Diritti

La Campagna della LAV sul REACH

Questo il testo di un articolo che ho scritto per un bollettino universitario di una associazione di Forlì:

Conigli in gabbiaIl 12 ed il 13 Marzo scorso la Lega Anti Vivisezione (LAV) ha aperto la raccolta delle firme per evitare i test sugli animali previsti dalla direttiva europea di prossima emanazione, denominata REACH (da Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals). Questa direttiva punta a definire un nuovo equilibrio normativo sull’industria chimica europea, inserendo obiettivi di tutela della salute pubblica e della qualità dell’ambiente dagli effetti potenzialmente dannosi derivanti dalle sostanze chimiche in commercio.

Incluso nel pacchetto delle nuove norme è presente l’obbligo di testare le sostanze chimiche che sono state messe in commercio prima del 1981, data nella quale è stato inserito l’obbligo di verificare i nuovi composti immessi sul mercato. Circa 30’000 di queste sostanze, in commercio da più di vent’annni e mai controllate, verrebbero ora sottoposte a test sugli animali, provocando la tortura e la morte di un numero di animali compreso tra i 12,8 ed i 50 milioni, secondo stime prodotte dall’Unione Europea.
Gli obiettivi del REACH sono estremamente positivi e sicuramente da sostenere, ma allo stesso tempo la LAV chiede con la sua nuova campagna che vengano usati metodi alternativi per sperimentare le sostanze senza uccidere un numero così elevato di animali.
La domanda che tutti si pongono quando vengono affrontate queste tematiche è sempre la stessa: se non sugli animali, su chi? Bisogna quindi fare un minimo di chiarezza, per evitare di affrontare il tema con troppa superficialità.
I test sugli animali non servono a nulla per evitare rischi per la salute umana. Anche il Comitato Scientifico dell’UE ha chiaramente espresso l’inadeguatezza di questo tipo di test, indicando la necessità di utilizzare metodi alternativi.
Superando quindi tutte le motivazioni etiche che spingono le persone più sensibili a chiedere di evitare questa violenza, è la scienza a fare il primo passo ed ammettere che questi test non sono utili. Basta pensare che la percentuale di errore delle indicazioni che forniscono è di circa il 50%, quasi la stessa di una moneta lanciata per un testa o croce. Questo significa, inoltre, che una sostanza indicata come innocua da test basati su una specie animale può non esserlo per gli esseri umani. Basta vedere l’esempio della diossina: letale nell’uomo, assolutamente innocua per le scimmie e quasi tutti gli altri animali, ad eccezione del porcellino d’india. Inoltre i test sugli animali non evitano la sperimentazione sull’uomo, e data l’inadeguatezza dei loro risultati risultano potenzialmente dannosi anche per gli umani: le sostanze dichiarate innocue ed una volta sperimentate sugli uomini dimostratesi nocive sono innumerevoli e spesso tristemente famose.
Esistono diversi metodi alternativi che permettono migliori risultati, con costi molto inferiori: le ricerche epidemiologiche e gli studi statistici, i test sulle culture in vitro di cellule e materiale biologico di scarto dei nostri ospedali sono solo alcuni esempi reali ed attualmente implementabili.
L’insieme dei metodi alternativi non include solo questi esempi, ma raggruppa tutte le procedure che conducono alla sostituzione di un esperimento sull’animale, alla riduzione del numero di animali richiesti, ed all’ottimizzazione delle procedure sperimentali allo scopo di ridurre la sofferenza delle cavie, secondo la definizione di Russel e Burch delle 3R Replace, Reduce, Refine.
Lo sviluppo dei metodi alternativi è quindi prima di tutto un processo scientifico, voluto con forza anche da comitati di medici che dichiarano i test sugli animali inutili alla stessa causa per la quale sono stati creati: valutare la pericolosità delle sostanze prodotte dall’uomo.
Per maggiori informazioni potete contattare la delegazione della LAV di Forlì-Cesena (lav_forli_cesena@yahoo.it), oppure consultare il sito nazionale www.infolav.org
La raccolta delle firme è ancora aperta, e tutti possiamo dare il nostro piccolo contributo per evitare l’utilizzo di milioni di animali per test inutili e costosi, sostenuti solamente allo scopo di mantenere gli attuali rapporti di forza tra le strutture esistenti nel mondo della ricerca scientifica e farmacologica.

L’email di Newglobal.it sulle ultime modifiche alla Legge Urbani

Ottima l’iniziativa di Newglobal.it di spiegare con una email semplice gli ultimi passaggi della legge voluta da Urbani sul diritto d’autore.

martedì 01/03/2005 inizierà la discussione prima al Senato e poi alla Camera del provvedimento (ddl numero 7/2005) che comprende anche alcune modifiche della legge voluta dal Ministro Urbani che ha reso la condivisione dei file coperti dal diritto d’autore (musica, video …) un reato punibile con un massimo di 4 anni di galera anche qualora l’illecito fosse stato fatto senza fine di lucro e per uso personale. Entro 60 giorni il provvedimento potrà diventare legge dello Stato. Gli utenti di Internet hanno chiesto ai parlamentari di trasformare questo reato in illecito amministrativo. Cercherò di spiegarti brevemente ed in maniera semplice cosa realmente significhi questa richiesta. (…)

Il testo intero della lettera è anche sul forum di Fiorello Cortiana.

Poliziotti e coltellini

Pubblico volentieri un articolo di Claudio Giusti:

A Napoli, ben prima che iniziasse la “guerra di Camorra”, hanno dovuto vietare la vendita dei coltellini da collezione, perché la gente trasformava banali discussioni per un parcheggio in duelli rusticani e si assassinava con i temperini dei Lupetti.

Le cause di questa isteria sono molteplici e vanno dal clima di guerra e intolleranza che stiamo vivendo, alla pesante situazione economica, alle continue aggressioni alla magistratura, agli aperti inviti all’autodifesa e al farsi giustizia da soli.

Falsificazioni statistiche a parte il risultato finale del governo Berlusconi è stato un patetico fallimento. Non solo sono cresciuti i crimini, ma persino gli omicidi, dopo un calo decennale, sono aumentati di un incredibile 12 per cento. Eppure, durante la campagna elettorale del 2001, la Tolleranza Zero era stata uno dei punti di forza di Berlusconi.

In quei giorni spiegai alla RAI che il poliziotto di quartiere non ha il compito di un’impossibile repressione del crimine, ma quello ben più concreto di ridurre il disordine, aggiungendo che è proprio questo a renderne improponibile la presenza sul nostro territorio, visto che il suo scopo è quello di contrastare le infrazioni (auto in doppia fila, lavoro nero, ecc.) che gli italiani considerano normale commettere. Il mio intervento venne ovviamente ignorato e le polemiche sulla Tolleranza Zero continuarono con toni sempre più surreali. Fu Berlusconi a raggiungerne le vette più alte. Costui non ebbe vergogna ad affermare che, con l’Ulivo, gli omicidi erano triplicati e a dire poi, a chi gli faceva notare che era successo l’inverso e gli omicidi si erano più che dimezzati, che la gente era sfiduciata e non denunciava più i reati perché certa dell’impunità di cui godevano i criminali.

Orbene: anche il più sprovveduto dei politici sa che esiste un “numero nero” di crimini che non vengono denunciati all’autorità giudiziaria e che negli USA questo numero raggiunge il 50% dei crimini gravi, ma allo stesso tempo sa che questo vale solo in piccolissima parte per gli omicidi. Le autorità vengono a conoscenza di quasi tutti gli omicidi e solo un numero esiguo di questi viene rubricato come suicidio o scomparsa.

Le affermazioni berlusconiane erano quindi sublimi stupidaggini e l’unico suo provvedimento contro il crimine (pestaggi genovesi a parte) fu quello di fare passeggiare qualche carabiniere per le vie del centro e, quando si trattò di mandare i poliziotti in giro per Napoli, le reazioni della popolazione furono molto negative. La situazione venne brillantemente riassunta da una signora che disse:

–Una l’ordine lo vuole, ma non troppo ordine –.

Poi, incurante della realtà e del ridicolo, in diverse occasioni il Berlusconi ha affermato che la fiducia dei cittadini è cresciuta e che i crimini denunciati sono diminuiti del dieci per cento, ma ogni sua sparata propagandistica è stata immediatamente seguita da una raffica di omicidi. Immancabilmente, ogni volta che il Berlusconi vanta grandi successi nella lotta al crimine, qualche padre di famiglia stermina i parenti a fucilate.

Vostro Claudio Giusti

La Pena di Morte Americana è come la cura Di Bella

LA PENA DI MORTE AMERICANA E’ COME LA CURA DI BELLA:
non serve a nulla, non produce nulla, costa moltissimo, ma è utile in politica.

In questi trent’anni di esperimento americano ci sono state quasi 1.000 esecuzioni. Per ottenerle si sono tenuti migliaia di processi che hanno prodotto 7.000 condanne a morte, che a loro volta hanno causato decine di migliaia di appelli statali e federali e decine di migliaia di pronunciamenti di corti superiori. Questi hanno prodotto centinaia di sentenze delle Corti Supreme statali e almeno 200 sentenze della Corte Suprema federale. Queste sentenze sono state accompagnate da dozzine di dissenting e cuncurring opinions e commentate da centinaia di articoli e saggi, mentre migliaia di giuristi hanno perso il sonno per cercare di entrare negli arcani meandri del loro esoterico linguaggio.
In questi trent’anni ci sono stati milioni di udienze preliminari, di mozioni pre-tial, di testimonianze, di analisi di laboratorio e di arringhe, mentre centinaia di migliaia di giudici, giurati, impiegati, testimoni, poliziotti, esperti, medici, psichiatri, avvocati e procuratori vi hanno speso miliardi di ore di lavoro. Sono stati scritti infiniti articoli di giornale e innumerevoli saggi di riviste giuridiche e sono stati pubblicati centinaia di libri e rapporti. Ci sono state dozzine di commissioni e di studi scientifici e si sono tenuti innumerevoli dibattiti, conferenze, seminari e congressi, in cui due generazioni di abolizionisti hanno fatto i capelli bianchi.

Il costo economico di tutto questo immenso casino è enorme, mostruoso, incalcolabile. In Florida ogni cottura sulla sedia elettrica, alla fiamma o al sangue, è costata 24 milioni di dollari. Per fare 10 esecuzioni la California ha speso, dal 1982, 90 milioni di dollari l’anno. Ognuna delle 1.000 esecuzioni è costata al contribuente americano molti milioni di dollari. (vedi il mio “il costo della pena di morte”)

Questa immane catastrofe non ha prodotto alcun risultato (a parte i 1.000 disgraziati uccisi a sangue freddo). Gli stati con la pena di morte non sono più sicuri di quelli senza. Anzi! Di norma succede il contrario e chi ha abolito la pena capitale ha un tasso di omicidio più basso di chi non l’ha fatto.

Se gli Stati Uniti fossero il paese pragmatico di cui si favoleggia avrebbero abolito la pena di morte da molto tempo. Sono invece preda di un’ideologia machista da quattro soldi e questo spiega, con la ferocia e la stupidità della classe media bianca, l’ostinazione con cui si spendono cifre da fantascienza per alcuni sacrifici umani.

Il guaio è che la pena capitale offre una risposta semplice a problemi complicati. Generazioni di politicanti, non solo americani, si sono abituati a usarla come rimedio per tutti i mali: tanto non sono mica i ricchi a essere impiccati. Non per nulla pena capitale significa che chi non ha il capitale si becca la pena. In definitiva la pena di morte è uno strumento con cui sa fa politica e con cui si ottengono cariche politiche.

Non è certamente per combinazione che il ritorno in grande stile del patibolo sia avvenuto in coincidenza con l’affermarsi delle primarie. Questo tanto decantato sistema ha, fra i molti difetti, quello di consentire a qualche “ragazzo meraviglia” di farsi eleggere presentandosi con una piattaforma elettorale semplice ma comprensibile persino agli elettori americani: – impicchiamo i negri -.
Negli anni settanta uomini politici senza scrupoli, capitanati dal presidente Nixon e dall’allora governatore Regan, non si fecero problemi nel trasformare in legislazione le pulsioni animalesche dell’elettore medio. Altri hanno mandato a morte una quantità di persone al solo scopo di mostrarsi “duri col crimine” e farsi eleggere. (vedi il mio “La pena di morte come prodotto finale del sistema politico elettorale americano”)

Ora è il governatore del Massachusetts a rinverdire la tradizione. Costui, incurante della storia e del ridicolo, ha costituito una commissione che gli avrebbe preparato una pena di morte “a prova d’errore”. Ignaro dei veri problemi della pena capitale pensa che il test del DNA sia il nuovo “proiettile d’argento” nelle mani dei procuratori e riduce tutto ad una questione di innocenza o colpevolezza.

Quest’anno però, comunque vadano le cose in Massachusetts, sarà la Virginia ad essere il campo di battaglia della pena di morte. Nel Commonwealth, secondo solo al Texas per numero di esecuzioni, il candidato repubblicano alla carica di governatore sarà l’attuale Procuratore di Stato Jerry Kilgore: un fanatico sostenitore della forca, mentre il candidato democratico sarà l’avvocato Timothy Kaine. Costui, difensore d’ufficio di due giustiziati, è il primo in trent’anni a dichiararsi apertamente contro la pena capitale. Lo scontro sarà epico, ma non perché il democratico possa essere un pericolo per la pena di morte più efficiente d’America: il problema viene da ben più lontano.

Sono ormai più di dieci anni che il Washington Post e Time magazine cercano inutilmente di avere il permesso di effettuare il test del DNA su alcuni reperti riguardanti il caso di Roger Keith Coleman. Coleman, che si proclamò innocente fino all’ultimo, venne mandato al patibolo grazie a prove risibili e il suo caso non ebbe appello, perché il suo avvocato presentò la richiesta in ritardo.
Il povero Coleman è stato ucciso nel 1992, ma il test non avrà un valore puramente accademico, perché un eventuale risultato negativo dimostrerebbe, per la prima volta in più di un secolo, che un innocente è stato ucciso, e questo, anche se l’opinione pubblica lo dà per scontato, avrebbe un impatto devastante sul sistema giudiziario americano. Questo spiega perché il Commonwealth of Virginia si oppone con tanta determinazione all’esecuzione del test.


Dott. Claudio Giusti

COMITATO “3 LUGLIO 1849”
Per i diritti umani, contro la pena di morte
Membro fondatore della World Coalition Against Death Penalty

Pena di Morte Americana 2004

Dedicato a Martin Malia 1924 – 2004

Secondo il Death Penalty Information Centre nel corso del 2004 sono diminuite sia le esecuzioni che le condanne a morte. A mio giudizio le cause che hanno diminuito il numero delle condanne sono almeno tre: riduzione degli omicidi, crisi economica e sfiducia nel sistema giudiziario.

Diminuzione degli omicidi.

Come in Italia anche negli USA, nel decennio scorso, il numero degli omicidi è diminuito. Negli Stati Uniti si è passati dai 22.000 omicidi l’anno, con una punta di quasi 25.000 nel 1991, ai 15.638 del 2001. In Italia nello stesso periodo gli omicidi si sono più che dimezzati, arrivando, nel 2001, alla cifra record di 638, poi sono cresciuti del 12%. Le cause della diminuzione americana sono molteplici e vanno dal miglioramento delle tecniche di pronto soccorso alle tattiche più aggressive della polizia, da un maggior controllo sulle armi alla fine della “guerra del crack”.

Crisi economica

Gli stati (responsabili di quasi tutte le esecuzioni) hanno sempre meno denaro da spendere e, visto che non possono chiudere tutte le scuole, hanno ridotto i soldi anche al sistema giudiziario. Questa riduzione delle risorse si è trasformata in una maggiore propensione al patteggiamento e in una diminuzione dei costosissimi processi capitali (vi rimando al mio “il costo della pena di morte”).

Sfiducia.

La pena di morte americana sta crollando sotto il suo stesso peso. Nonostante l’entusiasmo forcaiolo di Bush il sistema risente di una grande stanchezza. Alcuni giudici come Sandra Day O’Connor hanno espresso in pubblico il loro scetticismo e le giurie non sono più così disponibili a esaudire i desideri dei procuratori. Tre possono essere le cause della maggiore diffidenza delle giurie: la nuova generazione di telefilm “giudiziari”, gli scandali dei laboratori di polizia e gli innocenti liberati.

I nuovi telefilm a sfondo giudiziario come The Practice, pur essendo ancora lontani dalla realtà della giustizia americana, sono molto più realistici di quelli sfacciatamente falsi di Perry Mason. Questa rappresentazione più vera e meno accattivante del sistema giudiziario ne ha notevolmente ridotto l’appeal presso il pubblico dei potenziali giurati.

I periodici clamorosi scandali, recentemente culminati con la chiusura del laboratorio della polizia di Houston, hanno aumentato lo scetticismo del giurato medio che non sembra più essere propenso a credere a occhi chiusi a qualsiasi “camicie bianco” (vedi il mio “Ingiustizia letale”)

La maggior causa delle diminuzione delle condanne a morte è l’impressionante numero di persone innocenti, non necessariamente condannate al patibolo, rilasciate dalle carceri americane. Non c’è giorno in cui non vi sia la notizia di qualche disgraziato che, dopo anni o decenni di galera, viene lasciato andare perché innocente. Anche se i procuratori affermano che non si tratta di innocenti, ma di colpevoli che riescono a sfuggire alla giustizia, l’effetto sull’opinione pubblica è deprimente.

Catastrofi epocali come The Big Crash, il massacro di Tulia, i quattro del caso Roscetti e il caso della jogger di Central Park, si sono aggiunte allo stillicidio di casi singoli. L’Illinois ha liberato più condannati a morte di quanti presunti colpevoli abbia ucciso e la lista nazionale dei sopravvissuti ha raggiunto quota 117, mentre il Centro di Barry Scheck ha salvato, grazie al test del DNA, 154 innocenti. Secondo il Reverendo McCloskey il 10% dei 2.200.000 galeotti americani è innocente come, secondo Espy, lo erano il 5% dei 19.000 giustiziati.

La sensazione che hanno gli americani è che il loro sistema non sia, come dice l’ex governatore Ryan, in grado di stabilire chi è colpevole e chi è innocente, e che, ai moltissimi innocenti nel braccio della morte, se ne aggiunga qualcuno che è stato ucciso. Il risultato finale è che i giurati, anche se hanno dichiarato una persona colpevole di omicidio, non se la sentono di farla ammazzare.

Quanto detto non vale, ovviamente, per il Texas.


Dott. Claudio Giusti

COMITATO “3 LUGLIO 1849”
Per i diritti umani, contro la pena di morte
Membro fondatore della World Coalition Against Death Penalty

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