Informatica

La linea francese contro il download è inutile

Al contrario del titolo dell’articolo del Fatto Quotidiano, la linea dura contro il download non paga.

Sono calati i download illegali, dice. Più probabilmente, dico io, i download sono stati spostati da sistemi tracciabili a sistemi non tracciabili.
Anche dando per buona l’idea che Hadopi abbia veramente frenato i download illegali con le percentuali citate dalla stessa autorità, il dato interessante è che il download legale e l’acquisto di supporti fisici hanno subito le stesse variazioni di altri paesi che non hanno adottato la stessa misura.
Senza contare il problema del controllo del controllore: chi ci dice che i dati siano corretti?

A fronte di una linea dura contro il download illegale, il mercato della proprietà intellettuale ha subito le stesse variazioni di quelli italiani, dove ad oggi non c’è una legge di questo tipo.

Significa che la legge è inutile per perseguire il suo fine: tutelare l’economia della proprietà intellettuale.
A questo dobbiamo aggiungere i costi di un intervento di questo tipo: il costo dei controlli, il costo degli avvertimenti, il costo delle punizioni. Costi che potevano essere utilizzati per la promozione culturale anziché la repressione digitale.

Il solo scopo raggiunto, sottolineando il forse, è stato quello di ostacolare la diffusione illecita di opere culturali. Fatto sta che questo ostacolo non ha contribuito alla sua lecita diffusione, e quindi non è stato di beneficio alla collettività.

Ho sempre pensato che il download illecito penalizzi i grandi nomi e la cultura di massa, ed attraverso lo scambio permetta una maggiore diffusione della cultura specializzata e di nicchia.
Bisognerebbe quindi capire anche come è cambiata la distribuzione della spesa dei cittadini francesi: magari hanno comprato un cd di Lady Gaga in più, perché non hanno potuto scaricarlo gratuitamente, ma hanno scoperto ed acquistato un cd diverso in meno. Stesso bilancio complessivo, ma due risultati molto differenti per quanto riguarda la ricaduta culturale.

Io credo che sia un po’ questo il problema di fondo che le grandi case discografiche cercano di tamponare: la rete facilita l’autoproduzione e l’autopromozione dei buoni prodotti. Certo, la vita è difficile rispetto quella dei top 20 continuamente martellati da radio e tv, ma i piccoli spesso si accontentano di meno ed un po’ di passione magari porta comunque alle produzioni di qualità.

La condivisione di file protetti da copyright, illecita anche per il nostro ordinamento giuridico, ha la “controindicazione” di permettere anche di saggiare quello che offre il mercato per un acquisto meno impulsivo e più ragionato. Ma questo è molto più difficile da indirizzare, di qui il terrore delle major…

Divide et impera

La lotta di questi anni tra tutte le più grandi aziende del web è sulla aggregazione dei servizi. Google vuole farti da sistema operativo, accogliere i tuoi documenti, gestire la tua posta, possedere il tuo telefono cellulare, e ricordarsi i tuoi gusti personali. Peggio ancora Facebook, che fa della sfera personale e privata delle persone un nemico da abbattere.

Il problema è che gli aspetti della nostra vita sono tanti. Per esempio se siamo fortunati abbiamo un lavoro, e magari non vogliamo mescolare completamente quello che facciamo per campare con il nostro tempo libero.

Le big web companies partono dalla volontà di avere un filo conduttore di tutta la nostra vita, allo scopo di conoscerci meglio per venderci di più (pubblicità, servizi, profilazioni, ecc.). Ed in parte fanno finta di volerci accontentare, generando “cerchie” di contatti tra le quali separare i nostri contenuti. Salvo poi scoprire che stanno mantenendo i nostri dati più privati per scopi tutt’altro che trasparenti (vedi Twitter con i numeri di cellulare).

Quello che mettete su Facebook è su Facebook ed è di Facebook, non più vostro. Ed è normale, partendo da questi presupposti, che Facebook usi la nostra faccia per convincere i nostri amici a guardare una pubblicità.

Questo quello che vogliono loro. Ma noi che cosa vogliamo?
A pensarci bene, cos’è che abbiamo guadagnarci dalla integrazione di tutto?
E’ comodo avere i contatti sia su cellulare sia su posta ed internet, ma questo si può fare anche senza che una unica azienda possieda tutti i fatti nostri.

Utilizzo il motore di ricerca di Google da quando è nato. Prima usavo altavista, magari qualcuno se lo ricorda. Il motore di ricerca di Google ha sempre funzionato bene.
Cerchi un passeggino, trovi un passeggino. Cerchi un biglietto del concerto di Vasco, trovi un biglietto del concerto di Vasco.
Non voglio che la ricerca di Google faccia di più e di meno di questo. Non voglio che cercando un film da vedere mi mostri un cartone animato per bambini perché dalla ricerca precedente ha ipotizzato che io abbia un figlio.
Lui non sa e non deve mai sapere che cercavo un passeggino per fare un regalo.
E se vogio un cartone animato, basta aggiungere la parolina magica alla ricerca di prima.

Non è vero che lo fanno per gli utenti, lo fanno per giustificare enormi database pieni di nostri dati.

Morale della favola, ad ogni passo di queste big verso l’integrazione di cose che non voglio integrare, farò un passo verso la dis-integrazione. Iniziando con la rimozione dei servizi che non sono necessari.

Ciao Ciao Google+, ad esempio. Partendo dalla Dashboard di Google, si può vedere a cosa siamo registrati, e scoprire ad esempio che per certi servizi non è prevista nemmeno la possibilità di cancellazione.

Se Google vorrà cambiare il Google Reader per obbligarmi a condividere qualcosa di quello che leggo quotidianamente, ciao ciao anche a quello. E via così.

Ho lottato e vinto quando Microsoft voleva possedere dal pc alla lavastoviglie con i suoi programmi e sistemi operativi, sono sicuro che vincerò anche questa.

Segnalare utenti GMAIL che inviano SPAM

Se ricevete spam da un utente GMAIL (indirizzo di posta che termina in @gmail.com) esiste uno strumento per segnalare a Google la violazione dei loro termini di utilizzo, ed auspicabilmente la chiusura dell’attività di spamming.

L’elenco completo delle azioni non permesse con email google si trova nel regolamento del programma Gmail, tra le quali si trova ad esempio:
generare o agevolare email commerciali non desiderate (“spam”).
– condurre o inoltrare strutture a piramide e simili

Si può fare una segnalazione in maniera molto veloce e semplice alla pagina:
http://support.google.com/mail/bin/request.py?hl=it&contact_type=abuse

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