costituzione

Il decreto Salva Italia

Il decreto di Monti è il 5° in ordine di tempo per quest’anno. Siccome le prime 4 ce le siamo già dimenticate, le rielenco:

  1. Decreto Sviluppo 2011
  2. Manovra Correttiva 2011 (40 miliardi)
  3. Manovra Bis di Ferragosto
  4. Legge di Stabilità 2012 (Legge Finanziaria 2012)

Fonte: Fisco e Tasse

Quindi la 5° manovra di Monti, sarà forse essenziale per entità, ma sicuramente non obbligata nelle misure. Scegliere di colpire questo o quel settore è una scelta politica, non tecnica. Volete un esempio? La TAV Torino Lione costa circa 20 miliardi (molto probabilmente sottostimati). I nuovi caccia F35 pare costeranno 16 miliardi di euro. Il costo dell’esenzione dell’ICI sugli immobili della Chiesa circa mezzo miliardo l’anno, mentre 1,5 miliardi l’anno costa l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. La Fornero dice che si possono fare modifiche: non si sa come, visto che il decreto è già stato votato e temporaneamente è già valido e già pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Alla conversione in legge, tra 60 giorni, si tornerà indietro su alcuni tagli già fatti? Inoltre chiedono che eventuali modifiche siano in pareggio sui conti, ma non ci dicono la portata delle singole iniziative, quindi è impossibile.

Detto questo, ho notato che in molti hanno commentato positivamente o negativamente la manovra sulla base di indiscrezioni, sciocchezze, sulla capacità oratoria di Monti o sulle lacrime della Fornero. In pochi, anche vista la complessità, hanno letto il testo del decreto almeno in parte, ed in pochi hanno commentato il metodo utilizzato per salvare l’Italia: un decreto legge.

I decreti legge sono provvisori e vanno convertiti in legge in Parlamento. Ora, si potrebbe discutere sull’urgenza nella quale ci troviamo, ma alcune misure intraprese sono talmente strutturali ed importanti da rendere l’uso del Decreto un precedente pericoloso.

Al di là della sostanza, i decreti vengono sovrautilizzati per evitare il voto del Parlamento. Ma il Parlamento è l’organo Istituzionale che più ci rappresenta, quello che abbiamo votato. La Costituzione mette nelle mani del Parlamento la responsabilità di rappresentarci, e proprio per questo non votiamo direttamente il Presidente del Consiglio.

Ora, anche dando per scontato che Monti ed i suoi Ministri siano la persone più oneste del Mondo, con questo Governo e questo decreto abbiamo visto scavalcare ancora una volta la Costituzione. Possiamo essere d’accordo con le misure o no, ma questo non cambia il fatto che la democrazia abbia delle regole. Quando queste non vengono rispettate, si toglie un pezzo di democrazia. Quando agiva in questo modo Berlusconi in molti, giustamente, lo criticavano. La mano è cambiata, ma quello che era sbagliato prima è sbagliato ancora, con l’aggravante che nessuno ha mai votato per Monti, in Italia.

Del resto la manovra contiene tutte misure assolutamente discutibili: nel senso che si possono accettare, convidere o contestare, ma nessuna delle quali è obbligatoria.

La complessità delle modifiche è tale che l’informazione è assolutamente parziale e gli approfondimenti che ho visto non scalfiscono nemmeno la pelle delle misure. I giudizi seri si fanno conoscendo le materie, lo diamo per scontato oppure giochiamo anche oggi al bar sport, facendo tutti gli allenatori?

Faccio 3 esempi:

– La manovra tocca il numero di consiglieri provinciali. Non tocca il numero dei componenti della Giunta. Così a fronte di un massimo di 10 consiglieri (che vengono eletti direttamente) avremo giunte di 15-20 componenti, nominati dal Presidente provinciale. Questo è molto peggio della soppressione dell’Ente, perché si toglie ai cittadini la possibilità di scegliere quali saranno i loro rappresentanti, aumentando la percentuale minima per l’elezione di un componente e riducendo le capacità di controllo dei cittadini nei confronti dell’amministrazione.

il taglio dell’indicizzazione Istat delle pensioni colpisce in particolar modo le pensioni medio-basse. Vengono salvate quelle fino a 950€. Quelle tra 3 volte e 5 volte il minimo erano già indicizzate al 70%, mentre quelle sopra le 5 volte già prima del decreto erano state de-indicizzate. Quindi la manovra Monti toglie, per il prossimo anno, il 2,6% (previsionale indice Istat per il 2012) a chi prende dai 950€ ai 1443€, l’1,82% dai 1443 ai 2405€, 20€ in tutto a chi prende più di quella cifra. Quindi chi colpisce maggiormente? Non i più ricchi, come ci viene raccontato.

– Nel decreto si cambia la tariffa dei rifiuti. Verrà calcolata sulla base della superficie dell’immobile, e non si dice come faranno i comuni che applicano già la tariffa puntuale (si paga in base ai rifiuti realmente prodotti) e quelli che intendono farlo. In più, la tariffa ricoprirà per una quota “gli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti”. Questo è esattamente il contrario di quello che hanno chiesto i cittadini, per l’acqua, nel referendum votato a Giugno 2011 (non molto tempo fa, ricordate?), che chiedeva l’eliminazione del recupero tramite tariffa del capitale investito.
Significa, in buona sostanza, che se il gestore dei rifiuti decide di costruire un inceneritore, il suo costo andrà in tariffa e noi lo pagheremo anche se nemmeno un chilogrammo di rifiuti ci andrà a finire. Che è l’esatto contrario del principio delle privatizzazioni e del libero mercato: le aziende assumono un rischio d’impresa per fornire un servizio, il cui costo unitario va in concorrenza con quello di altre aziende.

– Con il sistema contributivo non sarebbe necessario mettere limiti minimi di età o di anni di lavoro alla pensione. Se ho versato abbastanza, con un calcolo della aspettativa media di vita ed una rivalutazione del capitale contribuito, potrei andare in pensione anche dopo 10 anni. Ovviamente la misura sarebbe commisurata alla contribuzione, e probabilmente non sarebbe sufficiente, ma dovrebbero lasciare al singolo la decisione, e limitare i vincoli minimi alla fruizione della pensione minima. Ogni altra norma sarebbe solo utile a far cassa, e sarebbe aggiuntivo rispetto ad un sistema esclusivamente previdenziale. Tra l’altro obbligare al lavoro chi potrebbe andare in pensione, limita i posti di lavoro ed accentra la ricchezza su pochi invece di distribuirla: uno che ha guadagnato 4 volte la media potrebbe decidere di andare in pensione dopo 10 anni e prendere 1/4 di quello che prenderebbe lavorando 40 anni, avere comunque un entrata sufficiente per vivere e lasciando spazio ad altri. Non sarebbe questa la libertà? Quella libertà di cui parlano tutti e che tanti partiti mettono nei propri simboli e nei propri discorsi?

Questo per dire che nel merito se ne possono dire tantissime, e sarebbe giusto farlo. Dovrebbero farlo soprattutto i nostri Parlamentari, eventualmente anche dando un limite massimo ai tempi necessari per la discussione. Invece diamo per buono il tutto, alcuni addirittura “senza se e senza ma”.

No assemblea no party

Posto che il problema delle scelte comuni all’interno di un gruppo non è affatto di banale risoluzione, l’ultima discussione dentro al partito di Grillo è interessante non tanto per aumentare la portata della polemica, ma per capire quali decisioni prenderà la base in risposta a quelle imposte dall’alto.

Grillo dice che la sostanza dei partiti è

L’organizzazione in correnti, le strutture fisiche, i riferimenti territoriali, i pacchetti di voti, le assemblee nazionali, regionali, provinciali che propongono le liste degli eletti, che prendono decisioni per i cittadini, i leader e i leaderini, il finanziamento pubblico.

Lasciando stare gli elementi demagogici che servono a trainare concetti che non lo sono, vorrei analizzare brevemente la critica di Grillo.
Ovviamente il difetto dei partiti non è nella parola con la quale si indicano, ma, secondo lui, in come sono organizzati: assemblee nazionali, regionali, provinciali che decidono le liste dei candidati.

Ora bisognerebbe fare un passo indietro e ricordarsi chi è che ha deciso i candidati di Grillo. Di certo non i cittadini tramite assemblee pubbliche, ma nella migliore delle ipotesi i membri del gruppo locale, nella peggiore qualcun altro a livello nazionale chiedendone al limite una riconferma del gruppo locale.

E’ fisiologico che sia così: i cittadini non sono tutti attivisti del gruppo, e se ci fossero elezioni pubbliche verrebbero elette persone scelte da chi poi vota qualcun altro. Ma in assenza di assemblee che decidano chi candidare e le decisioni da intraprendere, con regole molto chiare e trasparenti, manca la democrazia interna al gruppo. Le decisioni non potranno che essere eterodirette, antidemocratiche, imposte dall’alto. E le mossette alla “rimetto agli elettori il mandato”, fatte con la sicurezza che le dimissioni non saranno possibili, sono solo un modo furbetto per imporre le proprie scelte pennellandole di finta apertura democratica.

La nostra Costituzione è stata scritta da persone che sapevano cosa significava la dittatura ed avevano toccato con mano che le nuove dittature si potevano costruire con il consenso. Nell’articolo 49, non casualmente, parla di “metodo democratico” come vincolo per l’organizzazione dei partiti che concorrono a determinare la politica nazionale.

Non c’è una vera democrazia senza che questa entri anche nelle organizzazioni che preparano le liste da candidare. Perché se in un menù ci sono solo portate alle quali siamo allergici, non potremo scegliere altro. Non è un difetto solo del partito di Grillo, ma di tutti i partiti che si reggono esclusivamente sulla figura di un leader.

Io mi auguro quindi che la parte dei grillini che comprende questa necessità aumenti e prevalga sul resto, che seguirebbe le istruzioni del capo qualunque esse siano, perché la democrazia è una cosa complicata e difficile, ma necessaria. In più, non basta invocarla, ma bisogna praticarla, ed oggi ci sono nuovi strumenti a disposizione per allargare la partecipazione.

A volte il rischio è che le scelte comuni non siano quelle volute dal capo, ma questo è il motivo e lo scopo per il quale si spende così tanto tempo e così tanti sforzi per mantenerla viva.

Altrimenti l’equivalente sarebbe dare in mano al capo lo scettro, risparmiando anche quattrini e tempo che oggi dedichiamo alle elezioni.

Meritocrazia.


Meritocrazia.
Tutti concordano, a parole, sul fatto che serva affidarsi alle persone migliori per riportare il treno del Paese sui binari giusti.

La Costituzione è molto chiara.
Per garantire questo principio ed ostacolare i clientelismi, le raccomandazioni e la corruzione, i padri della nostra Democrazia scelsero di scrivere in modo inequivocabile l’articolo 97: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Il concorso pubblico potrà avere i suoi difetti, ma è l’unico strumento che garantisce una selezione di merito, se organizzato secondo regole rigide ed assoluta trasparenza.

Pochi sanno che in Italia esistono decine di migliaia di persone, già vincitrici o idonee, che non vengono chiamate per diverse ragioni: il blocco delle assunzioni, la burocrazia e la volontà di selezionare diversamente il personale.
Forse la più importante è proprio l’ultima.

Praticamente tutte le amministrazioni pubbliche usano contratti precari per una fetta percentuale sempre crescente di dipendenti, scavalcando tranquillamente la nostra carta costituzionale.

I motivi di questa scelta non sono sempre di carattere economico.
Altrimenti non vedremmo casi in cui nonostante autorizzazioni già firmate, denaro disponibile e già destinato e decine di passaggi burocratici adempiuti, i vincitori e gli idonei rimangono comunque in attesa della raccomandata.

Saltando a piè pari i concorsi si superano con estrema agilità anche le garanzie di trasparenza che questi forniscono. Assumendo personale non scelto in maniera trasparente, chi ha in mano le redini può garantirsi potere discrezionale sulla selezione, con tutti i rischi di possibili illeciti che questo comporta.

Come ciliegina sulla torta, vengono poi i concorsi di “stabilizzazione”, che garantiscono enormi vantaggi diretti ed indiretti a chi già lavora in maniera precaria e quindi permettono di fissare a tempo indeterminato scelte fatte incostituzionalmente.

Trovarsi nella situazione di essere vincitore di un concorso, attendere 4 o 5 anni dal bando al risultato e vivere alla giornata per mesi o anni di attesa dalla notizia della propria vittoria, non è affatto semplice.

Vero, i vincitori di concorsi pubblici, sempre più rari, si trovano nella fetta dei più “fortunati”, quelli che hanno una speranza in più di molti altri.
Ma è una speranza guadagnata spesso con anni di sacrifici, di studi, di selezioni, e pure di denaro proprio speso in ricorsi amministrativi.
Vedersi scavalcati da chi probabilmente può annoverare una amicizia strategica, e vedersi lasciati soli dalla gran parte dei sindacati, dal Governo e dal Parlamento, rischia di trasformare la speranza in depressione e sfiducia nel proprio Paese.

Vengono infatti presentati emendamenti bipartisan in Parlamento per assicurare proroghe e deroghe per garantire la continuità ai lavoratori interinali (vedi 1 e 2)

I vincitori e gli idonei rimangono compostamente in fila e si vedono continuamente scavalcati da chi non ne ha il diritto.
Il 20 di Giugno alcuni di questi, organizzati dal Comitato XXVII Ottobre cercheranno di farsi capire e vedere.

Le considerazioni e le richieste di questo comitato sono totalmente condivisibili e probabilmente sarebbero scontate, in un paese normale: Vi invito a leggerle e a diffonderle.

Purtroppo il rischio è che la disillusione porti molti ad arrendersi e a smettere di rivendicare un diritto costituzionale per mancanza di ascolto, ma cambiare si può.

Speriamo di riuscire a rompere il muro di gomma che ci circonda, e far arrivare alla gente la giusta domanda sulla situazione attuale: chi ci guadagna?

Nella pausa pranzo rileggetevi la Costituzione

Fonte: Nella pausa pranzo rileggetevi la Costituzione

Non toccate quel Crocifisso

Nelle scuole italiane manca la carta igienica, ma a stupire gli italiani è la sentenza della Corte Europea che chiede la rimozione dei simboli religiosi (e quindi del crocifisso) nelle aule.

Sì, è vero, è una tradizione. Ma le tradizioni cambiano nel tempo. Oggi, ad esempio, non si fa più la festa del maiale.

Non c’entrano nulla l’avanzata delle altre religioni e le nuove crociate leghiste contro gli infedeli: le tradizioni religiose devono sottostare alle leggi.
I Sikh che indossano il tradizionale pugnale che supera i 15 cm devono avere il porto d’armi e non possono farlo dentro le scuole.

Nel caos che emerge dalla discussione sembra che la stragrande maggioranza degli italiani siano contrari a questa decisione. Non è affatto così.

Voglio solo ricordare loro che non esistono solo i voti cattolici. I praticanti nel nostro Paese sono sempre meno e l’interesse della Chiesa è sempre più rivolto ai paesi del Sud America. L’opinione di chi legge il Corriere Online (non certo un quotidiano mangiapreti) è divisa a metà (con maggioranza di favorevoli alla rimozione).

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Dice la Costituzione.

Quindi questa discussione, apparentemente poco importante, coinvolge un principio costituzionale. Lo Stato Italiano oggi può decidere in maniera indipendente e sovrana di togliere il crocifisso nelle aule?

A me basterebbe poterlo fare. Mi basterebbe essere sicuro che un voto del Parlamento, senza ingerenze, possa decidere di sostituire al crocifisso i primi dieci punti della Costituzione o una foto di Garibaldi, di Gandhi o di Batman. In quel caso quel simbolo potrebbe anche rimanere.

Delle due una: o il Crocifisso è una cosa che ha un valore, e quindi va abolito perché quel valore non è uguale per tutti, oppure è una cosa di poco conto e quindi non dovrebbe dispiacere troppo toglierlo se infastidisce.

Il nostro Paese ha anche una grande tradizione laica, oggi dimenticata. Se le due anime vogliono convivere, bisogna lasciare spazio al pensiero di tutti. Se una classe vuole tenere il crocifisso deve poterlo fare, se in un’altra è un motivo di discriminazione deve essere permesso di rimuoverlo, se una associazione vuole fare una pubblicità per dire che Dio non esiste deve poterlo fare esattamente così come può farlo chi pensa che Dio ti Ama così come sei.

Se uno non vuole essere mantenuto come un vegetale deve poterlo decidere liberamente, e così via.

Torna su