Generale

Compilare un src.rpm

Volete provare ad ottimizzare un pacchetto rpm che utilizzate spesso e/o utilizza pesantemente il pc?
Provate ad utilizzare il comando rpmbuild.
Mettiamo che abbiate scaricato un file nome.src.rpm
allora compilatelo così:

#> rpmbuild –rebuild –target i686 nome.src.rpm

Nuovo aggiornamento di scuola online

Ricevo ed inoltro:

E’ on-line il nuovo aggiornamento del sito http://www.scuolaonline.wide.it. Questa settimana è stata aggiunta una nuova sezione (Approfondimenti), destinata a raccogliere e diffondere materiali che, pur non essendo dei veri e propri libri di testo, risultino utili per lo studio, per la ricerca o per la progettazione del lavoro didattico.
Pubblichiamo questa settimana, in formato Pdf, la Guida per la ricerca di A. Sciotto – F. Gabrielli – G. Longoni – M. Di Salvatore.
Si tratta di un interessante strumento per la preparazione delle cosiddette “tesine” per gli Esami di Stato.
La pubblicazione on-line di questo testo, già uscito in formato cartaceo, viene autorizzata dagli Autori e dall’Editore, mantenendo salvo il Copyright. E’ consentito scaricare e diffondere la Guida, ma non ne sarà consentita alcuna modifica.
Con il prossimo aggiornamento riprenderà la pubblicazione di “Letteratura Italiana – Libro aperto”.

Sperando che prima possibile arrivi anche in Italia l’uso dei wiki-books, scavalcando il problema di mantenere rigide le licenze, i Copyright ed i permessi di modifica, utilizzando uno strumento che sta avendo una diffusione vastissima per la creazione di contenuti collaborativi (il wiki ed i suoi derivati).

Una Controversa Direttiva sulla Proprietà Intellettuale

Grazie ad Andrea Glorioso, un comunicato del gruppo IP Justice è stato tradotto in italiano. Si tratta di una direttiva sulla proprietà intellettuale che sta arrivando alla sua definizione finale, e che se verrà introdotta nel modo in cui è stato annunciato, permetterà un maggiore controllo delle major nei confronti dei cittadini europei, permettendo ad esempio la perquisizione con il solo sospetto dell’uso di sistemi di peer to peer.
C’è un problema di fondo di equilibrio tra reato e pene, che si sta cercando risolvere tramite leggi che propongono una situazione di svantaggio per gli utenti finali. Chi utilizza sistemi illegali di riproduzione a scopo commerciale, infatti, in proporzione è molto più tutelato rispetto ai semplici utilizzatori dei sistemi informatici, che potrebbero venire perquisiti e perseguitati sulla base di semplici ipotesi, non comprovate da indagini, magari perpetrate da major che sono state danneggiate dalla persona in questione.

Non credo che le multinazionali del software possano permettersi di denunciare tutti coloro che non rispettino le loro licenze, ma il rischio che si possa indirizzare un sistema legale molto severo verso alcuni determinati soggetti scomodi è reale ed iniquo.

Non si possono creare leggi che non si possono controllare, il rischio è sempre quello di creare un sistema giuridico iniquo, che possa essere utilizzato come strumento di oppressione verso piccole realtà, invece di cercare di svolgere il suo compito di rendere i diritti degli uomini uguali per tutti.

IP Justice Media Release ~ 23 Febbraio 2004

Contatti: Robin D. Gross, Direttore Esecutivo IP Justice
+1 415-553-6261 robin@ipjustice.org

Una Controversa Legge sulla Proprietà Intellettuale

Oggi e domani (23-24 febbraio 2004) la controversa Direttiva dell’Unione Europea per l’Imposizione dei Diritti di proprietà Intellettuale (“European Union Directive for the Enforcement of Intellectual Property Rights”, IPRED) giungerà alle fasi conclusive di dibattito all’interno del Comitato per gli Affari Legali dell’EU (JURI). Nonostante sia stata criticata da gruppi per le libertà civili, da scienziati e da settori dell’industria per il modo estremamente rigido in cui i consumatori vengono trattati dalla direttiva, quest’ultima ha viaggiato all’interno del processo legislativo europeo con una velocità mai vista prima e minaccia di diventare legge dell’UE entro il prossimo mese.

Lo scopo originario della direttiva era l’armonizzazione delle legislazioni che i vari Stati Membri adoperano contro le
falsificazioni commerciali su larga scala. Ma degli accordi di corridoio hanno allargato lo spettro della direttiva fino ad includere qualsiasi violazione – incluse quelle minori, non intenzionali e non a scopo commerciale come nel caso degli utenti di sistemi P2P.

La direttiva crea dei nuovi e potenti strumenti per l’applicazione delle norme relative, strumenti che verranno usati contro il consumatore europeo medio che abbia commesso delle violazioni incidentali e non a scopo commerciale. Per esempio, i dirigenti dell’industria discografica potranno effettuare perquisizioni e sequestri nelle case degli utenti di sistemi P2P e bloccare conti bancari in base al semplice sospetto.

Questa direttiva non causerebbe alcun problema alla maggior parte dei consumatori se essa utilizzasse le proprie “armi nucleari” contro i grandi falsari. Ma la mancanza di proporzionalità nei confronti dei consumatori e delle violazioni a scopo non commerciale crea un grosso problema.

“Il Digital Millenium Copyright Act (DMCA) ha creato simili poteri extragiudiziari e tali poteri hanno permesso all’industria discografica di spaventare ed estorcere denaro a migliaia di consumatori statunitensi che utilizzavano sistemi P2P per scambiarsi brani musicali” – ha detto Robin Gross, avvocato e Direttore Esecutivo di IP Justice, un’organizzazione internazionale per le libertà civili che promuove una legislazione equilibrata in materia di proprietà intellettuale – “L’ampiezza esagerata della direttiva permetterà all’industria discografica di violare i diritti di milioni di consumatori europei per delle violazioni minori”.

Lo scorso autunno una coalizione internazionale di 50 gruppi per le libertà civili hanno inviato una lettera al Comitato per gli Affari legali dell’EU (JURI) invitando quest’ultimo a respingere la proposta di direttiva a causa del danno che che essa avrebbe creato alle libertà civili, alla concorrenza e all’innovazione. La lettera della Campagna per un Ambiente Digitale Aperto (“Campaign for an Open Digital Environment”, CODE) stata tradotta in 9 lingue.

Particolarmente problematico il fatto che questa direttiva ha attraversato l’intero processo legislativo a rotta di collo. Il
Proponente della direttiva (che anche la moglie del CEO di Vivendi), la Sig.ra Janelly Fortou, ha utilizzato il “Fast Reading”, una procedura usata raramente per direttive non controverse in cui vi sia inoltre un accordo unanime sull’oggetto di discussione. Bisognerebbe far sì che questa direttiva, enormemente controversa, sia sottoposta ad una seconda lettura dove le sue disposizioni possano essere adeguatamente dibattute dal pubblico e dal legislatore prima di venire imposte in tutta Europa.

Il software libero è un’occasione per il no-profit

Il software libero è un’opportunità. Sono in molti a credere in questa affermazione.
www.nosi.net, La Nonprofit Open Source Iniziative, ora dice che il software libero è un’opportunità particolarmente interessante per le associazioni no-profit, pubblicando un documento-manuale per l’utilizzo di questo tipo di programmi nelle organizzazioni senza scopo di lucro.

Tra i vantaggi citati sul sito, particolarmente interessanti per le noprofit sono la possibilità di condividere le esperienze, il basso costo di acquisizione, la mancanza di legami con aziende produttrici ed il basso costo necessario per lo sviluppo open source.

Anche se credo non sia necessario creare iniziative per ogni campo di applicazione del software libero, ritengo utile ogni pubblicazione di casi d’uso ed esempi di successo nei vari ambiti dove viene adottato l’OS con profitto.

Per questo motivo spero che il documento venga presto tradotto in italiano, per permettere anche alle nostre no-profit di trarne beneficio.

Lettera aperta al Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie

L’Associazione Assoli ha scritto una lettera aperta al Minostro per l’Innovazione e le Tecnologie, per chiedere di ritornare al testo originario della direttiva chiamata “Sviluppo ed utilizzazione deiprogrammi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni”.

Il testo originario ha subito diverse modifiche, eliminando il consiglio precedentemente inserito di utilizzare software con sorgente disponibile nelle pubbliche amministrazioni, per facilitare il riuso e lo scambio di codice tra realtà diverse.
Quando una pubblica amministrazione realizza un bando per lo sviluppo di software specifici su commissione, non c’è nessun vincolo per le ditte proponenti che le obblighi a fornire il codice sorgente del lavoro. Questo, di fatto, impedisce all’acquirente (che in questo caso è pubblico), di rimanere indipendente dal fornitore della prima versione del software, oppure di apportare modifiche senza acquistare tutto da zero.

Il testo originario della direttiva, tra le altre cose, poneva accento su questa importante questione, consigliando alle pubbliche amministrazioni di privilegiare il software a sorgente aperta per le realizzazioni di programmi ex-novo, oppure di inserire clausole nei contratti che permettessero di ottenere il sorgente in caso di fallimento o chiusura della ditta produttrice (evento purtroppo abbastanza frequente per le piccole aziende di informatica).

Il testo modificato, invece, è molto meno preciso e non contiene questi consigli, probabilmente a causa di pressioni che sono state fatte per evitare un passaggio troppo marcato al software libero nei bandi di commissione del software per le PA.

Concordo pienamente con la richiesta fatta da Assoli, che si dimostra ancora una volta molto attenta ai problemi anche politici che ostacolano o non-favoriscono l’adozione di questo tipo particolare di software.

Credo, e vorrei che non ci fosse così tanto bisogno di ripeterlo, che tutti gli strumenti che sono realizzati con soldi pubblici e che hanno costi di replicazione nulli (come il software o strumenti di formazione, incluso cioè tutto quello che sia possibile trasmettere tramite reti informatiche) debbano essere rilasciati con licenze che ne permettano il riuso.

Riutilizzare software significa non pagare 1000 volte la realizzazione di strumenti simili, ma farne uno che copra le 1000 esigenze e pagare per le personalizzazioni necessarie, i miglioramenti e tutto ciò che permette un incremento del valore che il prodotto porta alla pubblica amministrazione.
Fare un software ed usarlo 1000 volte per altrettante amministrazioni significa migliorare la sua qualità e risparmiare denaro che possa essere investito altrove.

Il discorso è diverso per tutto quello che necessita una produzione fisica: una sedia non può essere replicata a costo zero, ad esempio.
Utilizzare gli stessi criteri per prodotti totalmente differenti non ha alcun senso.

Se le grandi aziende utilizzano sensati criteri di riuso, non vedo perché non dovrebbe farlo anche lo Stato.

L’unica differenza, in questo caso, è che i soldi che si spendono sono i nostri.

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