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E’ ora di disattivare Flash


Il plugin Flash è diventato ormai il veicolo principale di tutti gli attacchi informatici.

Viene continuamente aggiornato per coprire nuove falle, ma il problema è che vengono risolte solo una volta scoperte.

La recente diffusione delle tecniche in utilizzo ad Hacking Team dimostra che alcune di queste possono rimanere aperte per lunghi periodi, ed essere sfruttate per prendere possesso del PC o dispositivi mobili, carpire informazioni personali, accedere ad account privati (compresi quelli che contengono informazioni sui nostri conti correnti, per dare l’idea).

Conviene quindi disabilitare l’avvio automatico, e permetterne l’esecuzione solo quando è indispensabile.
In questo modo se vorrete aprire un video potrete continuare a farlo (consci del rischio, sulla fiducia del sito aperto), ma in tutti gli altri casi eviterete l’avvio automatico, risparmiando anche banda e velocizzando i siti. Si vede nell’immagine, cliccando l’icona potrete far partire il flash quando ne avrete bisogno. Fino al click il flash non verrà eseguito, e con questo verranno fermati potenziali danni.

Sperando di convincere i web designer ad abbandonare questa tecnologia, che con HTML5 non è più necessaria.

Attivissimo ha scritto una guida per tutti i Browser, che vi consiglio di seguire, adesso.
Fatelo subito!

PS: lo stesso vale per Silverlight, ovviamente

Si possono vedere le serie tv americane su internet in maniera legale?

Il problema della pirateria, per chi produce beni digitali, è serio. Sappiamo tutti, e l’ho scritto più volte, che la soluzione fino ad oggi messa in campo dal nostro Paese è quella di una forte criminalizzazione del fenomeno. Chi scarica illegalmente contenuti compie un reato penale, sulla carta punibile fino a 4 anni di reclusione.Una pena quantomeno spropositata.

Io credo che la repressione non serva assolutamente a nulla, soprattutto in questo caso, anche vista l’inapplicabilità della legge.

Però si potrebbe diminuire il fenomeno venendo incontro alle esigenze degli utenti, rendendo più semplice il comportamento legale rispetto a quello illecito.

Apple con la distribuzione degli MP3 ha risolto parzialmente il problema: la musica scaricata legalmente ha coperto una parte dell’esigenza, anche se rappresenta una minima parte rispetto alla condivisione alternativa.

Il costo forse oggi rappresenta un ostacolo ad una diffusione più ampia. Con un po’ di coraggio, si potrebbe pensare di distribuire a costi inferiori i contenuti, rendendoli appetibili anche a chi oggi non ci si avvicina. Il costo della distribuzione di un album su file attraverso il web rasenta lo zero. I costi di produzione e pubblicitari sono certamente più elevati, ma una decina di euro per disco sono comunque molti, rapportati ai costi. E visto che il guadagno dei musicisti oggi viene dai live e dal merchandising, si potrebbe osare di più e chiedere di meno.

Ancora peggio, se vogliamo, per i film ed i telefilm. Per i primi, i costi per una visione a noleggio superano quelli del noleggiatore di DVD. E’ vero, c’è la comodità dell’assenza di spostamenti, ma se si vuole una diffusione di massa si devono applicare prezzi non di nicchia.

Per i telefilm e le serie TV invece dovrebbero prevedere la possibilità di vedere a pagamento in streaming oppure scaricare le puntate. Che io sappia non esiste nulla di legale, almeno in Italia, che permetta di vedere le serie tv americane con i sottotitoli. Perché non prevederlo? Io sono convinto che un po’ di appassionati sarebbero disponibili a pagare cifre oneste. Se invece il rispetto della legalità è impedito per indisponibilità del servizio, oppure più complicato o troppo costoso, è naturale che le vie alternative continuino a proliferare.

Dennis Ritchie

L’8 Ottobre scorso è morto Dennis Ritchie, senza che nessun telegiornale ne abbia parlato.

Io l’ho scoperto soltanto oggi.

Ritchie è l’autore di uno dei libri sui quali tutti gli studenti di informatica hanno studiato. E’ uno dei padri di Unix ed è famoso per l’invenzione (assieme a Brian Kernighan e Ken Thompson) del linguaggio di programmazione C.

Per molti non informatici queste parole significheranno poco, ma credetemi, sono due pilastri dell’informatica di oggi, senza i quali il nostro computer, il nostro cellulare, e tanti altri dispositivi oggi non sarebbero come sono. Il linguaggio C sta all’informatica come l’inglese sta alla lingua parlata nel Mondo, e se anche non fosse il più diffuso in assoluto (come dicono alcune statistiche) certamente è il più usato per le parti più importanti di qualsiasi sistema abbia dentro un software (dai sistemi operativi ai server che fanno girare le pagine web).

Purtroppo, come dicevo qualche giorno fa, l’importanza di questi illustri personaggi che hanno lavorato alle fondamenta dell’informatica non viene riconosciuta come dovrebbe.

Il partito del popolo della rete

Giovedì il “popolo della rete” protesta contro la norma ammazza blog.

Come ha scritto giustamente Mantellini in un suo recente articolo, non esiste più un popolo della rete. Questa idea di una separazione etica, politica ed ideologica tra chi usa la rete e chi non lo fa è un retaggio che ci portiamo dietro dal passato.

Dieci, quindici anni fa probabilmente aveva un senso. C’era chi usava Ebay USA perché quello italiano ancora non esisteva, chi usava la posta elettronica disconnettendosi tra lo scaricamento dei messaggi e l’invio delle risposte, chi chattava su IRC.

L’insieme delle persone che è entrata per prima su internet era selezionato, sia sulla base delle possibilità economiche sia sulla base delle conoscenze (dirette o indirette) che ne permettevano l’utilizzo.

Allora, sebbene generalizzare troppo sia sempre sbagliato, questa nicchia meritava forse un suo nome. Un po’ come l’insieme di chi in questi ultimi anni ha deciso di spegnere definitivamente la TV. Il popolo che ha mandato a cagare il digitale terrestre.

Sicuramente non tutti già allora avevano una idea comune, ma il popolo della rete esisteva, piuttosto ignorato dal resto dei media.

Oggi qualsiasi iniziativa nasca dal web è fatta dal “popolo della rete”. Così se qualcuno fondasse un partito del “Popolo della Rete”, probabilmente verrebbe citato gratuitamente per anni a venire.

Io faccio parte del popolo della rete per definizione: internetdipendente, ho un blog dal 2003, sono registrato con scarso interesse a tutti i social network, ho fatto del web il mio lavoro.

E nonostante condivida le ragioni di questa specifica protesta contro la norma ammazza blog, non sempre condivido quello che viene attribuito al “popolo della rete”.

Anche perché il “popolo della rete” oggi rappresenta ormai il 50% della popolazione italiana, secondo l’Istat. La maggioranza, non più una nicchia.

Quindi i giornalisti dovrebbero evitare questa definizione e trovarne altre più consone, a meno che tutto quel 50% non sia compatto ed in contrasto con il restante 50%.

Anche chi non usa internet potrebbe essere contrario ad una legge che obbliga la rettifica anche nei confronti di affermazioni vere e verificate fatte su internet (perché dovrei rettificare una cosa vera?), e qualche utente del web potrebbe tranquillamente essere favorevole o indifferente.

L’uso di definizioni studiate a tavolino è uno strumento fondamentale e pericolosissimo, capace di muovere consenso e dissenso. Non dimentichiamoci che è bastato l’aggettivo radicale appiccicato ad arte su alcuni gruppi politici per eliminarli dal Parlamento italiano.

Facciamo così, d’ora in avanti potrete usare questo nome a patto che chiediate il consenso a tutti gli utenti del web, ogni volta. Ok?

Annunci su internet: regole di sopravvivenza e mezze bufale

Circola ormai da mesi un annuncio disperato:

ANNUNCIO URGENTE: azienda farmaceutica ha scartato 10 beagle… non sono ‘all’altezza’, peso, altezza ecc.
se non verranno adottati entro il 30 maggio, verranno abbattuti, sono sani, non hanno assunto nessun tipo di farmaco… sono gratis!!!
per info 3409813285

Gli elementi per l’esplodere in rete ci sono tutti: una cattiva azienda farmaceutica, il rischio di morte, il forte squilibrio tra la soluzione semplicissima per evitare il problema (adottarli gratis) e la tremenda fine.

Circola ancora oggi, in diverse varianti.

Il problema è che chi lo inoltra evita di porsi un paio di domande molto semplici: l’annuncio è vero o è solo una trovata pubblicitaria? E’ ancora valido?
La risposta a queste due domande è molto semplice: c’è un numero di cellulare, basta chiamarlo.

Io l’ho fatto, e la risposta è “il numero chiamato è inesistente”.

Su internet qualcuno dice che il proprietario del telefono non sapeva più come fermare l’annuncio nonostante i cani fossero stati già adottati, e veniva continuamente importunato da centinaia di chiamate. Se questa versione fosse vera, probabilmente è stato costretto a cambiare numero per colpa dell’annuncio.

Una buona regola, quindi, è quella di fornire una pagina web di riferimento che contenga gli aggiornamenti sulla situazione, invece del numero di cellulare.
In questo modo in qualsiasi momento sarà possibile spiegare chiaramente a tutti che l’annuncio è scaduto, e ridirezionare le offerte d’aiuto a qualcuno che ne ha bisogno.

Anche per questo motivo risulta molto comodo il sito che ho creato: http://www.animalisenzacasa.org : ogni associazione può in ogni momento segnare il cane come adottato e che il sito filtri e stoppi le richieste di adozione per animali già adottati, ridirezionandole verso annunci ancora validi.

Ma non vuole essere una pubblicità, la cosa importante è che anche questa storia serva di lezione a chi scrive annunci ed a chi li ripubblica senza controllo: non solo non si fa nessuna opera di bene, ma si rischia di deludere persone dalle buone intenzioni che invece avrebbero potuto dare un aiuto.

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