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Non alimentiamo la fogna dei social

Anni fa scrivevo come l’algoritmo di Google premiasse i contenuti peggiori del web (qui e qui). Riassumento al limite, l’indignazione porta pagerank che porta visite.

E’ un problema sociale, quello di avere premiato il peggio: a medio e lungo termine ci porta a degenerare sempre di più.

Oggi il problema è ancora più grave, perché i social hanno acuito il problema:

  1. Viene postato un contenuto ignorante, provocatorio o violento
  2. Le persone commentano schifate, condividendolo contemporaneamente
  3. Il sistema (Facebook, twitter, ecc) si accorge che un contenuto genera interazioni, le interazioni sono tempo pubblicitario e ritorni economici
  4. L’algoritmo le porta in alto, sempre più visibili, perché sempre più persone interagiscano

I social quindi tendono a tenerci sempre in allarme, da un lato abituandoci al peggio (ottimo l’articolo di Mantellini) e dall’altro nascondendoci il bello, le cose utili e positive alla società, che non scatenano le nostre emozioni e reazioni.

Il mio invito è quello di non commentare mai direttamente i post di chi vi fa arrabbiare, a meno che non si tratti di amici veri o di persone che veramente leggono i vostri commenti.

Al contrario, fate uno screenshot della sciocchezza, parlatene pure ai vostri amici spiegando perché la ritenete tale, e condividete solo i post di chi espone in maniera costruttiva e critica. Se un vostro amico condividerà il vostro post, non avrà donato visibilità all’articolo originario, ma alla vostra critica, che è cosa buona perché non bisogna nè ignorare nè dimenticare.

Colgo l’occasione di un post di oggi veramente insensato, per farvi capire.

L’ennesimo leghista mette a confronto l’omicidio di Pamela Mastropietro con l’aggressione razzista all’atleta Daisy Osakue.

Prima di tutto non è vero. E secondo, sarebbe pure normale: mentre tutti dovrebbero condannare un omicidio, indipendentemente dall’autore e dalla vittima, sembra che per alcuni l’aggressione a Daisy non sia importante perché in fondo è “solo” andata al pronto soccorso.

Mentre Grillo minimizza l’accaduto all’atleta, è chiaro che scatena un dibattito politico. Io rifiuto e “schifo” la sua visione , e vorrei che tutti facessero altrettanto.  Condanno il tremendo omicidio di Pamela, ci mancherebbe , ma son due cose completamente diverse.

La versione del leghista è pure una sciocchezza, e possiamo dimostrarlo confrontando l’impatto che le due notizie hanno avuto sul motore Google:

Del primo evento si è parlato per mesi, c’è una indagine in corso ed un sospettato. Del secondo c’è un picco di un solo giorno, che sconta anche il fatto della crescente ondata razzista, della popolarità della ragazza e della conseguente dichiarazione di Malagò sugli europei.

Ma non è tanto questo il punto, non serviva nemmeno un grafico per capire che oggi il problema non è tanto la singola notizia, ma la corrente che ci porta a fondo, ad affogare.

Cerchiamo di sforzarci ad essere noi stessi migliori ogni giorno, rifiutiamo le risse nel fango e teniamo sempre rigida la barra dell’indignazione. Ma evitiamo di fare il gioco chi di sa sfruttarla per farsi pubblicità, perché è proprio così che i fascioleghististellati sono andati al Governo del nostro Paese, e non sarà la stessa violenza in direzione opposta e contraria a farci migliorare le cose.

Google si salva gli acquisti che fai, attraverso GMAIL

In questa pagina https://myaccount.google.com/purchases potete consultare gli acquisti online che avete fatto e Google si è salvata.

In testa, dice un rassicurante

“Solo tu puoi visualizzare i tuoi acquisti. Google tutela la tua privacy e la tua sicurezza.”

Ma perché controlli i miei acquisti, che sono un dato parecchio delicato, se non ti chiedo di farlo? E Perché non posso disattivarti?

Consultando l’elenco non riuscivo a capire come avesse fatto a conoscerli, dal momento che non si trattava di acquisti fatti tramite servizi di Google. Andando a cliccare sulla piccolissima icona di info, si legge un “Questo acquisto è stato trovato tra le tue email di Gmail.”.

Quindi è tutto chiaro: Gmail fa il parsing delle email che abbiamo, salvandosi dati di interesse sul contenuto, anche quando non gli chiedete di farlo. Che io sappia non c’è modo per disattivare questa funzione.

Mi pare una cosa molto peggiore della  personalizzazione degli annunci pubblicitari dentro Gmail, che dopo le proteste Google ha rimosso.

Come limitare i dati che forniamo a Facebook?

Dopo gli scandali sulla violazione della privacy su Facebook, in molti stanno uscendo dal social network.
E’ certamente una soluzione, anche se per diversi motivi è difficile perché alcuni contenuti sono stati spostati negli anni lì dentro (ed anche per questo sarebbe una buona cosa che le aziende, comprese le piccole, ricominciassero a pubblicare sui loro domini con un feed RSS).

Si può però limitare il numero di informazioni che inutilmente offriamo al social network, soprattutto quando navighiamo fuori Facebook.
Il consiglio che vi dò è di smettere di utilizzare Chrome e passare a Firefox, o ad un altro browser più coscienzioso in termini di privacy.

Come secondo passaggio, vi consiglio di installare queste due estensioni:

La prima fa in modo che navigando su un sito fuori Facebook, quest’ultimo non tenga traccia della vostra visita.
La seconda elimina le pubblicità e contestualmente anche delle componenti usate per tracciare le vostre navigazioni.

Oltre a questo, trattate Facebook come un luogo pubblico, non privato. Quello che pubblicate lì, immaginatelo a disposizione di tutti. Niente foto private, niente informazioni che non vorreste divulgare a terzi.

Un social network non è il posto per queste cose.

Zuckerberg dice che serviranno anni per sistemare i problemi di Facebook. Riguardo la privacy, alcune cose potrebbero farle subito: rendere possibile agli utenti di cancellare set di informazioni personali, rendere configurabile la possibilità di vietare i tag, far scegliere agli utenti quali dati Facebook può salvare e quali invece deve cancellare. Niente di così complicato, Mark.

E’ ora di togliere un po’ di dati da Facebook

Lo scandalo di Cambridge Analytica ha riportato alla luce il grosso problema della privacy sui social network. In breve, partecipando ad un sondaggio online gestito da una applicazione che chiedeva l’autenticazione su Facebook, gli utenti hanno consegnato un po’ di informazioni sul loro profilo alla loro azienda. Ma non solo, perché tra i dati ai quali poteva accedere questa azienda c’erano anche dati degli amici di queste persone, che è una cosa ancora più grave: ognuno è responsabile della propria privacy, ma quando coinvolge anche quella dei contatti il tema è più preoccupante.

Consiglio quindi di cogliere l’occasione per rivedere l’autorizzazione che negli anni abbiamo concesso alle applicazioni di terzi su Facebook. Per farlo basta andare qui:
https://www.facebook.com/settings?tab=applications

Vedrete l’elenco delle applicazioni che accedono ai vostri dati, e cosa possono consultare. Vi consiglio di eliminare tutto quello che non è indispensabile, e ridurre l’accesso alle applicazioni che proprio dovete usare.

Un altro consiglio è quello di non utilizzare gli account di Facebook e Google per registrarvi su siti e servizi di terzi. Fate un nuovo account ogni volta che vi viene permesso, altrimenti consegnerete un altro pezzo della vostra vita sia a chi fornisce la password sia a chi fornisce il servizio al quale volete registrarvi.

Ricordate sempre che quello che pubblicate su Facebook è di tutti, non è più privato. Un esempio per tutti riguarda le foto su Facebook. Se permettete agli altri di taggarvi sulle foto, e non rimuovete il tag, anche chi non è nei vostri contatti potrà vederle semplicemente entrando sul vostro profilo e scrivendo “NOME COGNOME FOTO“.

Questa cosa si può solo parzialmente controllare, modificando le impostazioni che riguardano il diario e l’aggiunta di tag.

Infine, consiglio di installare ed usare Mozilla Firefox per navigare, piuttosto che Chrome, ed installare il plugin Adblock o un equivalente. Già da solo è più coscenzioso sui propri dati, e nelle impostazioni di privacy potete fare in modo che cancelli la cronologia alla chiusura.

Come si combattono le fake news?

Apprezzo moltissimo lo sforzo de “Il Post” di combattere le fake news dal verso giusto. Primo, non diffondendole, verificando le fonti e la credibilità come hanno sempre fatto i migliori giornalisti, prima dei click morbosi.

Secondo, sbugiardandole quanto più possibile.

Un ottimo esempio è la storia delle due veliste bloccate in mezzo all’oceano per mesi.

Pare che tante cose non tornino, ed il quotidiano online fa il suo mestiere approfondendole:

http://www.ilpost.it/2017/11/01/veliste-pacifico-storia-falsa/

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