articolo

Articolo su un giornalino universitario

Scrivo qui in anteprima un articolo che ho scritto per un giornalino universitario. Se avete commenti o correzioni, le accetto molto volentieri! Se volete potete utilizzarlo, modificarlo e riprodurlo, a patto che sia sempre citata la fonte originale (l’articolo, come il resto di questo blog, è rilasciato con licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike ).

Il ruolo dell’informatica nella democrazia partecipativa

Alzi la mano chi non si dichiara democratico. Avessi davanti cento persone, credo che potrei vedere una platea di mani incrociate.

Spesso, però, dietro alle singole parole esiste un significato che scompare, con l’uso quotidiano e non ragionato dei termini.
Basterebbe un dizionario, strumento di sapienza arcana ormai caduto in estremo disuso, per comprendere una cosa molto importante: noi non viviamo e non stiamo appoggiando una vera democrazia. In un momento nel quale si cerca di esportare la democrazia, come fosse un prodotto commerciale, addirittura con l’uso della forza militare, si è totalmente perso il suo significato.
Questo termine deriva da una parola greca, demos, che stava ad indicare il popolo libero, dal quale quindi era escluso il vasto gruppo degli schiavi.
Nel V secolo a.C. , il popolo (demos) aveva la possibilità di partecipare direttamente alla vita politica ed al governo delle cose pubbliche, sulla base dell’idea che un artigiano fosse membro della comunità al pari di un aristocratico.
Democrazia, quindi, significa in primo luogo che il governo degli affari pubblici è esercitato dal popolo. Con il tempo questo sistema si è tramutato, ed il significato originale è nel dizionario alla voce “democrazia diretta”. Democrazia è ora sinonimo di partecipazione politica attraverso un voto, dato ad una classe di politici di professione.
Questo cambiamento, però, non è affatto trascurabile. La democrazia rappresentativa è fallimentare, se l’obbiettivo che la società si pone è un governo che curi con lo stesso impegno gli interessi di tutti i cittadini.

Spostando la responsabilità di governo dai cittadini ad una élite di rappresentanti, si crea un’apatia politica che porta al completo disinteresse della gente alle questioni che li riguardano direttamente. Fatto salvo qualche caso sporadico, il cittadino viene coinvolto solo per le elezioni, momento in cui i candidati di questa élite cercano consensi nelle maniere più insensate possibili. Promettendo progetti irrealizzabili, facendo bassa demagogia, dicendo frasi brevi e senza senso, che vengano trasportate da bocca in bocca, come un assurdo gioco del telefono, per raccogliere voti.
Un cittadino interessato alla vita politica vale un voto, una piazza è un grosso insieme di voti, un programma televisivo rappresenta un potenziale potentissimo di firme.
Ma si può considerare una croce su un foglio, basata su considerazioni da slogan, una partecipazione politica? I cittadini dei nostri cari amati paesi, partecipano alla vita politica? Se chiedete ad una persona qualsiasi, presa a caso, se è un politico, risponderà affermativamente?
Se la risposta a questa serie di domande è sempre no, e siete convinti di quello che state pensando, allora allo stesso tempo state anche affermando che in questo momento non viviamo una vera e propria democrazia. Prima di esportarla con le bombe ed i kalashnikov, quindi, sarà bene sistemarla, rattopparla e darle un senso.
Questo problema è al centro dell’attenzione dei movimenti, che nel mondo ed in Italia stanno analizzando il funzionamento del sistema di gestione politica, per vedere se è proprio nella struttura delle decisioni che risieda il marcio che contamina tutte o quasi le decisioni che vengono portate avanti.
In Italia, in particolare, siamo in una situazione tremenda. Le leggi vengono approvate attraverso il sistema dei decreti, spesso saltando il dialogo imposto dal parlamento, dove comunque non si tratta mai a fondo ed in maniera distaccata di nulla.
Si può tornare indietro? Avere un sistema diverso, più equo? Probabilmente esiste un modo, rappresentato dalle possibilità offerte dai nuovi sistemi di comunicazione e di collaborazione.
Se col tempo sono spariti i luoghi in cui parlare di politica e pensare alle soluzioni, si può creare uno spazio che sia aperto alle discussioni, ventiquattro ore su ventiquattro, con dove ognuno possa entrare secondo le sue necessità ed orari.

Serve un modo per aprire canali di partecipazione politica, dove i pareri dei cittadini che si interessano su alcuni temi possano esprimere le loro proposte e le loro opinioni, ed i “politici di professione” esercitino realmente una rappresentatività che non si limiti al voto. Una politica nuova, partecipativa, è possibile.
Alcuni esperimenti di questo tipo, in rete, sono stati aperti ed utilizzati con i primi successi. La comunità di sostenitori del software libero, ad esempio, ha messo in piedi una proposta per i candidati alle prossime elezioni europee ed amministrative, che include temi come la proprietà intellettuale, la condivisione della conoscenza, l’utilizzo ragionato delle risorse monetarie delle nostre amministrazioni. Attraverso un particolare strumento di pubblicazione su un sito internet, infatti, è possibile per tutti dare il proprio contributo, aggiungendo una frase, ridiscutendo un punto delle proposte, per arrivare in conclusione ad un documento che sia frutto di un lavoro di più persone.

L’idea a mio parere è molto buona ed andrebbe estesa anche nelle varie città: si potrebbe creare un punto d’incontro per le proposte ragionate, su alcuni temi importanti come la pace, la gestione dei rifiuti e delle strutture pubbliche, dove i cittadini possano esprimere i loro pareri, studiare bene il problema (superando le canoniche 5 dei titoli di giornale), vedere documenti ufficiali e scrivere mozioni.

Una volta conclusa una discussione, il testo potrebbe essere presentato ai partiti, e tracciare il percorso che attraverso gli organi istituzionali compie la proposta. L’operato dei partiti e dei rappresentanti politici, quindi, subirebbe un controllo continuo proprio sulle tematiche che i cittadini ritengono più importanti, verrebbe pubblicato un resoconto periodico di quello che i rappresentanti hanno fatto, ed alla fine si garantirebbe un dialogo continuo per una gestione migliore possibile.
L’idea non è irrealizzabile, lo dimostra un esperimento che ho inserito proprio nella mia pagina personale (che trovate all’indirizzo www.alessandroronchi.net/wiki/wiki/tiki-index.php ), dove diverse persone hanno già contribuito con loro proposte ed idee, messe al giudizio critico e costruttivo dei visitatori.

Uno strumento di questo tipo, che per ora rimane un esperimento, tramite le associazioni, i comitati, le scuole e non ultimi gli stessi cittadini, potrebbe essere un catalizzatore di proposte, e se raggiungesse abbastanza consensi, i partiti sarebbero motivati ad incentivare il dialogo.
Se l’idea di mettere in piedi una democrazia diretta, dove i cittadini decidono su tutto senza distinzione di ruoli, è un po’ troppo anacronistica, probabilmente il passaggio verso una partecipazione, richiesta a gran voce da un sacco di persone attraverso movimenti e manifestazioni, è già tra le possibilità di un nostro prossimo futuro.
Un futuro dove chi vuole può decidere come amministrare la sua vita, e contribuire allo stesso tempo ad un miglioramento degli ultimi spazi comuni che ci vengono concessi.

Alessandro Ronchi
https://alessandroronchi.net/

Acquistare un cellulare per telefonare

Su Zeus News oggi esce un articolo molto interessante, sul come scegliere il prossimo cellulare. L’autore consiglia di rivedere l’obiettivo dell’acquisto, in base all’uso che si fa veramente dell’attrezzo: il 90% delle funzioni è totalmente sconosciuto ai proprietari dei nuovi cellulari, per questo motivo conviene comprare un modello che faccia il minimo indispensabile, quello che serve.
Ci sono diversi motivi per fare una scelta di questo tipo, alcuni dei quali vengono citati direttamente nel testo o nei commenti che sono stati inseriti dagli utenti.
– Un cellulare che faccia il minimo, ha meno probabilità di rompersi o diventare obsoleto. Probabilmente servirà un cambio di batterie, ma farà sempre quello che è tenuto a fare, chiamare.
– Un cellulare di fascia bassa ha meno funzioni, e risulta più semplice da utilizzare.
– Un cellulare di fascia bassa costa meno. Spesso non pensiamo a quanto dobbiamo lavorare per acquisire una funzione in più. Se pensassimo ad una settimana di lavoro per scattare fotografie grandi come francobolli, probabilmente non saremmo così motivati a spendere per quel surplus.
– Acquistando cellulari di fascia bassa e smettendo di correre dietro alle novità, si indirizzano i produttori verso un uso più sensato delle tecnologie. Sinceramente preferirei che i progettisti pensassero a come ridurre le radiazioni che arrivano al nostro cervello, piuttosto che sul come infilare un flash nel mio cellulare.
Pensate ad esempio al caso in cui l’introduzione della fotocamera, con le sue modifiche alla struttura dell’oggetto, porti ad una modifica negativa delle onde elettromagnetiche. Pensate che i progettisti sceglierebbero di eliminare questa nuova funzionalità in favore della nostra sicurezza?

Se invece i vincoli progettuali fossero il minimo possibile (essendo le funzioni ridotte), questo tipo di problemi sarebbero meno probabili.
A quando una lista dei cellulari ordinata per quantità di onde che emanano? Ne farei un uso intensivo per l’acquisto del mio prossimo cellulare.

PA Italiana costretta all’open source

E’ fresco l’articolo di Punto-informatico, che titola “PA Italiana costretta all’open source”.

http://punto-informatico.it/p.asp?i=45193

Mi sento in dovere di commentare questo titolo, che sicuramente è una scelta inappropriata rispetto alla notizia che contiene. Il Ministro Stanca, a seguito della conclusione del lavoro di analisi sul software libero, ha dichiarato che sarà obbligatorio per le pubbliche amministrazioni distribuire i documenti almeno in un formato aperto (che tecnicamente significa dalle specifiche disponibili, ed in pratica significa che si possa aprire con i programmi sceglie l’utente, e non quello che sceglie l’amministrazione). Sull’adozione del software libero, le pubbliche amministrazioni avranno libera scelta, che effettueranno controllando vantaggi e svantaggi di soluzioni libere e soluzioni proprietarie.
Questo passo è molto importante, e da sottolineare. Probabilmente l’autore ricordava le polemiche scaturite a seguito dell’idea del Senatore Cortiana, che aveva presentato una proposta di legge che obbligasse le PA ad utilizzare il sofware libero, nel caso in cui questo fosse stato disponibile.

In conclusione, appare chiaro che la proposta della commissione, come abbiamo già scritto sul ilFioreDelCactus, sia un grosso passo avanti per le libertà dell’utente: nessuna costrizione, nessun obbligo, vantaggi per l’utente e le stesse amministrazioni.

Come già avevo scritto e consigliato con una lettera al Senatore Cortiana, l’uso obbligato di formati aperti in un primo tempo slega i cittadini dall’acquisto dei software necessari alla lettura dei documenti delle pubbliche amministrazioni e, cosa ancora più importante, libera le stesse amministrazioni dalla catena dell'”acquisto_per_comunicazione”.
Per essere più chiaro, farò un esempio: se il Comune di Forlì adotta MS Office 2003, il Liceo di Forlì deve acquistare Office 2003 (anche se possiede una licenza di Office 2000), perché altrimenti non riuscirà a leggere le missive del suo comune. Obbligando il comune ad utilizzare formati come l’rtf, l’xml, l’html, il liceo avrà la possibilità di aprire il documento anche senza aggiornare o acquistare nuovo sofware, con un risparmio immediato per lo stato.

Ma questo processo, che inizia con lo stop agli aggiornamenti forsennati, non può che portare all’acquisizione, per comodità, di programmi che utilizzino principalmente formati aperti: Openoffice.org, ad esempio, potrà essere utilizzato già subito in sostituzione di altri applicativi d’ufficio, perché svolge egregiamente il compito di apertura e salvataggio di formati aperti.

Se l’unico vincolo a questi programmi erano per esempio le macro di word, essendo scritte in formati proprietari, ora le PA non potranno più utilizzare le macro (o almeno affiancare a questi documenti, analoghi scritti in altri formati aperti), e così spariranno gli ostacoli che ci hanno impedito di fare le nostre scelte in libertà per quanto riguarda il software.

Una bacchettata a Punto Informatico: va bene utilizzare un titolone per dare risalto alla testata, ma travisare il contenuto degli articoli e delle notizie non è bello e causa inutili incomprensioni

Articolo sul Sito del Cordis sul problema dei brevetti software

Ecco la news, che si trova all’indirizzo:
news

Secondo alcuni manifestanti, la brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici soffocherà l’innovazione
[Data: 2003-08-29]

Il 27 agosto, i sostenitori di una “Europa libera senza brevetti sul software” si sono riuniti davanti al Parlamento europeo per protestare contro la proposta della Commissione sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.

La proposta, che sarà inviata al Parlamento europeo il 1° settembre per la discussione plenaria e la relativa decisione, è stata inizialmente elaborata nell’intento di eliminare le ambiguità nella gestione dei brevetti sui software e le differenze nell’interpretazione dei singoli brevetti da parte degli Stati membri dell’UE.

Da allora, la proposta è passata al vaglio di tre diverse commissioni parlamentari, le quali hanno apportato una serie di emendamenti volti a migliorare la definizione del tipo di invenzioni che saranno regolamentate dalla direttiva. In particolare, è stato modificato il termine “invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici”, affinché non includa i programmi per elaboratore in quanto tali, ma solo i dispositivi come i telefoni cellulari, gli elettrodomestici intelligenti, i dispositivi di comando dei motori, le macchine utensili e le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici.

Tuttavia, gli oppositori della proposta sostengono che gli emendamenti non sono sufficienti e definiscono la direttiva proposta “un lupo travestito da agnello”. Uno dei manifestanti, Peter Gerwinski della Fondazione tedesca per una libera infrastruttura dell’informazione (FFII), ha dichiarato al Notiziario CORDIS che la proposta della Commissione è illusoria. “Gli estensori del documento stanno cercando di dare l’impressione di vietare i brevetti sul software, ma in realtà li stanno introducendo”.

Il dott. Gerwinski ha fatto riferimento alla prima versione della proposta, che forniva la seguente definizione del termine “invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici”: “Un’invenzione la cui esecuzione implica l’uso di un elaboratore, di una rete di elaboratori o di un altro apparecchio programmabile e che presenta una o più caratteristiche che sono realizzate in tutto o in parte per mezzo di uno o più programmi per elaboratore”.

“L’attuale testo della proposta – ha affermato il dott. Gerwinski – è stato modificato affinché tale riferimento risultasse molto ben dissimulato, ma il messaggio è lo stesso: i software sono brevettabili”.

Programmatore di professione, il dott. Gerwinski gestisce una società di sviluppo software in Germania. Egli è fermamente convinto che la proposta della Commissione avrà conseguenze disastrose per l’innovazione e il futuro delle piccole società di software. “Quando la brevettabilità del software sarà introdotta in Europa – così come previsto a lungo termine e come già avviene negli USA – sarò costretto a chiudere la mia azienda e ad andare a lavorare per una grande società”, ha affermato il dott. Gerwinski.

Sebbene la direttiva comunitaria vigente (91/250/CEE) escluda il software dalle norme sulla brevettabilità, ben 30.000 brevetti di software sono già stati concessi dall’Ufficio europeo dei brevetti (UEB). “Gli attuali brevetti sono già sufficienti ad impedirmi di creare tutti i miei software”, spiega il dott. Gerwinski, aggiungendo: “Tecniche di base quali la barra di avanzamento sono già state brevettate, schiacciando le piccole imprese e consentendo alle società più grandi di monopolizzare il mercato”.

Tuttavia, secondo l’eurodeputata Arlene McCarthy della commissione per gli affari giuridici del Parlamento europeo, il progetto di risoluzione legislativa tiene conto delle preoccupazioni relative al potenziale impatto esercitato sulle piccole aziende. In uno degli emendamenti al documento, infatti, si chiede alla Commissione di monitorare l’impatto della legislazione sulle piccole e medie imprese (PMI).

Durante la manifestazione, alcuni gestori di siti web contrari al progetto di legislazione hanno dimostrato le potenziali conseguenze della brevettabilità dei software, impedendo temporaneamente l’accesso ai propri siti web. “Abbiamo voluto dimostrare ciò che accadrebbe se un titolare di brevetto impedisse l’utilizzo di un determinato componente di software: tutti i siti web connessi a quel software si bloccherebbero”, ha spiegato il dott. Gerwinski.

Oltre 150.000 persone hanno espresso dubbi in merito alla proposta e hanno firmato una petizione a favore di “un’Europa libera senza brevetti sui software”. Fra i sostenitori di quest’iniziativa figurano circa 2.000 titolari d’impresa e direttori generali, 2.500 sviluppatori e ingegneri di tutti i settori dell’industria europea dell’informazione e delle telecomunicazioni ed oltre 2.000 scienziati e 180 avvocati. A loro avviso, brevetti e software sono incompatibili e il copyright rappresenta la migliore soluzione per tutelare il lavoro degli autori di software.

“Brevettare il software è come brevettare una cipolla e poi impedirne l’utilizzo nelle ricette”, ha spiegato Tinne Van Der Straeten, attivista dei “Giovani Verdi” belgi.

Quest’esempio, conviene il dott. Gerwinski, dimostra efficacemente quanto sia assurdo l’obiettivo dell’attuale proposta. La FFII, pertanto, chiede agli eurodeputati di esaminare più approfonditamente la legislazione proposta e di leggere i commenti formulati dalla Fondazione prima di esprimere il loro voto il 1° settembre.

Il Pentagono sceglie l’open source

Anche se la causa di questa scelta è stato il pagamento di 500’000 dollari da parte di SuSe Linux per poter testare il proprio prodotto (quindi non proprio un’indagine disinteressata) , la notizia è comunque positiva.

Da vita:

Linux, il sistema operativo interamente gratuito e aggiornabile ha infatti ottenuto l’approvazione delle autorita’ americane per essere installato anche sui computer di agenzie impegnate in attivita
Il Pentagono sceglie l’open source. Linux, il sistema operativo interamente gratuito e aggiornabile ha infatti ottenuto l’approvazione delle autorita’ americane per essere installato anche sui computer di agenzie impegnate in attivita’ sensibili, come quelle del Dipartimento della Difesa e sugli elaboratori di banche e istituzioni finanziarie.
A dare il via libera verso le stanze del potere al primo software per la gestione informatica ampliato e modificato grazie al libero intervento di esperti di tutto il mondo connessi via web, e’ stata la Common Criteria, agenzia governativa statunitense che ha rilasciato al suo indirizzo la certificazione di sicurezza affinche’ il sistema possa essere montato su computer utilizzati in ”missioni critiche” comprese quelle degli agenti segreti e delle istituzioni chiamate a gestire le attivita’ di difesa statunitensi.

Capace di strappare la certificazione per un grado di sicurezza da ”basso a moderato”, il pinguino più famoso al mondo segna un punto a favore nella sua rincorsa a Microsoft e al suo sistema operativo Windows (che detiene una certificazione per un grado di sicurezza da ”moderato ad alto”).

L’approvazione di Linux anche per materie sensibili, non e’ giunta per tutte le versioni del programma: l’unica a raggiungere l’importante risultato e’ quella distribuita dalla societa’ tedecsa SuSe Linux operativa su computer della Ibm, la quale ha pagato 500.000 dollari per testare sulle proprie macchine il sistema operativo. Dopo il via libera della Common Criteria, il software potra’ fare la propria comparsa sugli elaboratori delle banche e su quelli degli istituti di ricerca: in potenza milioni di clienti.

Il link della notizia:
http://www.vita.it/

Torna su