spending review

Lotta all’alimentazione

L’ipotesi di tagliare, tra tutte le voci di spesa pubblica, proprio i buoni pasto è assolutamente ridicola. Per prima cosa, è uno dei pochi metodi di pagamento e rimborso che sono tracciati dalla fonte al consumo. Chi accetta i buoni pasto non può evitare di fare gli scontrini, chi li spende non può chiedere uno sconticino per un pranzo “in nero”. Inoltre il totale della spesa torna in circolo immediatamente, la loro scadenza fa si che non si accumulino sotto i materassi o nei risparmi in banca. E tornano immediatamente nell’economia locale, perché non si possono spendere per transazioni lontane, o su internet.

Mettiamo, per ipotesi, che si decida di proseguire su questa scelta stupida. Quanti locali già in difficoltà per la crisi saranno costretti a chiudere? I dipendenti si porteranno il pranzo da casa e consumeranno più volentieri un panino al volo, piuttosto che mangiare in mensa o al self-service.

L’economia ne risentirebbe, perché quei locali chiusi significheranno casse integrazioni e disoccupazioni.

Per un presunto risparmio quantificato in 10 milioni di euro, del tutto irrisorio nel totale della spesa pubblica, il costo di questa operazione potrebbe superare il taglio della spesa. Senza contare che metà di quella cifra oggi torna in IVA e tasse.

Non ci vuole una grande mente per capire che è una cosa stupida. A meno che non serva come diversivo, una operazione di facciata molto visibile sulla quale concentrare dibattiti inutili, annullati da una futura marcia indietro. Il tutto al fine di distogliere l’attenzione da altri provvedimenti forse meno evidentemente stupidi ma socialmente altrettanto inaccettabili…

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