienza di quelle realtà che hanno raggiunto alti livelli di raccolta differenziata, che essa va di pari passo con una netta riduzione della produzione complessiva dei rifiuti perché in grado di innescare comportamenti virtuosi.

CONCLUSIONI

Nella consapevolezza che il tema dello smaltimento dei rifiuti sia uno dei più importanti e complessi della nostra società e che sia tutt’ora in corso nel mondo la ricerca e la sperimentazione di soluzioni adeguate, sentiamo che bene esprime il nostro pensiero al riguardo, la delibera della municipalità di New York del 3 giugno 2004 che letteralmente recita: “ogni tonnellata di spazzatura portata in discarica o all’ incenerimento è un indice di fallimento o di inefficacia del sistema, così come un difetto nella produzione di un prodotto è indice di fallimento od inefficenza del processo produttivo” (16) e vorremmo che tale affermazione fosse parimenti condivisa dalle nostre istituzioni.

Riteniamo comunque che alcuni principi fondanti debbano guidare le scelte politiche di chi è preposto alla soluzione di problematiche così complesse: in primo luogo l’ascolto, il confronto, la ricerca, l’attenzione verso tutte le possibili alternative.

Le modalità con cui viceversa tale problema è stato affrontato, non solo nella nostra realtà, ma in tutto il Paese, grazie forse a normative (Delibera del CIP del 29.04.92; Decreto Legge Bersani-Ronchi dell’11.11.1999; Decreto Legge n. 387 del 29/12/03) che, solo in Italia, sembra abbiano incentivato la costruzione di tali impianti, rappresentano per noi un ulteriore motivo di forte preoccupazione in quanto non vorremmo che non dimostrati vantaggi economici immediati facessero passare in secondo piano problematiche di ben più ampio respiro.

Riteniamo in definitiva che:

1.. non si possa prescindere dal porre le basi di un futuro sostenibile ricercando e stimolando comportamenti “virtuosi” che portino le persone al massimo rispetto di sé e dell’ambiente e ribadiamo a questo proposito, come medici, il nostro ruolo non solo di “operatori”, ma anche di “educatori ” alla salute

2.. non si possa aggravare il carico di emissioni inquinanti – specie in una realtà territoriale già estremamente delicata per i motivi sopra espressi – con sostanze pericolose destinate ad accumularsi con effetti biologici a lungo termine ancora non totalmente conosciuti (la vicenda amianto dovrebbe pure avere insegnato qualcosa)

3.. sia ancor più doveroso ridurre l’emissione di sostanze a documentato rischio oncogeno, dimostrando coerenza con quanto finalmente si è fatto nei confronti del tabacco

4.. i dati scientifici debbano, a nostro avviso, essere sempre interpretati nel modo più “restrittivo”, facendo valere il sano principio di “precauzione” e di “buon senso”, che ci aspettiamo guidi chi è chiamato a scelte certamente difficili, ma che vorremmo più coraggiose, nella tutela della salute di tutti.

BIBLIOGRAFIA

1.. – Nota del 2 agosto 2005 del Dott. Donato Greco, Direttore Generale della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria in risposta al Dott. Giuseppe Del Barone, Presidente di FNOMCeO – Federazione Nazionale Ordine dei Medici

b.. – WHO, by Howard G et al..- Healthy Villages: a guide for communities and community health, cap.6 , 2002

3.. – OMS, Ufficio regionale Europeo, a cura di Gray P et al. – La comunicazione dei rischi ambientali e per la salute in Europa

4.. – Franchini M, Rial M et al. – Health effects of exposure to waste incinerator emissions:a review of epidemiological studies, Ann. Ist. Sup. Sanità 2004 ; 40(1): 101-115

5.. – Quass U, Fermann M, Broker G – The European dioxin air emission inventory project -final results, Chemosphere 2004 Mar; 54(9):1319-27

6.. – Steenland K, Deddens J – Dioxin: exposure-response analyses and risk assessment, Ind Health, 2003 Jul; 41:175-80

7.. – Watanabe S, Kitamura K-Effects of dioxins on human health: a review, J Epidemiol. 1999 Feb; 9 (1):1-13

8.. – Kyle Steenland, Pier Bertazzi et al. – Dioxin revisited developments since the 1997 IARC classification of dioxin as a human carcinogen, Enviromental Health Perspectives vol 112, N. 13, Sept 2004

9.. – Carlson D, Perdew G – A dinamyc role for the AH receptor in cell signaling? Insights from a diverse group of AH receptor interacting proteins, J Biochem Mol Toxicol 2002, 16:317-325

(10) – Petrulis J, Perdew G – The role of chaperone proteins in the aryl hydrocarbon receptor core complex, 2002 Chem Biol Interact 141:25-40

(11) – Mandal PK – Dioxin:a review of its environmental effects and its aryl hydrocarbon receptor biology, J Comp Phisilog(b) 2005 May;175(4):221-30

(12) – Arisawa K, Takeda H – Background exposure to PCDDs/PCDFs/PCBs and its potential health effectes: a review of epidemiologic studies, J Med Invest 2005 Feb; 52 (1-2):10-21

(13) – Articolo di Alessandro Farruggia pubblicato sul Resto del Carlino (Emilia Romagna) del 15 ottobre 2004 intitolato: “Smog; da noi il top mondiale”

(14) – Legambiente – Ecosistema Ambientale Urbano 2005 – Qualità dell’aria (PM10) pag. 40.

(15) – Il Cancro in Italia, Volume III 1993-1998. Dati Registri Tumori

(16) – Committee of Sanitation and Solid Wast Management. New York Delibera 03-06-2004 “.Every ton of garbage put into a landfill or incinerator is a measure of system failure and inefficiency, just as a defect in the production of a product is a measure of failure or inefficiency”

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