creative commons

Libero non significa gratis

Il post oggi pubblica un bell’articolo su Jimmy Wales, cofondatore di Wikipedia, a quanto pare non così ricco. Leggendolo però si capisce come nel Mondo l’open source, o i commons, siano spesso coincidenti con il gratuito nell’immaginario collettivo.

In realtà più che un pregio, il fatto che uno degli uomini che ha più cambiato il nostro modo di fruire la cultura su internet sia meno ricco di un venditore di automobili è certamente un difetto.

Un difetto nella visione dei collaboratori che offrono il loro tempo gratuitamente, che probabilmente vedrebbero malvolentieri la ricchezza del loro numero uno. Ed un difetto nel sistema della fruizione dei contenuti immateriali, beni comuni che non per forza devono essere gratuiti. Ma c’è ovviamente differenza tra chi offre un’ora del suo tempo e chi spende la propria vita, investendo inizialmente tutto su una idea che poteva ovviamente rivelarsi sbagliata.

Se il sistema funzionasse perfettamente, Wales dovrebbe essere prima di tutto più felice di qualsiasi altro big dell’Internet odierna. Spero davvero che lo sia, perché il suo esempio si spera venga seguito da decine di altri big futuri.

Se la persona che vende i nostri dati è più ricca e più famosa di quella che ci insegna la storia, c’è un problema da sistemare.

Non mi pare che la pubblicità su Wikipedia, se messa con certi criteri, possa danneggiare il progetto. Se serve a pagare i costi almeno dell’hardware  e della connettività necessari a portare sapere in tutto il Mondo, non ci vedo nulla di male. Anzi, le donazioni potrebbero essere indirizzate alla creazione di nuovi contenuti, come ad esempio libri di testo open per le scuole, opere più corpose rilasciate con licenza d’uso di widipedia e modificabili online come l’enciclopedia, ed altro ancora.

In fondo molti dei contenuti di Wikipedia contemporanei sono più o meno spinti dall’interesse ad essere presenti sulla piattaforma, che se vogliamo è un atteggiamento ancora più rischioso del finanziamento pubblicitario al progetto.

 

Un manuale di matematica Creative Commons per la scuola

Grazie a Simone scopro che è stato scritto e pubblicato un manuale di Matematica per la scuola superiore con licenza Creative Commons (Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo).

Questo significa che chiunque può stamparselo, anche in fascicoli, e farne versioni modificate a patto di non sfruttarlo commercialmente senza il permesso degli autori e di condividerlo alla stessa maniera.

Da anni scrivo che una cosa del genere è molto auspicabile, perché permetterebbe una riduzione dei costi per il diritto allo studio (ed oggi, con gli e-reader, anche un notevole risparmio di carta, peso e spazio).

Ottima iniziativa!

Con piacere dò notizia dell’uscita di Matematica C3, il primo manuale di matematica per la scuola superiore realizzato in un’ottica collaborativa e rilasciato sotto licenza Creative Commons. Si tratta non di un semplice collage disorganico di dispense create da volenterosi docenti (opere del genere circolano in rete già da tempo), ma di un completo e ben strutturato manuale che può essere utilizzato e ufficialmente adottato da tutte le scuole italiane. E non si tratta di una semplice opera statica di cui usufruire “as it is” ma di uno strumento fluido e interattivo, fruibile in diversi formati, adattabile alle proprie esigenze didattiche e aggiornabile come un vero “book in progress”. Ciò è possibile grazie all’applicazione di una licenza CC Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso
modo e grazie alla diffusione dei contenuti attraverso formati aperti (il libro è infatti disponibile anche nel formato ODF di OpenOffice.org).
Un progetto lodevole e pionieristico che mi auguro funga da apri-pista per altri gruppi di docenti indipendenti o per enti pubblici e privati dediti alla formazione.
Il libro e i contenuti ad esso connessi sono disponibili al sito www.matematicamente.it/manuale_matematica.

Fonte: Simone Aliprandi

La licenza è importante

Riprendo qui una discussione nata grazie al contributo di Luca Sartoni, che sul suo blog parla dell’importanza di rispettare le licenze (in particolare Creative Commons).

Solo perché una cosa è pubblicata su internet non significa che la sua licenza non sia importante. Qualsiasi contenuto noi creiamo e pubblichiamo sul web è il frutto di un lavoro. Le regole della distribuzione di un lavoro d’ingegno sono date dall’autore (si parla, infatti, di diritto d’autore).

Le licenze creative commons servono per facilitare la comprensione dei temini legali con classificazioni semplici. Un lavoro CC Attribution-Sharealike, come i testi di questo blog, può essere distribuito e modificato gratuitamente, anche a livello commerciale, a patto che si indichi l’autore originario e si distribuisca ogni modifica con la stessa licenza.
E’ sulla base di questo semplice patto che si può lavorare in gruppo, grazie ai pezzi fatti da altri, e contribuire alla crescita dei contenuti liberamente utilizzabili su internet.

Giustificare la violazione della licenza con la semplicità dell’azione della copia è semplicemente folle, come lo è pensare che l’unico mezzo per proteggere i propri contenuti debba essere quello di non pubblicarli affatto.

Fa bene quindi Luca a ricordare l’importanza delle licenze.

Copyleft Festival 2008 ad Arezzo: dibattiti, musica, spettacoli ed incontri

Copyleft Festival 2008: quattro giorni di dibattiti, incontri, musica e spettacoli per parlare di copyleft e licenze creative commons. Dall’11 al 14 settembre Arezzo sarà la capitale della libera circolazione di idee e del sapere. La rassegna, organizzata dall’Associazione InProspettiva si svolgerà nelle piazze centrali di Arezzo e vedrà decine di ospiti interagire con il pubblico.

Link:
Arezzo Notizie
Copyleft Festival

Risparmiare sui libri di testo aprendo la porta ai generici scolastici

Mantellini e Leonardo parlano di come sarebbe facile sostituire un notebook ai libri di testo, facendo risparmiare ai ragazzi chili di peso ed anche qualche spicciolo, probabilmente.
Secondo me la soluzione è molto più semplice. Abbiamo aperto ai generici sulla medicina, rendendo possibile dopo un po’ di tempo la fruizione di brevetti per aumentare la concorrenza, potremmo fare lo stesso per i libri. In realtà non penso sia giusto in questo caso violare il copyright, ma lo Stato potrebbe finanziare la realizzazione di un set di libri di testo e rilasciarne il contenuto su licenza GDFL, la stessa di Wikipedia. A quel punto le case editrici potrebbero stampare i testi, ma dovrebbero farlo in concorrenza. Al consumatore poi andrebbe la scelta del testo in copertina di pelle umana e pagine dorate ai margini, oppure il libro in edizione economica, o quello in carta riciclata, o la versione elettronica utilizzata in un notebook o in un ebook reader. Scelta, insomma. Ai prof ed alle scuole la scelta dell’adozione dei testi, con il confronto dei genitori (se scelgono non generici dovranno quindi motivarlo, ma potranno farlo).

Non capisco, infatti, perché i libri di geometria debbano essere rinnovati ogni anno quando il contenuto è invariato da decenni. Così i dizionari italiano latino, che di certo non aggiungono traduzioni di neologismi del web ogni anno nella lingua dei romani.

Insomma, risparmiare si potrebbe. Proviamo a lanciare un appello?

Magari in questi giorni di discussione sul carovita avremmo la possibilità di rivoluzionare davvero la spesa scolastica.

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