Politica

No assemblea no party

Posto che il problema delle scelte comuni all’interno di un gruppo non è affatto di banale risoluzione, l’ultima discussione dentro al partito di Grillo è interessante non tanto per aumentare la portata della polemica, ma per capire quali decisioni prenderà la base in risposta a quelle imposte dall’alto.

Grillo dice che la sostanza dei partiti è

L’organizzazione in correnti, le strutture fisiche, i riferimenti territoriali, i pacchetti di voti, le assemblee nazionali, regionali, provinciali che propongono le liste degli eletti, che prendono decisioni per i cittadini, i leader e i leaderini, il finanziamento pubblico.

Lasciando stare gli elementi demagogici che servono a trainare concetti che non lo sono, vorrei analizzare brevemente la critica di Grillo.
Ovviamente il difetto dei partiti non è nella parola con la quale si indicano, ma, secondo lui, in come sono organizzati: assemblee nazionali, regionali, provinciali che decidono le liste dei candidati.

Ora bisognerebbe fare un passo indietro e ricordarsi chi è che ha deciso i candidati di Grillo. Di certo non i cittadini tramite assemblee pubbliche, ma nella migliore delle ipotesi i membri del gruppo locale, nella peggiore qualcun altro a livello nazionale chiedendone al limite una riconferma del gruppo locale.

E’ fisiologico che sia così: i cittadini non sono tutti attivisti del gruppo, e se ci fossero elezioni pubbliche verrebbero elette persone scelte da chi poi vota qualcun altro. Ma in assenza di assemblee che decidano chi candidare e le decisioni da intraprendere, con regole molto chiare e trasparenti, manca la democrazia interna al gruppo. Le decisioni non potranno che essere eterodirette, antidemocratiche, imposte dall’alto. E le mossette alla “rimetto agli elettori il mandato”, fatte con la sicurezza che le dimissioni non saranno possibili, sono solo un modo furbetto per imporre le proprie scelte pennellandole di finta apertura democratica.

La nostra Costituzione è stata scritta da persone che sapevano cosa significava la dittatura ed avevano toccato con mano che le nuove dittature si potevano costruire con il consenso. Nell’articolo 49, non casualmente, parla di “metodo democratico” come vincolo per l’organizzazione dei partiti che concorrono a determinare la politica nazionale.

Non c’è una vera democrazia senza che questa entri anche nelle organizzazioni che preparano le liste da candidare. Perché se in un menù ci sono solo portate alle quali siamo allergici, non potremo scegliere altro. Non è un difetto solo del partito di Grillo, ma di tutti i partiti che si reggono esclusivamente sulla figura di un leader.

Io mi auguro quindi che la parte dei grillini che comprende questa necessità aumenti e prevalga sul resto, che seguirebbe le istruzioni del capo qualunque esse siano, perché la democrazia è una cosa complicata e difficile, ma necessaria. In più, non basta invocarla, ma bisogna praticarla, ed oggi ci sono nuovi strumenti a disposizione per allargare la partecipazione.

A volte il rischio è che le scelte comuni non siano quelle volute dal capo, ma questo è il motivo e lo scopo per il quale si spende così tanto tempo e così tanti sforzi per mantenerla viva.

Altrimenti l’equivalente sarebbe dare in mano al capo lo scettro, risparmiando anche quattrini e tempo che oggi dedichiamo alle elezioni.

Meritocrazia.


Meritocrazia.
Tutti concordano, a parole, sul fatto che serva affidarsi alle persone migliori per riportare il treno del Paese sui binari giusti.

La Costituzione è molto chiara.
Per garantire questo principio ed ostacolare i clientelismi, le raccomandazioni e la corruzione, i padri della nostra Democrazia scelsero di scrivere in modo inequivocabile l’articolo 97: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Il concorso pubblico potrà avere i suoi difetti, ma è l’unico strumento che garantisce una selezione di merito, se organizzato secondo regole rigide ed assoluta trasparenza.

Pochi sanno che in Italia esistono decine di migliaia di persone, già vincitrici o idonee, che non vengono chiamate per diverse ragioni: il blocco delle assunzioni, la burocrazia e la volontà di selezionare diversamente il personale.
Forse la più importante è proprio l’ultima.

Praticamente tutte le amministrazioni pubbliche usano contratti precari per una fetta percentuale sempre crescente di dipendenti, scavalcando tranquillamente la nostra carta costituzionale.

I motivi di questa scelta non sono sempre di carattere economico.
Altrimenti non vedremmo casi in cui nonostante autorizzazioni già firmate, denaro disponibile e già destinato e decine di passaggi burocratici adempiuti, i vincitori e gli idonei rimangono comunque in attesa della raccomandata.

Saltando a piè pari i concorsi si superano con estrema agilità anche le garanzie di trasparenza che questi forniscono. Assumendo personale non scelto in maniera trasparente, chi ha in mano le redini può garantirsi potere discrezionale sulla selezione, con tutti i rischi di possibili illeciti che questo comporta.

Come ciliegina sulla torta, vengono poi i concorsi di “stabilizzazione”, che garantiscono enormi vantaggi diretti ed indiretti a chi già lavora in maniera precaria e quindi permettono di fissare a tempo indeterminato scelte fatte incostituzionalmente.

Trovarsi nella situazione di essere vincitore di un concorso, attendere 4 o 5 anni dal bando al risultato e vivere alla giornata per mesi o anni di attesa dalla notizia della propria vittoria, non è affatto semplice.

Vero, i vincitori di concorsi pubblici, sempre più rari, si trovano nella fetta dei più “fortunati”, quelli che hanno una speranza in più di molti altri.
Ma è una speranza guadagnata spesso con anni di sacrifici, di studi, di selezioni, e pure di denaro proprio speso in ricorsi amministrativi.
Vedersi scavalcati da chi probabilmente può annoverare una amicizia strategica, e vedersi lasciati soli dalla gran parte dei sindacati, dal Governo e dal Parlamento, rischia di trasformare la speranza in depressione e sfiducia nel proprio Paese.

Vengono infatti presentati emendamenti bipartisan in Parlamento per assicurare proroghe e deroghe per garantire la continuità ai lavoratori interinali (vedi 1 e 2)

I vincitori e gli idonei rimangono compostamente in fila e si vedono continuamente scavalcati da chi non ne ha il diritto.
Il 20 di Giugno alcuni di questi, organizzati dal Comitato XXVII Ottobre cercheranno di farsi capire e vedere.

Le considerazioni e le richieste di questo comitato sono totalmente condivisibili e probabilmente sarebbero scontate, in un paese normale: Vi invito a leggerle e a diffonderle.

Purtroppo il rischio è che la disillusione porti molti ad arrendersi e a smettere di rivendicare un diritto costituzionale per mancanza di ascolto, ma cambiare si può.

Speriamo di riuscire a rompere il muro di gomma che ci circonda, e far arrivare alla gente la giusta domanda sulla situazione attuale: chi ci guadagna?

Cambiare opinione (spesso) e solo per opportunismo

Io non la penso come Gilioli, quando afferma che quando si lavora per una battaglia, si debba gioire senza sospetti di chi prima la pensa in un modo completamente diverso e poi cambia opinione.

Sarei d’accordo con lui se fosse vero, e non lo è, che le stesse persone che cambiano idea siano veramente convinte e non lo facciano solo per convenienza.

Invece è piuttosto vero il contrario: spesso in Politica chi vede passare un carro pieno di persone decide di cavalcarlo, stringendo tante mani, per poi scendere molto in fretta non appena il carro si è fermato per una pausa.

E’ legittimo di chi cambia idea in maniera molto rapida, solo nel momento del suo maggiore consenso. Ammetterete che è molto più difficile iniziare una battaglia, e sono convinto che chi inizia a lottare in minoranza sia sempre più sincero nella sua decisione.

E’ la legge del 20 – 80: all’inizio di un cambiamento solo un 20% di persone sarà favorevole, ma una volta partito le percentuali si ribalteranno, se la decisione è giusta. Questo ci dice anche che decisioni unanimi sono quasi impossibili, quando c’è un vero cambiamento dietro.

Quindi ben vengano oggi i tanti cambiamenti di opinione da parte di chi non era convinto oppositore di privatizzazione dell’acqua e del nucleare, però nel valutare dovremmo tenere in considerazione tutto, nonostante la difficoltà. Chi ha lavorato dall’inizio, chi si è aggregato solo dopo un incidente di proporzioni mondiali, chi non è in fondo interessato ad altro che alla raccolta di consenso, chi finge indifferenza solo per evitare di venire travolto, chi continua ad essere ambiguo e manifestare in entrambi i comitati pro e contro (vedi questo sul Fatto Quotidiano).

Solo così si rende giustizia alla vera Politica: quella che parte da una buona idea, che inizia a muovere piccoli passi e poi diventa cambiamento.

Premiando sempre e solo quelli che arrivano in auto alla volata finale di una corsa in bici, finisce che prima o poi chi tira la corsa cambia sport.

Grillo vs SISTEMA: e su De Magistris che dice?

Grillo spara contro Pisapia, il giorno dopo la sua elezione a sindaco di Milano. Dopo aver detto, non molti giorni fa, che Pisapia era un vecchio che non ce l’avrebbe fatta e che chiunque con 20 milioni di euro si poteva far eleggere.

Tralascio ogni commento. E’ chiaro che Pisapia non potrà cambiare il Mondo ed è scontato che dovrà essere il sindaco di tutta la città, così come è piuttosto banale dire che non riuscirà a soddisfare tutte le aspettative che vengono riposte su di lui, perché queste sono veramente troppo alte.

Però il risultato di queste amministrative ha visto rinascere la speranza di veder conclusa l’era di Berlusconi, e checchè ne dica Grillo, non sono tutti come il vecchio Silvio ed il suo partito. Nemmeno a me va a genio il PD, del resto non l’ho mai votato, ma pensare che Pisapia sia uguale alla Moratti, che De Magistris sia uguale a Lettieri, che Berlusconi sia uguale a qualsiasi altro candidato premier è ridicolo .Per un certo verso rimane in tema, visto che Grillo è un comico.

Mi piacerebbe però capire cosa ne pensa Grillo dell’elezione di De Magistris. Visto che ha criticato il SISTEMA, e non il nuovo Sindaco di Milano, sul quale non ha potuto dir altro che è un importante avvocato, allora poteva scegliere di sparare anche contro il neo Sindaco di Napoli. Anche lui non riuscirà, probabilmente, a rivoluzionare da solo la città campana. Di certo non ci riuscirà senza l’appoggio di chi, almeno a parole, vorrebbe gli stessi risultati.

Eppure criticare De Magistris veniva più difficile. Per prima cosa, perché è stato proprio Grillo a farlo nascere come politico, e quindi è anche una sua responsabilità quella di averlo integrato nel SISTEMA. A differenza di altri suoi ex candidati, De Magistris è diventato veramente sindaco, con tutto quello che comporta: avere il compito di ottenere risultati e non solo proclamarli, per dirne una.
Inoltre De Magistris è stato votato dall’elettorato del partito 5 stelle.

Vorrei tanto sentire da Grillo se è contento o scontento che De Magistris sia stato eletto a Napoli. E’ una delle cose sulle quali non si può tirare indietro, è un giudizio dovuto, vista la sua posizione.

Le possibili risposte sono due: è contento, ma non lo dice, oppure è scontento, ma non lo dice perché le motivazioni non sarebbero giustificabili (ad esempio, a causa del compito di assumersi delle responsabilità).

Non so, sinceramente, quale delle due sia peggio.

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