Servizi

Roberto Balzani: Il programma delle primarie

Cara Elettrice, Caro Elettore,

ti presento una rassegna delle mie idee programmatiche, frutto di una campagna d’ascolto molto ricca e vivace e dei tanti contributi di tanti volonterosi amici e compagni di strada. Non sono tutte, ovviamente. Sono quelle sulle quali potrai misurare la differenza rispetto ad altri candidati e ad altri modo d’impostare la politica locale. Spero ti persuaderanno. In ogni caso, anche se così non fosse, spero apprezzerai l’onestà intellettuale che le ispira. In un mondo di ipocrisie e di luoghi comuni e di slogan, già il solo riconoscersi sinceri non mi pare poco.

Metodo

Parto dal metodo. La politica, così come si presente oggi in Italia, dal centro giù giù a cascata fino alle città e ai paesi, secondo me non funziona. I cittadini sono sempre più sudditi (ormai è tolta loro anche la possibilità di scegliere una faccia da votare: ecco perché è prezioso l’esempio delle primarie!), mentre la distanza fra i centri del potere reale e l’esperienza quotidiana delle persone è stata approfondita dalla crisi economica. Io credo che il Pd avrà la possibilità di affermarsi, in Italia, solo se saprà far funzionare la macchina della partecipazione dal basso. Ma non in senso demagogico: occorre che i cittadini partecipino, decidano, e poi verifichino. Il poco tempo che hanno a disposizione dev’essere messo a frutto. Quindi, per i politici: limite delle due legislature, parità di genere per affermare una presenza femminile più di quanto oggi sia avvenuto, inclusione di giovani e di individui selezionati sulla base del merito. Essi dovranno rendere pubblici i loro redditi attraverso un’apposita anagrafe degli eletti. Dovranno inoltre – almeno così sarà, se diventerò Sindaco – documentare attraverso strumenti di comunicazione accessibili (penso ad Internet) l’esito dei principali progetti varati dall’amministrazione, perché ciascuno possa rendersi rapidamente conto di quanto si è speso e di come lo si è speso. Ma ci sono doveri anche per i cittadini: partecipare vuol dire impegnarsi di più, tenere le mani sulla democrazia. Il Comune cercherà di avvicinarsi, di ascoltare: i cittadini dovranno reagire, chiedere, controllare. La libertà ha un prezzo che dobbiamo pagare tutti.

Cosa farò io

I politici dicono sempre quello che debbono fare gli altri. Vorrei dirti quello che farò io. Se sarò eletto, dedicherò a questa avventura tutto il mio tempo e le mie energie per 10 anni al massimo. Dopodiché, riprenderò a fare il mio mestiere, che è quello di professore universitario. Tornerò ai miei colleghi, ai miei studenti e ai miei studi. Se perderò le primarie, tornerò subito alla mia professione e non assumerò alcun incarico pubblico di tipo politico o amministrativo. Mi batterò, da semplice cittadino, perché altri portino avanti le idee nelle quali ho creduto: se possibile, una nuova generazione di giovani, di donne, di persone appassionate e perbene.

Cosa farò fare agli altri

I tempi sono duri, e forse il peggio deve ancora venire. Per affrontare il peggio, ci vuole un gruppo di persone libere, disinteressate e dotate di forti principi morali e democratici.

Occorre dare un esempio. Fra i primi, ci sarà la revisione di tutte le società partecipate, di tutte le strutture con consigli d’amministrazione ecc. che ruotano intorno al Comune. Vedremo se funzionano, se servono davvero, se possono essere accorpate o se debbono essere chiuse. Abbasseremo drasticamente compensi e prebende, in modo che ogni euro risparmiato in questo modo vada restituito ai cittadini rafforzando e difendendo i servizi alla persona, dall’assistenza alla scuola. Ci sono settori – penso al nido – in cui c’è ancora tanto da fare per aiutare le donne, soprattutto se lavorano o vogliono lavorare; così come occorre creare, con le associazioni dei consumatori, un centro di ascolto e di supporto materiale per orientare famiglie, anziani soli, immigrati nella giungla delle tariffe e dei servizi, in modo da far valere reclami e diritti. Il Comune deve assumersi questo compito civico difensivo; deve proteggere la sua comunità in un momento difficile; deve monitorare le condizioni di disagio e pretendere che su questioni delicate – i mutui alle famiglie e alle piccole imprese, ad esempio – il sistema economico locale faccia la sua parte.

Oltre la paura: un patto per il futuro

Caro Elettrice, caro Elettore, parliamoci chiaro: abbiamo paura del futuro, perché non riusciamo a vederlo, non capiamo che cosa potrà riservarci. Ebbene, ti propongo questo patto, che è difensivo e insieme offensivo. Difensivo, perché vuol salvaguardare quel tanto di buono che abbiamo: penso al nostro Ospedale pubblico, che è un servizio irrinunciabile alla comunità e che non può essere privato delle risorse necessarie al suo sviluppo; penso alle tante istituzioni, pubbliche o semi-pubbliche, che aiutano il cittadino nei suoi bisogni, che sono sane finanziariamente, e che perciò dobbiamo rispettare nella loro integrità. Penso alla nostra scuola, nella quale il Comune investe da quasi 150 anni e che è davvero di qualità elevata. Gli esempi potrebbero continuare. E poi c’è la parte offensiva, la sfida al “grande nulla” che ci si para di fronte. Io credo che il “grande nulla” sia il frutto della nostra incapacità di batterci uniti come comunità: e ti dirò ora come penso di farlo.

Unire il territorio, alzare il livello della sfida

Da sola Forlì non ha molte speranze: è una città medio-piccola, circondata da altre città, in genere piuttosto dinamiche. In questi anni, ha pagato duramente il suo isolamento: abbiamo un aeroporto in affanno, una fiera senza futuro, una logistica che, su scala municipale, non ha senso. Forlì deve recuperare anzitutto il suo ruolo di “capoluogo”, dialogando con i Comuni del comprensorio, risolvendo insieme una parte dei problemi comuni, organizzando il territorio secondo i principi di sviluppo di qualità e di rispetto dell’ambiente. In secondo luogo, deve aprire un grande confronto su scala romagnola per unire i territori, per farli dialogare sulle grandi questioni comuni (infrastrutture materiali e immateriali, in primo luogo). Per far ciò, ci vogliono persone che abbiano una visione, che non si fermino al campanile, che sappiano discutere ovunque, in Romagna e oltre. Il mio sogno è semplice unire province, risparmiare sui costi della politica, restituire quello che si risparmia ai cittadini in qualità del vivere, facilità di movimento, sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale. Questa cosa si può fare da subito: basta volerla. Dammi una mano per mettere in piedi l’unico, vero laboratorio di trasformazione territoriale capace di andare contro la logica oggi imperante: aumentare le divisioni e i livelli di governo e moltiplicare i costi.

Una visione della città

Abbiamo tutti bisogno di una visione della città. Forlì ha già individuato i suoi poli di crescita, ma è venuta su in modo poco coordinato, sull’onda delle spinte dell’industria edilizia. Il centro storico manca d’identità è resta una ferita aperta; i quartieri non sono ben collegati al cuore pulsante della realtà urbana; i passaggi fra i diversi spazi – residenziali, produttivi, o dedicati ai servizi – paiono poco fluidi. Abbiamo bisogno di sviluppare le arterie che uniscono la nostra comunità: a partire, nel centro, da un allargamento delle zone pedonali o a traffico limitato, connesse con le aree esterne da una viabilità che renda generalizzati i percorsi ciclabili (anche in profondità, fin dentro la campagna, fino alle frazioni, spesso immerse in ambienti naturali da riscoprire) e consenta un efficiente servizio pubblico. Dobbiamo mettere in sicurezza tali percorsi per i nostri ragazzi, per gli anziani, per tutti coloro che intendono recuperare non solo il centro, ma tutto l’ambiente comunale ad una dimensione aggregativa, d’integrazione e di interrelazione: la sola strada che abbiamo per vincere davvero le paure e affermare un senso di piena legalità ovunque. Nello stesso tempo, i residenti e coloro che frequentano i negozi del centro devono poter disporre di un sistema di comodi parcheggi, il meno appariscente ed invasivo possibile. Ma la legalità, che significa anche, quando è necessario, repressione dei comportamenti devianti, non si può imporre solo affidandosi alle forze di pubblica sicurezza. Sono proprio loro, anzi, a chiedere che la legalità rappresenti una modalità applicata in modo coerente, dai comportamenti degli amministratori, ai concorsi pubblici, all’educazione dei giovani, alle diverse forme di responsabilità individuale e collettiva. Fra queste, segnalo il passaggio culturale della raccolta indifferenziata, destinata allo smaltimento nell’inceneritore, alla raccolta differenziata, nella prospettiva di giungere al sistema porta a porta. Là dove la prima postula l’irresponsabilità e un approccio produttivistico al rifiuto, là seconda implica risparmio, riciclo, atteggiamento sobrio e solidale. Si tratta davvero di un modo diverso d’impostare il nostro modo di essere comunità.

Sviluppo di qualità

Ed ecco la grande questione: lo sviluppo. Io credo che lo spazio per un sviluppo essenzialmente estensivo, imperniato sul primato immobiliare/edilizio, non sia riproponibile come nei tempi trascorsi. In primo luogo, perché il territorio è un bene finito, e quindi va amministrato con parsimonia; in secondo luogo, perché la crisi ha alzato l’asticella della sfida, facendo giustizia di tutte le comode scorciatoie indirizzate verso l’Eldorado di una facile moltiplicazione della ricchezza. La competizione si affronta con interventi intensivi. Da una parte, sfruttando tutte le potenzialità (già presenti a livelli d’infrastrutture) delle nuove tecnologie, a partire dalle fibre ottiche. L’applicazione su vasta scala di tali tecnologie può consentire la semplificazione dei processi burocratici, l’accesso da casa ai servizi da parte del cittadino e delle imprese, l’uso a scopo educativo di progetti viaggianti su supporto elettronico o addirittura la partecipazione dei cittadini, attraverso forme di referendum e d’inchieste rapide. In questo modo, la componente più anziana della società potrà usufruire più facilmente (cioè senza code) dei servizi erogati secondo criteri tradizionali. Dall’altra, l’asse con l’università deve tornare ad essere una priorità dell’Amministrazione. Ne abbiamo bisogno per potenziare il polo tecnologicoaeronaiutico, nel quale abbiamo investito milioni di euro, e anche per favorire il trasferimento tecnologico e diffondere standard di più elevata qualità anche presso le piccole e medie imprese.

Il Comune deve approfittare dell’Università per aprirsi, per imitare quanto di meglio si fa in Europa, per invitare i giovani brillanti a confrontare le loro idee con il nostro territorio, per apprendere, per costruire, per destinare spazi e risorse a iniziative originali e importanti. In questo senso, il senso di responsabilità ambientale non è per me un vincolo e un limite: maggiore è il livello di qualità che pretenderemo dalla nostra comunità, maggiore sarà la qualità che sapremo chiedere agli imprenditori e le possibilità di agganciarci al carro della crescita vera. Dunque, un patto decennale con l’Università per rafforzare l’insediamento e, d’altro canto, un utilizzo sapiente delle risorse umane prodotto dall’Ateneo. Fino ad oggi non siamo riusciti in questo progetto, che è decisivo per il nostro futuro.

Insieme

Di una cosa, cara Elettrice, caro Elettore, puoi star certo: tutto quello che farò non sarà deciso fra pochi, nel chiuso di una stanza o nello studio di un professionista: sarà adottato con un processo partecipativo limpido e trasparente. Così sarà per le politiche giovanili, per quelle culturale, per le tante cose di cui non riesco a parlare in queste poche frasi per non annoiarti troppo. Mi batterò al tuo fianco contro i monopoli dei servizi, per tagliare il vincolo perverso che li lega alla politica locale; ti verrò a cercare per chiederti che cosa pensi, che cosa vuoi; ti farò proposte perché tu possa scegliere. Voglio dare a Forlì la speranza di un futuro: proprio adesso, nell’ora più buia. So che tutto è più difficile, che le difficoltà sono immense, che la vita nostra, pubblica e privata, sarà dura e complicata nei prossimi mesi. Proprio per questo, quando le speranze vacillano è giusto che le persone di buona volontà si diano una mano e, per una volta, battano un colpo, dimostrando la loro forza e la loro volontà di cambiamento. Aiutami e, insieme, ce la faremo.

Grazie.
Roberto Balzani

Leggi anche il programma della coalizione che sostiene Roberto Balzani come candidato sindaco!

La linea amica di Brunetta non rispetta la legge sull’accessibilità

Al contrario di quanto scrive nella sezione accessibilità, il nuovo sito per la PA di Brunetta non rispecchia la legge Stanca sull’accessibilità. E’ una cosa importante, obbligatoria per legge per le pubbliche amministrazioni, perché l’inaccessibilità rischia di impedire l’accesso ad utenti con disabilità o che utilizzano sistemi diversi per la lettura rispetto a quelli testati da chi ha realizzato l’opera.

Non solo non rispetta la legge, ma non valida nemmeno nè l’HTML nè il CSS.

Però la favicon ricorda i colori della Microsoft.

Una analisi delle società partecipate a partire dal Comune di Forlì

Ieri in Consiglio Comunale abbiamo discusso (senza voto) sul ruolo delle società partecipate del Comune di Forlì. Queste società tolgono in generale potere decisionale dalle mani del Consiglio, e quindi dal controllo elettorale dei cittadini, e servono ad uno scopo ben preciso: conseguire l’oggetto sociale su indirizzo dell’amministrazione.
Non sempre questo avviene, e la gran parte dei problemi deriva non tanto dagli indirizzi che l’amministrazione cerca di imporre, ma dalla struttura societaria. Una S.P.A. come Hera, anche se a maggioranza pubblica, cercherà di perseguire come scopo il maggior dividendo possibile, altrimenti le sue quotazioni in borsa perderanno valore.
In questi giorni si è parlato tanto della crisi finanziaria di Sapro, che deriva dalla mancata vendita dei terreni a disposizione (sulla stampa si parla di circa 100 mln di euro di debiti). In questo caso il problema è aggravato dai conflitti d’interessi tra chi programma l’uso del territorio (il Comune, la Provincia), chi ha bisogno di aree (i privati) e Sapro (che è di proprietà delle amministrazioni locali).
Nella delibera che ci è stata presentata ieri Sapro viene individuata tra le società che si occupano di servizi di interesse generale a libero mercato. Questo però non combacia con le richieste fatte dalla società di coprire con una lettera di patronage (una garanzia) l’indebitamento con le Banche.

Quale società nel libero mercato può godere delle stesse garanzie?
Il ruolo del Comune nei confronti della sua società, al di là del patronage, è particolarmente complesso. Quando il Comune programma il territorio, modificando la destinazione d’uso dei terreni, va ad incidere sul bilancio di Sapro.

Uno schema per chiarire:
– Gli enti pubblici dettano gli indirizzi e fanno la programmazione del territorio.
– Sapro ed altri privati realizzano questi indirizzi, anche con accordi di programma fuori dalle previsioni.
– Gli enti pubblici sono proprietari di Sapro.

Nell’accordo di programma Querzoli-Ferretti, ad esempio, la scelta politica di fare un accordo di programma ha permesso alle aziende di non utilizzare i terreni di Sapro. Se non lo avesse fatto probabilmente le aziende si sarebbero rivolte a questa società, che avrebbe migliorato i suoi bilanci (ed essendo partecipata anche quelli dei suoi proprietari, tra i quali il Comune). In ogni caso queste scelte politiche incidono, in un verso o nell’altro, sul mercato e sui bilanci.

Gli accordi di programma e le continue varianti permettono di superare qualsiasi programmazione, sulla base di un interesse pubblico difficilmente dimostrabile.

Tornando ad Hera, qui i problemi di gestione e governance si moltiplicano:
– Il Comune dovrebbe impostare gli indirizzi
– l’ATO, che raduna tutti i comuni, dovrebbe gestire le tariffe
– Hera ha in affidamento i servizi pubblici
– Il Comune ha una partecipazione in Hera

I problemi sono ben facili da individuare in questo ciclo chiuso: senza fare una gara d’appalto, in questi anni ATO è stata costretta ad accettare le tariffe richieste da Hera. I guadagni di Hera sono anche i guadagni del Comune e degli enti che fanno parte di ATO (quindi paradossalmente il committente è proprietario del fornitore).
I guadagni di Hera sono i guadagni degli enti proprietari, che dovrebbero fare gli indirizzi (inceneritore sì, inceneritore no, porta a porta no).

La scarsa percentuale di partecipazione ha fatto perdere agli enti qualsiasi capacità di indirizzo: il 2.15% del comune di Forlì in Hera certamente non sposta nulla nel CDA.

Si aggiunga poi che il Comune è proprietario di Romagna Acque, che vende l’acqua ad Hera, o che Hera è proprietaria di parte di Agess, che scrive i piani energetici del Comune (che include ad esempio il teleriscaldamento di Hera). Si possono individuare molti altri problemi che certamente rendono più complicata la guida e la gestione dei servizi pubbilci.

Sul teleriscaldamento si gioca un’altra partita complicata e sottovalutata: le reti dell’acqua e del gas, per fortuna, sono pubbliche. Il teleriscaldamento invece è totalmente di proprietà del gestore, che è proprietario anche delle reti: in futuro se un’altra ditta vorrà fornire il servizio dovrà sfruttare le reti di Hera, che come concorrente ha la possibilità di impedirlo.

Non è una ipotesi assurda, se pensiamo a quanto è avvenuto sulla telefonia, sia fissa sia mobile. Per quella fissa abbiamo liberalizzato il mercato vendendo le reti (il doppino è di telecom). In questo modo telecom ha sempre avuto il controllo, che porta le nostre bande larghe per internet tra le più care d’Europa.
La proprietà privata delle reti di telefonia mobile, invece, hanno moltiplicato il numero di antenne per i cellulari: ogni gestore ha le sue. E questo difficilmente può essere considerato un bene.

Bisognerebbe fare quindi una riflessione approfondita sul ruolo delle società partecipate, sulla loro necessità e sulle modalità per recuperare trasparenza, governance e credibilità.

Sono molto curioso di sapere in quanti hanno letto fino alla fine questo lungo articolo, ed hanno una loro opinione in merito, penso che il tema sia uno dei più importanti per una amministrazione pubblica.

La censura su Facebook ed i proprietari dei nostri dati

La polemica scaturita per la decisione di Facebook di censurare utenti che pubblicavano foto di allattamenti è interessante. Mi ricorda l’intervento che ho fatto al Nanosocial#2, durante il quale la sostanza molto riassunta del dibattito con i presenti era che in casa d’altri si rispettano le regole degli altri. Non tutti, aprendo un account su facebook, si rendono conto di inserire materiale in uno spazio che non è il loro, e che per questo semplice motivo perdono gran parte dei diritti che sarebbe normale esercitare in uno spazio proprio.
Facebook non fa pagare un canone per il suo servizio, ed in cambio di questa gratuità impone la sottoscrizione di un patto che toglie spazio.

L’impossibilità di pubblicare un seno che allatta è solo una delle possibili controindicazioni nell’uso di Facebook come spazio primario per le proprie attività online, e forse una delle meno gravi. Oggi non si può fare questo, domani – soprattutto se dipenderemo più di oggi da questa piattaformaqueste limitazioni potrebbero essere ben peggiori.

Per questo motivo consiglio a tutti una attenta riflessione: usate Facebook come una rubrica, un punto d’uscita dei vostri contenuti, un modo per contattare più persone, ed aprite un vostro spazio sul web con un vostro dominio.

Internet è nata per essere decentralizzata, spostando tutti i nostri contenuti su una piattaforma di una azienda monopolista perderemo il più grande dei vantaggi della web: la rete.

Inauguriamo anche le manutenzioni, chissà che i servizi non migliorino

Pare che non ci sia nulla di meglio di una inaugurazione per mostrare di aver fatto qualcosa. Per questo, di fronte ad una scelta molto semplice, il denaro pubblico viene sempre riversato su qualcosa di nuovo piuttosto che sul miglioramento o mantenimento dell’esistente.
Il servizio di trenitalia oggi è tremendo: le esperienze di disagi, ritardi, treni annullati o fermati in transito sono talmente frequenti che tutti potrebbero raccontare qualche episodio.
Così non mi stupiscono i primi disagi di Frecciarossa, immagino che la figuraccia verrà riparata in fretta con un disagio Trenitalia standard.
Quando accadono queste cose, però, dovremmo chiederci come cittadini se veramente valga la pena bloccare una rete o ritardare investimenti necessari, per avere un trenino che risparmia meno di mezzora di tempo al costo di qualche miliardo di euro.
Chi usa il trasporto collettivo ha bisogno di certezza negli orari, sicurezza contro i guasti, organizzazione e logistica.
Dovremmo inventarci un modo per inaugurare anche gli interventi di manutenzione, in questo modo probabilmente aumenteremo gli investimenti per l’efficienza delle nostre reti.

Torna su