La Pena di Morte Americana è come la cura Di Bella

LA PENA DI MORTE AMERICANA E’ COME LA CURA DI BELLA:
non serve a nulla, non produce nulla, costa moltissimo, ma è utile in politica.

In questi trent’anni di esperimento americano ci sono state quasi 1.000 esecuzioni. Per ottenerle si sono tenuti migliaia di processi che hanno prodotto 7.000 condanne a morte, che a loro volta hanno causato decine di migliaia di appelli statali e federali e decine di migliaia di pronunciamenti di corti superiori. Questi hanno prodotto centinaia di sentenze delle Corti Supreme statali e almeno 200 sentenze della Corte Suprema federale. Queste sentenze sono state accompagnate da dozzine di dissenting e cuncurring opinions e commentate da centinaia di articoli e saggi, mentre migliaia di giuristi hanno perso il sonno per cercare di entrare negli arcani meandri del loro esoterico linguaggio.
In questi trent’anni ci sono stati milioni di udienze preliminari, di mozioni pre-tial, di testimonianze, di analisi di laboratorio e di arringhe, mentre centinaia di migliaia di giudici, giurati, impiegati, testimoni, poliziotti, esperti, medici, psichiatri, avvocati e procuratori vi hanno speso miliardi di ore di lavoro. Sono stati scritti infiniti articoli di giornale e innumerevoli saggi di riviste giuridiche e sono stati pubblicati centinaia di libri e rapporti. Ci sono state dozzine di commissioni e di studi scientifici e si sono tenuti innumerevoli dibattiti, conferenze, seminari e congressi, in cui due generazioni di abolizionisti hanno fatto i capelli bianchi.

Il costo economico di tutto questo immenso casino è enorme, mostruoso, incalcolabile. In Florida ogni cottura sulla sedia elettrica, alla fiamma o al sangue, è costata 24 milioni di dollari. Per fare 10 esecuzioni la California ha speso, dal 1982, 90 milioni di dollari l’anno. Ognuna delle 1.000 esecuzioni è costata al contribuente americano molti milioni di dollari. (vedi il mio “il costo della pena di morte”)

Questa immane catastrofe non ha prodotto alcun risultato (a parte i 1.000 disgraziati uccisi a sangue freddo). Gli stati con la pena di morte non sono più sicuri di quelli senza. Anzi! Di norma succede il contrario e chi ha abolito la pena capitale ha un tasso di omicidio più basso di chi non l’ha fatto.

Se gli Stati Uniti fossero il paese pragmatico di cui si favoleggia avrebbero abolito la pena di morte da molto tempo. Sono invece preda di un’ideologia machista da quattro soldi e questo spiega, con la ferocia e la stupidità della classe media bianca, l’ostinazione con cui si spendono cifre da fantascienza per alcuni sacrifici umani.

Il guaio è che la pena capitale offre una risposta semplice a problemi complicati. Generazioni di politicanti, non solo americani, si sono abituati a usarla come rimedio per tutti i mali: tanto non sono mica i ricchi a essere impiccati. Non per nulla pena capitale significa che chi non ha il capitale si becca la pena. In definitiva la pena di morte è uno strumento con cui sa fa politica e con cui si ottengono cariche politiche.

Non è certamente per combinazione che il ritorno in grande stile del patibolo sia avvenuto in coincidenza con l’affermarsi delle primarie. Questo tanto decantato sistema ha, fra i molti difetti, quello di consentire a qualche “ragazzo meraviglia” di farsi eleggere presentandosi con una piattaforma elettorale semplice ma comprensibile persino agli elettori americani: – impicchiamo i negri -.
Negli anni settanta uomini politici senza scrupoli, capitanati dal presidente Nixon e dall’allora governatore Regan, non si fecero problemi nel trasformare in legislazione le pulsioni animalesche dell’elettore medio. Altri hanno mandato a morte una quantità di persone al solo scopo di mostrarsi “duri col crimine” e farsi eleggere. (vedi il mio “La pena di morte come prodotto finale del sistema politico elettorale americano”)

Ora è il governatore del Massachusetts a rinverdire la tradizione. Costui, incurante della storia e del ridicolo, ha costituito una commissione che gli avrebbe preparato una pena di morte “a prova d’errore”. Ignaro dei veri problemi della pena capitale pensa che il test del DNA sia il nuovo “proiettile d’argento” nelle mani dei procuratori e riduce tutto ad una questione di innocenza o colpevolezza.

Quest’anno però, comunque vadano le cose in Massachusetts, sarà la Virginia ad essere il campo di battaglia della pena di morte. Nel Commonwealth, secondo solo al Texas per numero di esecuzioni, il candidato repubblicano alla carica di governatore sarà l’attuale Procuratore di Stato Jerry Kilgore: un fanatico sostenitore della forca, mentre il candidato democratico sarà l’avvocato Timothy Kaine. Costui, difensore d’ufficio di due giustiziati, è il primo in trent’anni a dichiararsi apertamente contro la pena capitale. Lo scontro sarà epico, ma non perché il democratico possa essere un pericolo per la pena di morte più efficiente d’America: il problema viene da ben più lontano.

Sono ormai più di dieci anni che il Washington Post e Time magazine cercano inutilmente di avere il permesso di effettuare il test del DNA su alcuni reperti riguardanti il caso di Roger Keith Coleman. Coleman, che si proclamò innocente fino all’ultimo, venne mandato al patibolo grazie a prove risibili e il suo caso non ebbe appello, perché il suo avvocato presentò la richiesta in ritardo.
Il povero Coleman è stato ucciso nel 1992, ma il test non avrà un valore puramente accademico, perché un eventuale risultato negativo dimostrerebbe, per la prima volta in più di un secolo, che un innocente è stato ucciso, e questo, anche se l’opinione pubblica lo dà per scontato, avrebbe un impatto devastante sul sistema giudiziario americano. Questo spiega perché il Commonwealth of Virginia si oppone con tanta determinazione all’esecuzione del test.


Dott. Claudio Giusti

COMITATO “3 LUGLIO 1849”
Per i diritti umani, contro la pena di morte
Membro fondatore della World Coalition Against Death Penalty

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