mantellini

Internet e la Politica.

Mantellini dedica il suo pezzo su Punto Informatico al rapporto tra politici e rete, a 3 settimane dal voto delle amministrative.

Condivido quasi tutto, ma penso che occorra andare oltre e fare una analisi dei motivi che spingono molti politici ad utilizzare la rete come uno spazio in più ma non diverso dove pubblicare i propri comunicati stampa.

Penso che il rapporto tra politica e rete vada valutato più in periferia che a livello nazionale. I partiti ed i candidati ai massimi livelli perdono, per mancanza di tempo, quel contatto diretto con la rete. Semplicemente seguono gli strumenti per la creazione del consenso, ed in Italia oggi lo strumento più potente è la televisione. Quando e se le cose cambieranno, cambieranno anche i rapporti, ed i politici dedicheranno più tempo ad internet che al resto.

In periferia, invece, le cose sono diverse. Spesso la rete è l’unico strumento per comunicare le proprie idee e per questo motivo, dopo qualche tentennamento iniziale, oggi quasi tutti si dotano di un po’ di spazio sul web.

Nel 2004 eravamo in 3 ad utilizzare il blog come strumento per la campagna elettorale, banalmente perché lo utilizzavamo già prima, mentre negli USA era già stata utilizzata per le campagne politiche nazionali.

Oggi lo strumento è più diffuso, come è più diffusa la pratica del “Costruisco il sito per le elezioni e dopo il ringraziamento agli elettori lo abbandono”.

E’ chiaro, anche se non pare che tutti se ne accorgano, che la rete è uno strumento per comunicare le proprie idee e non le sostituisce. Chi si presenta senza sostanza, rischia di esporre la propria posizione a più rischi che benefici.

Come per tutte le cose, vale la selezione “naturale”. Se qualcuno troverà nella rete uno strumento vincente, e se sapremo premiare chi mette la faccia ed il proprio tempo ogni giorno in rete, queste modalità si diffonderanno e, credo, anche la politica un po’ più ragionata ed un po’ meno “spot” sarà premiata con loro.

Facebook, la banalità, la rete e l’usabilità

Gilioli scrive un articolo dicendo che su facebook tutto è appiattito: la fame nel mondo e l’amore per il Muppet show. Mantellini risponde dicendo che è il Mondo ad appiattire tutto, dato che l’interesse della gente è ben lontano dall’essere concentrato solo sui grandi temi.

Io penso che Mantellini abbia ragione, del resto basta guardare le catene di Sant’antonio via email per capire che le stupidaggini si diffondono più delle cose serie ed i problemi di difficile soluzione.

Penso, però, che Facebook non abbia la stessa distribuzione di banalità di altri pezzi di rete, ma ne sia più immerso.

Il motivo, a mio parere, sta nella facilità d’ingresso: aprire un account su Facebook e creare pagine, gruppi, quiz e contenuti è molto più semplice che aprire un blog o pubblicare un bollettino cartaceo ed avere lo stesso audience.

Lo stesso avviene anche nel confrontare internet alla stampa cartacea: pubblicare un quotidiano è più difficile di pubblicare un blog. Aprire un blog è possibile anche per chi non ha nulla da dire.

Dovremmo chiederci se la facilità d’ingresso di queste tecnologie sia positiva o negativa, e la risposta è scontata. Selezionando i contenuti buoni, i blog hanno qualcosa da aggiungere di diverso e di valore rispetto al media cartaceo, e Facebook ed i social network probabilmente* aggiungeranno valore al resto, scremando le scemenze.

* Il problema principale di Facebook rimane la sua struttura centralizzata su una unica società. Se la rete distribuita si spostasse verso un ulteriore monopolio, perderebbe valore, invece di acquisirne.

Sulla gestione dei Commenti

Mantellini ha scritto un post sulla sua nuova gestione dei commenti.
Vorrei riparlarne qui, anche per spiegare la mia scelta ed una prima analisi del cambiamento che ha portato a chiedere il login per poter commentare sul mio blog.
Il problema di gestire l’aumento dei visitatori e dei commenti è reale. Si può scegliere di fare come Grillo, che lascia pagine e pagine di commenti (cassandone qualcuno probabilmente più scomodo di altri), o vietarli totalmente, come fanno molti altri politici nazionali che vogliono fuggire al confronto.

In entrambi i casi il dibattito viene a sparire.

Quando il rumore diventa fastidioso le soluzioni sono due.
Una è quella di Mantellini, che condivido solo parzialmente, che decide di eliminare a mano tutti i commenti che ritiene rumorosi.

I miei dubbi:
– occorre più tempo
– chi vuole fare rumore spesso gioca sul tempo, ed una volta lanciato il sasso ha già fatto il suo danno, anche se viene rimosso. Tutti gli altri commenti saranno influenzati dalle stupidate del precedente

Giunto all’ennesima noia legale legata alla gestione del blog, io ho fatto una scelta diversa. Oggi chiedo la registrazione oppure un openID ai miei commentatori.

Mi rendo conto di aver limitato in qualche modo la discussione, ma penso di averla limitata in positivo:
– chi vuole scrivere anonimamente (senza dirmi il suo nome e cognome) può farlo, serve solo un po’ più di lavoro per ottenere un indirizzo email valido, che di solito ostacola chi vuole nascondersi solo per insultare gratuitamente.
– non devo più preoccuparmi dello spam. Nel tempo ho eliminato decine di migliaia di commenti di spam, con il rischio di eliminare automaticamente anche commenti buoni.
– ho eliminato totalmente chi ha del tempo da perdere senza dire nulla, a vantaggio del dibattito serio
– obbligando al login inserisco un ostacolo di un paio di secondi, che influisce sul bilancio lettura/scrittura. Oggi chi scrive ha letto il mio articolo ed i commenti precedenti, cosa che prima non sempre accadeva.

– chi ha paura della registrazione sul mio blog può sfruttare qualsiasi fornitore di un openID, che si assumerà le responsabilità di fornire o non fornire i dati in caso di querela.

Penso che ognuno abbia la possibilità di scrivere quello che pensa di me e del mio operato nei numerosi spazi sul web o in quelli tradizionali: di certo non mancano gli spazi liberi ed è giusto che sia così.

Però a me serve uno spazio per un dibattito serio e costruttive, con persone che scrivono quello che pensano e se ne assumono una responsabilità seppur minima.

In Piazza ognuno può dire quello che vuole, nel mio spazio è giusto che venga a parlare chi è costruttivo, altrimenti chi è costruttivo se ne andrà schifato.

Vergognarsi profondamente

Un collaboratore de “L’espresso” scrive sul suo blog nel portale della stessa testata di vergognarsi profondamente di una delle inchieste più importanti della rivista, “Velenitaly“. L’Espresso chiude i rapporti con lui e chiude il suo blog. In rete si scatena un ampio dibattito.

Io mi faccio una domanda: se da collaboratore della sezione enogastronomica mi vergognassi profondamente di una inchiesta sulla falsificazione dei prodotti del “mio” settore della “mia” rivista, avrei tre scelte: lasciare la rivista, discutere con gli autori nella fase di stesura, o non commentare. Penso che la scelta di scrivere sulla versione elettronica della rivista la mia vergogna, senza motivazioni, sia quantomeno strano.

Se le divergenze erano importanti, forse sarebbe stato meglio chiudere in prima persona la collaborazione, no? Fondamentalmente concordo con Gilioli e penso che l’operazione della direzione non abbia avuto come obiettivo quello di sotterrare il dissenso e nasconderlo, ma prendere atto del dissenso (probabilmente nemmeno espresso preventivamente alla sua pubblicazione su web) e fare la scelta più utile rendere la redazione più compatta.

La pluralità dell’informazione è data dalla pluralità delle fonti, non dalla pluralità delle idee nelle stesse pagine. Quando acquisto l’Espresso lo faccio perché voglio leggere l’Espresso, non l’Espresso + il Giornale + Libero.
I lettori si adeguano di conseguenza, nella piena libertà. Quelli d’accordo con Vizzari lo seguiranno nella sua prossima rubrica altrove, quelli d’accordo con L’Espresso continueranno a leggere questo prodotto editoriale. Sempre che la questione sia così importante da cambiare le nostre letture, ovviamente.

Nessuno si aspetta che nel blog personale di chiunque di noi compaia un articolo che smentisce quello precedente se l’autore stesso non ha cambiato idea. La libertà sta nel poter commentare e smentire l’autore o nel creare uno spazio nuovo dove poter esprimere questo dissenso.

Per questo internet è libera (ed il caso in questione lo dimostra, infatti il dibattito è tutt’altro che chiuso) e la televisione molto meno. Nessuno di noi umani può acquistare una nuova frequenza e dare la sua versione dei fatti, e tra chi ci ha provato c’è anche chi nonostante le vittorie in tribunale vede ancora abusivamente occupato il suo spazio.

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