Il Diritto alla vita non è un dovere ad ogni costo

E’ chiaro che qui non si fa il tifo per la morte di nessuno. Però credo che si debba discutere in maniera molto laica sulla vicenda di Eluana Englaro, perché questo caso specifico apre un dibattito sui diritti che è necessario affrontare e generalizzare.

La morte di Eluana poteva essere totalmente indolore e priva di attenzioni mediatiche. Bastava trovare una struttura consenziente: siamo in Italia e le leggi sono semplici indicazioni di massima. Questa battaglia intrapresa dal padre di Eluana è invece una battaglia sul diritto: se la sua intenzione fosse stata quella di disfarsi del problema, avrebbe trovato altre scorciatoie.

16 anni di battaglie legali, chissà quali sofferenze personali e quanti soldi spesi in avvocati.
Pensate a quanto è estenuante un percorso di questo tipo.

La giusta misura sarebbe stata la possibilità per Eluana di scrivere nel proprio testamento biologico la volontà di non rimanere in stato vegetativo permanente (e lo avrebbe fatto). A quel punto, trascorso un tempo ragionevole, i medici avrebbero potuto porre fine alla sua vita con metodi certamente migliori.

Questa possibilità è stata negata anche per le pressioni molto forti nei confronti delle istituzioni chiamate a decidere. Così si è dovuta trovare la scappatoia della sospensione della somministrazione di acqua e cibo.

Ritengo quindi che ci sia un po’ di ipocrisia in tutta la battaglia contro la decisione della cassazione, oggi appesa alle modalità della morte di Eluana. Ognuno dovrebbe poter decidere per sè, nel rispetto dei diritti degli altri, oppure si smetta di parlare di libertà (parola molto utile solo quando ci sono interessi economici).

Un’altra ipocrisia sta nelle spese e nelle doppie misure. Siamo sicuri che la giusta misura sia tenere in vita la Englaro contro la sua volontà, piuttosto che destinare quelle migliaia di euro l’anno per il suo mantenimento a paesi dove con 1€ al giorno un bambino riesce a mangiare?
La vita di Eluana in questo stato è più importante di quella delle persone che muoiono al lavoro per mantenere il nostro stato di vita?
Perché lo stesso accanimento non si vede quando si parla delle missioni di Guerra?

Siamo sicuri che tutto questo sia dovuto veramente all’amore per la vita? Non c’è forse il dubbio che un po’ di questa forza derivi dalla gestione di gran parte delle strutture private nelle quali queste persone sono mantenute?

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