Year: 2003

Il fumo di New York

Autori e mandanti dell’attacco, con le sue migliaia di vittime innocenti, erano veri e propri nemici dell’umanità. Ma la reazione degli Stati Uniti è stata brutale: al terrore si è risposto con altro terrore

Difficile dimenticare le immagini, sconvolgenti, dell’11 settembre 2001. Le fiamme sulle Twin Towers di New York, il secondo aereo che s’infila nei grattacieli del World Trade Center. Minuti, ore di sgomento vissute con il fiato sospeso e con una certezza, che mano a mano si faceva strada: autori e mandanti dell’attacco terroristico, con le sue migliaia di vittime innocenti, erano veri e propri nemici dell’umanità, come non esitammo a scrivere su La Nuova Ecologia. Diradato il fumo che avvolse Manhattan dopo il crollo delle Twin Towers, quella certezza si è, se possibile, rafforzata.
Com’era ampiamente prevedibile, e in una certa misura auspicato dagli stessi terroristi di Al Qaeda, la reazione degli Stati Uniti è stata brutale: al terrore si è risposto con altro terrore, quello di due guerre (Afghanistan e Iraq), diventate ormai altrettanti conflitti, a bassa intensità ma permanenti, in cui a pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono vittime civili innocenti.
Anche i più accaniti sostenitori del presidente Bush dovrebbero riconoscere, oggi, che quella strategia si è rivelata un tragico errore: il terrorismo, invece di essere sconfitto, ha trovato sicuramente nuovi adepti e nuovi terreni d’attacco, come dimostrano le vicende irachene; sono caduti, è vero, due regimi odiosi e sanguinari, come quello dei Talebani e di Saddam Hussein, a Bagdad come a Kabul in qualche modo la vita sta ricominciando ma il presente e il futuro di quei popoli restano un’incognita, densa di pericoli; la credibilità dell’Onu, già fragile, è stata ulteriormente compromessa; le politiche di cooperazione, quelle che avrebbero dovuto svuotare i “serbatoi di disperazione” sfruttati dai terroristi, sono al palo, anche per le ingentissimi risorse impegnate dalle guerre e dalle occupazioni militari. Il mondo, due anni dopo, è meno sicuro. Anzi è talmente insicuro che con l’incertezza, la precarietà, la paura sembriamo ormai condannati a convivere.
Quelli che ci separano dall’11 settembre 2001 sono stati due anni di forte angoscia, di guerre e attentati, di straordinarie mobilitazioni per la pace e di menzogne. Tante, troppe. Come quelle confessate dall’Epa: l’Agenzia federale per la protezione dell’ambiente, su pressione della Casa Bianca e mossa dall’urgenza di far riaprire, quanto prima, Wall Street, affermò, subito dopo la caduta delle Twin Towers, che l’aria di Manhattan, tutto intorno a Ground Zero, era sufficientemente pulita. Oggi si scopre, grazie a un rapporto interno della stessa Epa, che così non era. Non c’erano dati sufficienti e neppure analisi che dimostrassero quelle affermazioni. Anzi: tra diossine e fibre di amianto, com’era peraltro facilmente prevedibile, l’area era pesantemente inquinata, anche nei mesi successivi al disastro.
Una menzogna, insomma, dettata da interessi prevalentemente economici. Quanto alle conseguenze di quella nube di veleni, è da registrare con preoccupazione uno studio sui bambini nati subito dopo l’11 settembre da mamme che vivevano in un raggio di circa 1 chilometro dal World Trade Center. Lo studio, realizzato dalla Mount Sinai School of Medicine e pubblicato sulla rivista Jama, rivela un aumento del numero di bambini nati sottopeso, che avrebbero sofferto, probabilmente, di un ritardo di crescita intrauterino (in sigla Iugr), alla cui origine ci sarebbe proprio l’inquinamento dell’aria.
Questi bambini corrono il rischio di andare incontro, in età adulta, a malattie cardiache, ipertesione e altri problemi. Qualcuno dovrà spiegargli che la loro salute è stata sacrificata all’altare di Wall Street. Come quella dei bambini iracheni, vittime di una guerra scatenata in nome del petrolio.

L’agricoltura al Vertice

I negoziati portano a galla la questione del doppio standard: i paesi del Nord, Usa in testa,si dichiarano liberisti ma sovvenzionano i propri agricoltori. E per di più quelli del Sud devono fare i conti anche con l’invasione del transgenico
Il diario di Legambiente

da Cancùn
Emanuele Profumi

Dopo la morte del sindacalista sudcoreano Il movimento ha ripreso le attività assembleari con il segno del lutto al braccio. Tutti si chiedono se dopo le dichiarazioni del G21 (l’unione dei paesi poveri che ha rifiutato le proposte di Usa e Ue), i negoziati sull’agricoltura siano a un punto morto. Ieri mattina
Cancun, il corteo
alla fine della conferenza stampa dei G9 – gruppo formato da alcuni paesi del Nord del mondo (come Israele e Svizzera) e da alcuni paesi poveri (come la Bulgaria) – Joseph Deiss, delegato del governo svizzero e coordinatore del gruppo, ci spiega: «La maggiore differenza tra noi e il gruppo del G21 riguarda le questioni delle riduzioni tariffarie e dell’accesso al mercato. Per noi, per esempio, nelle trattative è centrale la questione degli standard ambientali. Tuttavia siamo completamente d’accordo sulla loro posizione in merito alla liberalizzazione delle esportazioni: i governi non devono sovvenzionarle con i sussidi». Confermando così le divisioni profonde tra i 146 paesi che partecipano al Wto rispetto alle regole per il governo mondiale del mercato agricolo.

A fine mattinata invece, alcuni paesi africani (Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali) hanno tenuto una conferenza stampa sul problema specifico del cotone: le loro economie, fortemente sostenute da quest’attività, sono in crisi a causa delle sovvenzioni del governo Usa alle proprie piantagioni, che ammontano a una cifra pari al Pil di tutti i paesi africani produttori di cotone. Oltre 10 milioni di persone che in Africa occidentale dipendono dalla questa coltivazione pagano le conseguenze di questa situazione. David Casablanca, portavoce spagnolo di Oxfam, l’associazione di Ong impegnata nel chiedere un cambiamento delle politiche e delle relazioni internazionali nel segno dell’equità, ritiene che «quello che accade tra gli Usa e le quattro nazioni africane è il termometro di quello che potrà avvenire più in generale nei negoziati agricoli». Per adesso i paesi africani e la Oxfam stanno esercitando la propria pressione sulla presidenza del Wto affinché convinca gli Usa a ridurre o eliminare le proprie sovvenzioni. Ma la superpotenza fa orecchie da mercante e nella conferenza stampa pomeridiana non lancia alcun segnale di apertura.

Ma proprio in quella sede un gruppo di attivisti di Greenpeace ha interrotto la conferenza leggendo un documento che confermava l’entrata in vigore del protocollo di Cartagena sulla “biosafety”, la biosicurezza, che impedisce ai paesi che la sottoscrivono esportare prodotti transgenici. Il blitz, concluso con un pugno di mais messicano “ogm free” lanciato sul tavolo della conferenza, è servito anche a denunciare la “biopirateria” della multinazionale del biotech Monsanto, che impone la vendita di mais modificato al Messico. Sul tema degli organismi geneticamente manipolati ai negoziati di Cancun si sta fra l’altro consumando una nuova puntata dello scontro Usa-Unione Europea. Gli Sati uniti infatti hanno denunciato lŽUe al Wto perché la scelta di Bruxelles di applicare il principio di precauzione impedisce di fatto la vendita di prodotti Usa.

Ogm, nuove norme sulla biosicurezza

Le nazioni che intendono trasportare organismi transgenici «dovranno darne notifica al paese che li importa». Questa la prescrizione principale del protocollo di Cartagena, in vigore da ieri

L’Unione europea più protetta dai rischi che l’ambiente e la salute umana possono correre per l’uso di Organismi geneticamente modificati. È entrata in vigore ieri una normativa internazionale sulla biosicurezza, il protocollo di Cartagena, che offre un quadro legale per il trasporto transfrontaliero di Ogm.

Le nazioni che intendono trasportare
Biotech: contestazioni a Bionova
organismi transgenici «dovranno darne notifica al paese che li importa», con lo scopo – secondo quanto riporta un comunicato della Commissione Ue – di «fornire informazioni necessarie a permettere allo stato importatore di prendere decisioni adeguate» al riguardo.

«Il protocollo di Cartagena stabilisce un insieme di regole internazionali fondamentali sugli Ogm» ha spiegato il commissario Ue per l’ambiente, Margot Wallstrom. Anche i paesi in via di sviluppo ne trarranno vantaggio, «dato che spesso – ha concluso il commissario – non hanno le risorse per valutare i rischi legati alle biotecnologie”.

Sono 57 gli stati che hanno aderito finora e l’Italia non ha ancora ratificato l’accordo. «Chiediamo al governo di ratificarlo al più presto – riferisce Federica Ferrario di Greenpace – augurandoci che la questione Ogm non rientri dalla finestra a Cancun, visto che l’agricoltura è il tema dominante dei negoziati».

Il Wto non è secondo Greenpeace l’istituzione appropriata per giudicare sugli accordi internazionali e non dovrebbe allargare le sue competenze. «Il Wto promuove il libero commercio a tutti i costi ignorando la protezione dell’ambiente – prosegue Ferrario – Ogni discussione sulle relazioni tra ambiente e commercio all’interno dei negoziati può finire solo con l’ambiente subordinato ai principi neoliberisti».

12 settembre 2003
Raffaele Lupoli

I Verdi contro le nuove norme europee che prevedono il brevetto per il software

Dal sito di Monica Frassoni, co-presidente del gruppo dei Verdi-Ale al parlamento europeo www.monicafrassoni.it:

I Verdi contro le nuove norme europee che prevedono il brevetto per il softwareUn’ultimo tentativo dei Verdi/ALE per impedire l’adozione del rapporto McCarthy organizzato per il 16 settembre a Bruxelles

In occasione della prossima sessione plenaria (22-25 settembre), il Parlamento discuterà la relazione della deputata laburista McCarthy relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate tramite computer.

La commissione giuridica ha espresso totale sostegno alle proposte di norme europee relative alla brevettabilità di invenzioni attuate tramite computer: la proposta di direttiva mira a garantire che i brevetti per le invenzioni attuate tramite elaboratori elettronici vengano concessi sulla stessa base in tutta l’Unione europea e che i tribunali nazionali esaminino i casi di impugnazione di brevetti in base a principi uniformi.

I Verdi si oppongono fermamente all’adozione di questa normativa. Oggi il software è protetto dal copyright. Brevettare il software sarebbe altrettanto assurdo che brevettare un romanzo o una ricetta di cucina: uno scrittore rischierebbe di riutilizzare delle associazioni di parole già brevettate che lo porterebbero all’autocensura o al pagamento di un oneroso diritto ai proprietari del brevetto su quella combinazione di parole. Prevedere un brevetto per il software costringerebbe allo stesso modo le aziende a una costosissima prassi di controllo su ogni algoritmo – per assicurarsi che non sia già brevettato – nonché di difesa e contestazione dei propri brevetti.

Tutto ciò a vantaggio di società monopolistiche come Microsoft, e a detrimento dell’industria europea del software. Inoltre l’idea secondo la quale questa direttiva creerebbe nuovi posti di lavoro è economicamente infondata.

Bisogna rilevare che il Comitato economico e sociale e il Comitato delle regioni si sono già espressi contro la brevettazione del software. La stessa Commissione europea riconosce che l’opinione pubblica e i vari portatori d’interesse sono contrari a questa proposta (la CE ha ricevuto 91% di opinioni negative durante la sua consultazione pubblica il 19/10/2000), eppure l’influenza lobbistica di attori economici come l’UNICE (la Confindustria europea) e la Business Software Alliance (della quale sono membri Microsoft e IBM) sembra avere la meglio. E’ inoltre curioso constatare che le imprese che spingono per brevettare il software non sono quelle che lo producono.
Secondo la Convenzione di Monaco del 1973, il software, così come la matematica, le idee, i metodi commerciali, la musica i romanzi, ecc, non possono essere brevettati. In realtà l’Ufficio europeo dei brevetti da tempo garantisce brevetti sul software (tra i 20 e i 30 mila dal 1986): una procedura tanto illegale quanto lucrosa.

Il gruppo dei Verdi è da tempo impegnato nella lotta contro tale proposta. Abbiamo organizzato due conferenze al Parlamento europeo, nel novembre 2002 (“Il brevetto del software è necessario?”) e nel maggio 2003 (“Brevetti software e piccole e medie imprese”). Informazioni relative a queste iniziative possono essere trovate sul sito
http://www.greens-efa.org/en/issues/?id=14.

Una nuova conferenza è stata organizzata al Parlamento europeo per il 16 settembre, allo scopo di riunire ancora una volta prima del voto le forze che si oppongono a questa iniziativa.
Nelle commissioni cultura e industria abbiamo ottenuto che i brevetti siano limitati ai prodotti tecnologici. In sede di commissione giuridica, però, la relatrice McCarthy non ha purtroppo accettato alcun compromesso e la commissione giuridica ha cancellato i due eccellenti pareri delle commissioni cultura e industria.

Relativamente alla posizione degli altri gruppi, i socialisti sono divisi al loro interno, mentre la relatrice McCarthy segue la linea del governo britannico; i popolari è favorevole alla proposta, mentre sono scettici i liberali e contrari i verdi e i radicali.

Nelle prossime settimane e fino al voto in plenaria, i Verdi continueranno a battersi contro questa proposta di normativa e per la libertà del software.

Europa. Cortiana: bloccare la brevettazione del software

Da econews:

“A settembre il Parlamento Europeo sarà chiamato a votare la proposta sulla brevettabilità delle innovazioni software, la cosiddetta direttiva Mccarthy. Ho inviato ai parlamentari italiani un appello rivolto ai nostri colleghi di Bruxelles affinchè questa direttiva venga bocciata, viato il drammatico effetto che l’eventuale approvazione di tale direttiva avrebbe su uno dei comparti più avanzati e strategici del nostro sistema economico, quale l’informatica.” Dichiara il senatore verde Fiorello Cortiana, coordinatore del Comitato Interparlamentare per l’Innovazione Tecnologica. “Questa proposta di direttiva, con la scusa di armonizzare il sistema brevettuale europeo in materia di software, di fatto sovverte i dettami della Convenzione Europea sui Brevetti, introducendo la brevettabilità del software e dei metodi commerciali.” Prosegue il sen. Cortiana. “Come già dimostrato negli Stati Uniti, il sistema brevettuale, che è stato esteso al software da 20 anni, ha rallentato l’innovazione invece che incoraggiarla, spostando i fondi destinati originariamente a ricerca e sviluppo verso i dipartimenti legali delle grosse multinazionali che si occupano a tempo pieno di costose cause brevettuali. Un tale sistema imporrebbe degli oneri eccessivi per le piccole e medie imprese europee, vero motore dello sviluppo software continentale, conclude il sen. Cortiana e le renderebbe succubi di quelle poche grosse aziende, in maggioranza extraeuropee, che possiedono grandi portafogli di brevetti software.”

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