Biomasse

Pedalata contro le centrali a biomasse

Il Comitato Romagnolo per la Tutela della Salute In collaborazione con il Clan-Destino ha organizzato Una pedalata per la salute.

PER ESPRIMERE CONTRARIETÀ alla costruzione di una megacentrale a biomasse a Casemurate (FC), alla costruzione di altri impianti simili nel nostro territorio, agli aumenti ingiustificati degli inceneritori di Forlì

PER SOSTENERE L’OPPORTUNITÀ DI SCELTE ALTERNATIVE RISPETTOSE DELL’AMBIENTE E DELLA SALUTE

Domenica 30 Luglio 2006 Ore 09,00 PEDALATA PER LA SALUTE

PARTENZE

1)Presso la Chiesa di Casemurate di Forlì – Via Serachieda, 3 – Casemurate – Forlì (FC)
2)Presso il Parcheggio di fronte alla Fiera di Forlì – Via Punta di Ferro  – Forlì (FC)

I due gruppi percorreranno la Via Cervese nei due sensi per incontrarsi a Carpinello (punto di ristoro) e poi rientreranno per la stessa strada.

Per informazioni telefonare al 3484619699 oppure 3387298580

Biomasse: le grandi centrali sono fuori gioco

(Bologna, 12 luglio 2006)- Due importanti convegni hanno affrontato il tema dell’utilizzo delle biomasse per fini energetici:uno promosso dalla regione Emilia-Romagna sulla forestazione ed uno promosso dalla CGIL sul tema bieticolo-saccarifero.

Ad entrambi ha partecipato la capogruppo dei Verdi in Emilia-Romagna Daniela Guerra, intervenendo in merito alla possibilità di utilizzare biomasse per impianti energetici.

“Le grandi centrali a biomasse (20,30,40 MW) che i privati stanno proponendo ad alcuni Enti locali (Conselice, Russi, Finale Emilia) non rispondono a logiche di filiera e non hanno nessun legame col territorio. Le rese per ettaro, sia quantitative che economiche conducono inevitabilmente al reperimento sul mercato estero dei materiali da bruciare, con buona pace della riconversione dei nostri agricoltori che dell’ambiente, sul quale graveranno i costi di trasporto.”

Diverso il discorso per piccole “caldaie” che utilizzano le biomasse per produrre calore, magari dotate di sistemi di microgenerazione in grado di produrre anche energia elettrica.

No, dunque, a scelte estemporanee che rincorrono esclusivamente i certificati verdi e che inevitabilmente nel futuro, cessando gli aiuti, si rivolgerebbero al “combustibile” più a buon mercato, ovvero i rifiuti.

“E’ un peccato – conclude Guerra- che impianti insostenibili come quelli proposti inficino la possibilità di lavorare con serietà al tema delle biomasse e dei biocarburanti nell’ambito dello sviluppo delle fonti rinnovabili associate alla riduzione degli sprechi.”

Lettera sulle biomasse

Il testo che segue è scaturito da un incontro con gli istituzionali chiamati direttamente in causa nella Provincia di Ravenna.
In allegato un documento già inviato alla Federazione Nazionale dei Verdi in febbraio.
Nella nostra Provincia stanno proliferando richieste per centrali di incenerimento di biomasse, senza la verifica preventiva della necessaria produttività locale.
Si profila invece, a priori, l’ipotesi di chiedere maggiori sovvenzioni comunitarie per le produzioni agroenergetiche.
Questo riguarda non soltanto gli zuccherifici soggetti a dismissione, ma altri impianti già esistenti, di cui si richiede l’ampliamento.

Il ricatto occupazionale è una costante a cui gli amministratori devono trovare, nell’urgenza, valide alternative.
Facciamo notare che difficilmente la produzione agricola locale è in grado di sopperire all’alimentazione di queste centrali (mentre sappiamo che, in centrali simili già esistenti, sono bruciati rifiuti, quando manca il materiale prodotto in zona) e che in alcuni casi (Unigrà di Conselice, Oleificio Tampieri di Faenza) già si prospetta l’importazione di oli tropicali.
L’utilizzo dei contributi comunitari e dei certificati verdi sarebbe un guadagno iniziale per i soli imprenditori, mentre l’inquinamento atmosferico, la modifica del traffico stradale legato al trasporto,  gli effetti sulle risorse idriche,l’aumento degli effetti della combustione -che noi, in pianura padana, non possiamo assolutamente permetterci – e ancora altro, sono tutti da considerare.

La situazione locale, dove ad esempio già sono sperimentate piccole centrali per la produzione di biogas in allevamenti zootecnici, favorirebbe sbocchi diversi dell’utilizzo delle biomasse, senza impoverire i terreni (come invece avverrebbe con l’incenerimento) anzi
arricchendoli.

Gli istituzionali nei Comuni della  Provincia di Ravenna stanno affrontando quella che si prospetta come una vera emergenza, per cui chiediamo un sostegno effettivo con atti concreti a cui appoggiarci, come per esempio l’informazione puntuale su quanto avviene in Regione e nei Ministeri.

Alleghiamo intanto un documento condiviso, che parzialmente modifica (con una puntualizzazione importante) quello inviato a febbraio e su cui avemmo risposta dal Dott. Fabrizio Fabbri, senza, peraltro, alcun seguito.
In attesa di una risposta in tempi brevi, ringraziamo.

Per la Federazione Provinciale:
Isa Mariani – coordinamento istituzionali della Provincia di Ravenna

Stefano Argnani – Assessore Comune di Faenza
Gianluigi Castellari – Assessore Comune di Russi
Luciano Lama – Consigliere Comune di Conselice
Riccardo Morfino – Consigliere Comune di Russi
Alberto Visani – Consigliere Comune di Faenza

BIOMASSE E AGRICOLTURA

A fronte di un’agricoltura che a livello locale, ma non solo, versa in stato comatoso e in assenza di una qualsivoglia prospettiva di rilancio produttivo, si moltiplicano  sul nostro territorio le iniziative e i progetti di valorizzazione delle biomasse agricole per scopi energetici:
ampi territori rurali, come quello di Russi ad esempio, dove la pesante riorganizzazione del settore saccarifero ha portato alla chiusura del locale stabilimento saccarifero, guardano pertanto con estremo interesse all’evolversi di  questi progetti che potrebbero creare nuove opportunità per il settore primario e per l’indotto collegato.

” Va però fatta anche un’ulteriore considerazione: le biomasse sono da considerarsi una fonte rinnovabile? E come incidono sui cambiamenti climatici (produzione di CO2?)L’utilizzo delle biomasse va considerato rinnovabile se quanto sottraggo all’ambiente naturale o agricolo corrisponde a quanto nuovamente sarà riprodotto: in un anno posso togliere all’ambiente tanti quintali di biomassa, quanti in quell’anno l’ambiente riprodurrà o naturalmente o artificialmente (coltivazioni agricole o riforestazioni). Non è rinnovabile la deforestazione del sud del mondo o il disboscamento delle nostre montagne.
Per la CO2 il problema è un po’ più complicato. Infatti, teoricamente, se tanti sono i quintali che si bruciano quanti quelli che si producono annualmente, la CO2 prodotta dalla combustione sarà circa uguale a quella inglobata dalle piante, grazie alla fotosintesi. Tuttavia, se consideriamo che le coltivazioni (erbacee o arboree) richiedono impiego di fertilizzanti chimici di sintesi e fitofarmaci, oltre a macchine agricole e trasporto dei prodotti, ciò significa che sono richieste grandi quantità di energia di origine fossile che produce CO2. Pertanto il bilancio non è più in equilibrio, perché vi è una produzione netta di CO2 a causa dell’impiego di energia fossile, non rinnovabile: le biomasse utilizzabili devono dunque essere o naturali o prodotte biologicamente.” (G.Tamino)

E’ parere diffuso inoltre che l’uso migliore delle biomasse, dal punto di vista dell’efficienza energetica del processo,  non sia la conversione in energia elettrica, ma piuttosto la trasformazione in energia termica, cioè in calore, oppure la produzione di combustibili
solidi (pellets), liquidi (biodiesel, etanolo) o gassosi (biogas), meglio ancora se queste produzioni sono integrate fra loro.

Vogliamo dunque ricordare che un impianto per produrre energia da biomasse, del tipo di quelli prospettati sinora,  altro non è che un inceneritore, e per questo crediamo che sia bene subito sgombrare il campo da una serie di equivoci,  anche per non illudere il mondo
agricolo disorientato e numerosi lavoratori dal futuro incerto,  pronti a dar fiducia a progetti ancora poco chiari.

Quello che va assolutamente evidenziato è che per la produzione di energia elettrica da biomasse, un impianto di media grandezza deve poter produrre almeno 10 o 12 Mw ,   ciò richiede la disponibilità, nei dintorni ,di  terreni coltivati appositamente per ricavare almeno 10.000 tonnellate di legno all’anno, con tutto quello che ciò comporta, dai costi del trasporto, fino ai costi stessi delle biomasse che in Italia non sono paragonabili a quelli irrisori dell’Est Europa, che già approdano al porto di Ravenna  mettendo  in dubbio le possibili rendite dei coltivatori locali.

Osservato che il processo di conversione delle biomasse in energia comporta grosse perdite  di rendimento, ci chiediamo innanzi tutto quanto l’industria può pagare all’agricoltore le biomasse appositamente coltivate: i dati disponibili segnalano che in assenza di sostegni alle produzioni, questo prezzo pagato  resti troppo basso per stimolare l’agricoltore a modificare i propri piani colturali.

Posto poi anche che un impianto da 10 Mw individui un favorevole bacino produttivo di circa 1.000 ettari  che ne  assicuri l’attività, vorremmo garanzie che in caso di carenza di biomassa non si ricorra a scorciatoie pericolose, fra le tante attualmente sul mercato, e primo fra tutti il CDR, ossia Combustibile Da Rifiuto che altro non è che rifiuto urbano
triturato e imballato, nel quale più derivati dal petrolio (plastica) sono presenti  più resa calorifica ottiene.

Per quanto detto non escludiamo che esista una possibilità di impiegare proficuamente le biomasse: basti pensare all’uso termico domestico e condominiale, o al pellet, un combustibile ecologico prodotto pressando la polvere derivante dalla sfibratura dei residui legnosi. In Svezia , dove il pellet è incentivato,  se ne consumano circa 1 milione di
tonnellate all’anno. Bisogna anche guardare con attenzione alla produzione di bio-carburanti che vanno però debitamente incentivati e resi obbligatori per norma. Restiamo perplessi invece per le generiche e frettolose prospettive di riconversione industriale apprese dalla stampa e  da qualche Amministratore poco informato.

Dopo lo zucchero… la centrale a biomasse è una opportunità per il futuro?

DOPO LO ZUCCHERO…LA CENTRALE A BIOMASSE E’ UN’OPPORTUNITA’
PER IL FUTURO?

A Russi, presso il teatro Jolly

mercoledì 7 giugno 2006 alle ore 20.45

interverranno:

PROF. GIANNI TAMINO – docente di biologia presso l’Università
di Padova, esperto in biotecnologie

DOTT. STEFANO MONTANARI – direttore scientifico dell’Istituto
Nanodiagnostics di Modena

DOTT. FILIPPO MAZZANTI – assessore all’ambiente del comune di
Argenta (esperienza della centrale di Bando d’Argenta)

Metti il coperchio sulle pentole

Pochi giorni fa il Ministro delle Attività Produttive Scajola, per fronteggiare la crisi energetica dovuta al taglio delle forniture del metano da parte della Russia, ha chiesto agli italiani di mettere il coperchio sopra le pentole. Oltre a questo invito ha previsto, con un decreto, la riapertura delle centrali ad olio combustibile, chiuse perché inquinanti, vecchie e costose, ed una riduzione delle temperature dei riscaldamenti a 18 gradi (al posto dei canonici 20).
Questa emergenza ha fatto capire agli italiani che non è stato fatto nulla, in tutti questi anni, per ridurre la nostra dipendenza energetica dalle fonti non rinnovabili importate dall’estero.
Qualcuno di questi, sull’onda emotiva degli allarmismi, ha riproposto persino il ricorso al nucleare, tecnologia ormai abbandonata anche da chi lo ha sfruttato negli anni passati.
Antieconomico, pericoloso e legato alla disponibilità di Uranio che non è abbondante in forma utilizzabile allo scopo, il nucleare sarebbe l’ennesima beffa che non risolve il problema.
Nessun governo italiano, fino ad oggi, ha saputo metter mano alla fonte più economica, ecologica ed abbondante nel nostro paese: il risparmio energetico.
In effetti l’idea non attrae molto l’attenzione. Non richiama l’idea di abbondanza, della mitica opulenza di una società “sviluppata”, che non conosce confini alla crescita.
Probabilmente per essere veramente efficace, come concetto, dovrebbe chiamarsi diversamente. Anziché risparmio energetico, quindi, utilizzerò in questo articolo “leggerezza energetica”. Un po’ come le barrette per perdere peso, un metodo per essere felici e meno in colpa verso il prossimo che stiamo inquinando.
Se la pensiamo come fonte, la leggerezza energetica è un bene che stiamo sprecando.
Buttereste dalla finestra centinaia di euro? In realtà in Italia lo stiamo facendo.
Basta fare un confronto tra i consumi energetici degli edifici in Italia, Svezia e Germania. In Svezia lo standard per l’isolamento termico degli edifici non autorizza perdite di calore superiori a 60 kWh al metro quadro all’anno. In Germania le perdite sono mediamente di 200 kWh al metro quadro all’anno. In Italia si raggiungono punte di 500 kWh/m2/anno.
Mentre noi, da anni, teniamo gli occhi chiusi e non guardiamo al di là di ieri, negli altri paesi si stanno attuando politiche che permettono di essere meno inquinanti, meno dipendenti dai combustibili fossili e dai prezzi che gli altri stabiliscono per noi.
Mentre è ridicolo che un Ministro arrivi a discutere dei tappi per le pentole, appare chiaro che, prima o poi, dovremo affrontare il problema con la serietà che merita.
Mentre noi pensiamo a come sfruttare gli incentivi europei per falsificare il mercato della produzione delle energie rinnovabili, c’è chi pensa a ridurre le necessità di energia a parità di qualità della vita ed al contempo a realizzare veri mercati alternativi per l’approvvigionamento. Gli esempi da seguire sono sempre gli stessi, non dobbiamo guardare nemmeno troppo lontano. Se investissimo in ricerca sulle rinnovabili, compresa la leggerezza energetica, potremmo risolvere nella maniera adeguata quello che sarà il problema di questo secolo, assieme all’acqua.
Così come è risibile il provvedimento di Scajola, lo stesso modo di ragionare ci viene di fronte anche dietro casa.
L’ultima novità è il progetto di un inceneritore di biomasse presentato per Casemurate di Forlì. Poco lontano dal centro del Capoluogo, all’interno di un centro abitato in mezzo alla campagna, vorrebbero costruire una centrale elettrica che produce energia bruciando 170’000 tonnellate di biomasse all’anno.
Per fare un confronto i tre inceneritori attuali di Hera e di Mengozzi di Coriano bruciano insieme 70’000 tonnellate di rifiuti ogni anno.
Nella categoria delle biomasse rientra quasi di tutto: dalla legna all’erba, dai fanghi di depurazione alla cacca delle galline.
Siccome non produciamo così tanta “biomassa”, probabilmente dovremmo importarla da fuori Provincia, come è capitato ad Argenta, dove viene importato legname dal Canada.
Anche quelle che sono energie rinnovabili, quindi, rischiano di diventare solo un business legato agli incentivi europei, dal bilancio energetico negativo (entra nel ciclo più energia di quella che esce) e conti economici viziati temporaneamente dai certificati verdi.
Purtroppo di leggero, in quello che facciamo, c’è solo il modo di pensare.
Prima o poi il sole ci scioglierà le ali.

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