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Ed il rifiuto divenne polvere

In questi anni in Italia abbiamo visto la costruzione di un numero sempre maggiore di inceneritori, spesso chiamati termovalorizzatori per nasconderne l’immagine negativa.
Il fine che porta alla progettazione di questi nuovi impianti è, come al solito, solamente economico.

Il decreto Legislativo del 29 Dicembre 2003, n 387, che aveva il compito di attuare la direttiva europea 2001/77, ha incluso nella lista delle fonti energetiche rinnovabili anche il combustibile da rifiuto, una sorta di selezione della spazzatura ad alto contenuto calorico.
Più semplicemente, visto che in Italia era inesistente una seria programmazione della produzione dell’energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili (come il solare, le biomasse, etc), sono stati inclusi in questa definizione anche gli inceneritori, per avere la possibilità di finanziarli con appositi contributi.

In questo momento, quindi, lo stato spende i nostri soldi per fornire contributi all’incenerimento dei rifiuti (il Cip6), ed investe denaro pubblico per diffondere nella nostra aria polveri sottili ed inquinanti anche cancerogeni.
Questo fatto è gravissimo, e poche persone ne sono a conoscenza: se non ci fossero questi incentivi, non sarebbe economicamente vantaggioso l’incenerimento dei rifiuti.

Come potrete certamente immaginare, se non fosse vantaggioso dal punto di vista meramente lucrativo, le aziende che gestiscono lo smaltimento, le Province, i Comuni e lo Stato stesso sposterebbero la loro attenzione dall’incenerimento alla riduzione dei volumi dei rifiuti ed al potenziamento del recupero di materia con la raccolta differenziata. In aggiunta a tutto questo, per completare il quadro, gli Stati che compongono l’Unione Europea prima o poi interverranno su questo finanziamento pubblico offerto in maniera così contrastante con lo scopo della direttiva. Invece che premiare le fonti rinnovabili, si finanzia l’incenerimento dei rifiuti, e non c’è nessun equilibrio di trattamento economico tra le imprese che operano nei diversi stati dell’Unione.

Il termine stesso utilizzato per questa pratica, termovalorizzazione, è stato coniato da zero e pensato per dare l’idea che un recupero dell’energia sia possibile e vantaggioso. Quando si cerca un nome nuovo per qualcosa che non ne avrebbe bisogno, si sta cercando di aggirare un problema o confondere le idee a qualcuno.
Ora noi compriamo petrolio, produciamo una bottiglia di plastica, la usiamo una volta e la gettiamo, poi la bruciamo. In questo ciclo, lo spreco di energia è immane e l’ultimo passaggio non ci fa recuperare nemmeno il 15% di quella impiegata. Questo non può certamente essere considerato un passaggio positivo, oppure una valorizzazione termica ed energetica.

Capito questo, risulta veramente difficile comprendere alcune politiche di gestione dei rifiuti che non vedono altro che lo smaltimento in discarica dopo la termovalorizzazione. Se queste politiche sono destinate a portare svantaggi anche economici, e certamente non hanno nessun vantaggio per l’ambiente e la salute dei cittadini, non hanno più senso di esistere.
Perché, allora, insistere su questo piano? Probabilmente perché una riduzione della produzione dei rifiuti da destinare allo smaltimento non conviene a chi gestisce questo servizio. Ma questo interesse è palesemente discordante con quello dei cittadini, che devono sapere che esiste una alternativa, già applicata in varie parti d’Italia con successo, che è vantaggiosa sia per le nostre tasche sia per la nostra salute.

Altrove i cittadini pagano per i rifiuti che producono, e questo premia le bollette di chi è più sensibile e diligente. Questo, in una qualsiasi comunità che beneficia dei buoni comportamenti di tutti, dovrebbe essere un obiettivo primario.

Nel terzo millennio abbiamo tutta l’esperienza necessaria per capire come incentivare i buoni comportamenti e disincentivare quelli sbagliati dei cittadini. Purtroppo non si può pensare che l’etica basti a spingere le persone: proprio per questo esistono regole, leggi, leve fiscali ed altri mille strumenti. L’uso di questi strumenti per incentivare fonti di danni seri all’ambiente ed alla salute è criminale, ma con i problemi di informazione che abbiamo nel nostro paese, certi comportamenti vengono celati e diventano normale amministrazione.

Ed il rifiuto diventa polvere e malattia, altro che energia.

A Forlì non esiste un problema per l’elettrosmog. O quasi.

Abbiamo delle leggi nazionali che impongono dei limiti per le emissioni di onde elettromagnetiche da parte delle antenne, i controlli dicono che questi limiti sono ampiamente rispettati, ma questo non significa che la preoccupazione dei cittadini nei confronti delle nuove installazioni sia immotivato.
Prima di tutto bisogna proteggere dalle emissioni gli asili nido e le scuole materne, ma anche i parchi gioco e tutti gli altri luoghi di accesso per l’infanzia, per proteggere i bambini da eventuali rischi, dato che per loro il rischio è più elevato.
Poi bisogna riappropriarsi della capacità di programmazione delle installazioni, per discutere insieme con i cittadini, senza ipocrisie, le zone più adatte per costruire nuove antenne se ne hanno la necessità. Le richieste fatte dai cittadini sono più che legittime: è necessaria una maggiore informazione sulle nuove installazioni, affinché si possa conoscere la programmazione dei gestori e fare proposte di modifica.
E’ semplicemente folle che per legge gestori diversi non possano condividere le stesse antenne, con la naturale conseguenza della moltiplicazione degli impianti. Se questo fosse possibile, allo stato attuale potremmo avere ⅓ o Œ delle antenne esistenti.
La tecnologia UMTS, quella della videocomunicazione, obbliga ad un aumento del numero degli impianti, a causa delle diverse frequenze con le quali lavora.
L’organizzazione mondiale della sanità ad oggi non riesce a fornire informazioni adeguate sull’impatto a lungo termine che questo tipo di onde ha sulla nostra salute, ma esperimenti sui topi hanno dimostrato un aumento dell’incidenza del cancro con l’esposizione ravvicinata ad una antenna trasmittente. Non esiste, in pratica, un limite minimo di emissioni che eviti con certezza problemi per la salute.Sappiamo per certo che l’esposizione ad una fonte di elettrosmog provoca un riscaldamento dei tessuti, e per un telefono cellulare significa un riscaldamento del cervello.
Il cervello è estremamente sensibile alle differenze di temperatura, anche minime, ed anche se esistono studi contrastanti sugli effetti, possiamo pensare con ragionevole certezza che questo riscaldamento non faccia bene alle nostre cellule grigie. Per questo motivo è consigliabile tenere il cellulare lontano dalle orecchie, tramite vivavoce o auricolari, soprattutto quando questo inizia la chiamata (è il momento di maggiore intensità delle onde).
Questo non significa che si debba aver paura solo dei cellulari: le onde elettromagnetiche sono prodotte anche dagli elettrodomestici (televisori, radiosveglie, computer, lavatrici) e dagli elettrodotti, per fare solo qualche esempio importante, quindi dovremmo fare attenzione a tutto quello che incide sull’elettrosmog.
L’impatto emotivo che provoca l’installazione di una antenna è molto più forte a causa della visibilità dell’impianto e dalla preoccupazione verso una tecnologia che è molto recente. A volte capita che non venga accettata una nuova installazione nei pressi di un edificio, per precauzione, ma allo stesso tempo non si hanno problemi ad edificare nuove strutture nei pressi di una antenna, come se la preesistenza di questa modificasse la sua presunta pericolosità.
Dovremmo affrontare questo problema in maniera più rigorosa, mettendo sempre al primo piano la nostra salute, rispetto ai vantaggi economici delle grandi aziende della comunicazione.
Non tutti sanno che al diminuire del segnale, il cellulare aumenta le sue emissioni per migliorare la ricezione. E’ quindi molto peggio avere in tasca un cellulare senza campo (in questi casi è meglio spegnerlo), piuttosto che una antenna a qualche centinaio di metri.
Il limite di legge per le emissioni dei cellulari, infatti, è molto più permissivo rispetto a quello delle antenne: circa 30 V/m contro 6 V/m.
Cerchiamo di agire in maniera più prudente: un bambino di 10 anni non ha bisogno di un telefono cellulare, soprattutto se rappresenta un rischio per la sua salute.
Infine sarebbe opportuno scegliere telefoni che abbiano la minore emissione possibile, anche per dare un segnale al mercato: esiste un metodo per misurarla e viene indicato con l’acronimo SAR, ed ogni produttore è obbligato ad allegare i livelli di emissione al manuale del cellulare.
La paura, da sempre, è un meccanismo di autodifesa eccezionale.
Una maggiore consapevolezza, però, non può che aiutarci a calibrare meglio i nostri timori sui pericoli più importanti.

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74 Mila Euro di contributi per ambiente ed energia dalla Provincia.

Riprendo una notizia di Sesto Potere:

(14/1/2005 13:16) | AMBIENTE ED ENERGIA, DALLA PROVINCIA DI FORLì-CESENA CONTRIBUTI PER 74MILA €
(Sesto Potere) – Forlì – 14 gennaio 2005 – In piena “zona Cesarini” la Provincia di Forlì-Cesena ha previsto nel proprio bilancio 2004 un capitolo di spesa di 74 mila Euro da destinare ad iniziative finalizzate allo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento ad interventi nell’ambiente, nell’energia, nell’edilizia, negli impianti e nell’urbanistica.
Questi contributi vogliono finanziare progetti operativi, per indirizzare verso le tecniche ed i principi della bioarchitettura la costruzione di importanti strutture. Nel caso di Gatteo e Gambettola il contributo dato per la progettazione degli asili permetterà di arrivare alla realizzazione di questi importanti edifici pubblici con i criteri della bioarchitettura, indirizzando con poche migliaia di euro interventi dal costo di milioni che si sarebbero sviluppati con tecniche tradizionali. Analogamente, per promuovere il turismo sostenibile a San Mauro e Cesenatico si finanzierà la progettazione di esperienze pilota del “bagnino sostenibile”, che prevedono la produzione di energia rinnovabile, la raccolta differenziata dei rifiuti, il riuso della acque e la ristrutturazione degli edifici con i criteri della bioedilizia. Questi progetti pilota potranno essere usati come strumenti per calibrare gli aggiornamenti dei Piani Spiaggia di queste importanti località balneari. Anche in questo caso, con un contributo di poche migliaia di Euro, si attiveranno progettazioni che realizzeranno opere per centinaia di migliaia di euro.
Di particolare rilevanza gli interventi finanziati nei comuni montani di Portico di Romagna e Galeata. Si è voluto premiare la volontà e la capacità di progettazione di queste piccole realtà montane nell’ambito di progetti per la produzione di energie rinnovabili (solare, eolico e piccolo idroelettrico) a scopo anche didattico, con una particolare attenzione alla tutela dell’ambiente.
La Provincia vuole dare il suo contributo per creare sul nostro territorio centri di informazione e formazione sui temi dell’ambiente e dell’energia. In questo senso va il finanziamento al Comune di Forlimpopoli per la partenza del Centro dell’Architettura Sostenibile e la volontà di sostenere il CISE della Camera di Commercio per attivare nella nostra provincia una scuola EMAS, la più prestigiosa delle certificazioni ambientali.
Abbiamo voluto approfittare di questa delibera anche per sostenere progetti di mobilità sostenibile per i percorsi sicuri casa scuola di due istituti di Forlì, per promuovere il concetto di sicurezza e mobilità sostenibile partendo dalle scuole.
“Si tratta di interventi volti alla sensibilizzazione ed all’educazione dei cittadini ai temi della sostenibilità urbana, promozioni formative utili ad indirizzare progettisti ed imprese all’approfondimento delle tematiche bioecologiche”, spiega Roberto Riguzzi, assessore alla qualificazione e sviluppo ambientale della Provincia di Forlì-Cesena.
“Con lo stanziamento – prosegue Riguzzi – finanzieremo tredici progetti ed iniziative proposte da Comuni, Istituti scolastici e società private per un investimento complessivo del nostro Ente di 74 mila €. Per il futuro vogliamo coinvolgere anche gli altri comuni e promuovere ulteriori progettazioni nel settore della sostenibilità urbana. ”. ./.

Basta con il TG5

Questo post di Mantellini mi ha fatto riflettere su quanto sia difficile cambiare abitudine.

In casa mia il TG5 era un classico della cena, ed adesso è difficile modificare l’automatismo del cambio di canale di quella fascia oraria.

Chi ha sostituito Mentana, ha ottenuto due successi.

Il primo è rappresentato dalla chiusura di uno spazio di informazione che era abbastanza equilibrato in un momento in cui era importante essere parziali.

In secondo luogo, fatto ancora più importante, ha ottenuto la possibilità di comunicare informazioni parziali ad un pubblico che non guardava già il TG4 o Studio Aperto, e che quindi rappresenta un target importante ed un un netto incremento numerico dei destinatari del messaggio.

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