Acqua

Acqua. Ok alla tassa su per la minerale in bottiglie di plastica

Acqua. Ok all’emendamento dei Verdi su tassa su minerale nei contenitori in plastica

Tassa per un uso razionale dell’acqua, risorsa scarsa e bene prezioso, e per ridurre gli imballaggi in plastica. C’è l’accordo in maggioranza per l’inserimento in finanziaria, attualmente all’esame del Senato, di un emendamento proposto dai Verdi che prevede l’istituzione di una tassa sull’acqua minerale venduta al pubblico in contenitori di plastica. La pagheranno le società concessionarie che
imbottigliano e commercializzano l’acqua minerale prelevandola dalle numerose fonti presenti nel
territorio italiano. I proventi, dice la senatrice dei Verdi Loredana De Petris, finiranno in un fondo per migliorare la gestione delle risorse idriche nel nostro Paese e per garantire il diritto di accesso all’acqua nei paesi in via di sviluppo. Le aziende verseranno 1 cent di euro ogni dieci bottiglie in plastica. Sull’emendamento dei Verdi è stato trovato l’accordo nel corso della cabina di regia sulla
finanziaria. ”E’ istituito un fondo di solidarietà, presso la Presidenza del Consiglio finalizzato a promuovere – si legge nell’emendamento – il finanziamento esclusivo di progetti e interventi, in ambito nazionale e internazionale, atti a garantire il maggior accesso possibile alle risorse idriche secondo il principio della garanzia dell’accesso all’acqua a livello universale”. “Per ogni bottiglia di acqua minerale o da tavola in materiale plastico – si legge ancora – venduta al pubblico è istituito un contributo pari a 0,1 centesimi di euro che va a confluire nel fondo”. ‘Il fondo per favorire
l’approvvigionamento idrico delle zone del paese che soffrono una ‘sete’ storica, come la Sicilia,
sarà di minimo 10 milioni di euro l’anno”, assicura il presidente della Commissione ambiente
del Senato, Tommaso Sodano, che ha fatto due conti. Fondi in più anche per il biologico. La
cabina di regia, ha riferito sempre De Petris, ha deciso di aumentare il fondo per l’agricoltura biologica, che passa da 5 milioni di euro l’anno, per tre anni, a 10 milioni di euro l’anno. ”Il settore biologico – dice la senatrice – ha bisogno di un forte rilancio”. L’Italia è ai primi posti in Europa, ricorda De Petris, ma con l’allargamento della Ue aumenta la concorrenza.

Verdi.it: Auguri Wwf!

Verdi.it: Auguri Wwf!

Messaggi augurali per i 40 anni dell’associazione del Panda dal presidente Napolitano e dal ministro Pecoraro Scanio

Auguri di buon lavoro al Wwf dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per i 40 anni dell’associazione che oggi e domani ha organizzato una due giorni di incontri. “Trovo particolarmente interessante la vostra nuova iniziativa, che si esprime nella presentazione della Biodiversity Vision – si legge nella lettera pervenuta all’associazione – sintesi del lavoro di molti soggetti italiani per la definizione di un programma comune volto alla conservazione della biodiversità in Italia”.

“Le sue parole ci riempiono di orgoglio – ha detto il presidente del Wwf Fulco Pratesi. Soprattutto per il fatto di essere accompagnate dall’incoraggiamento ad andare avanti con i nostri programmi di conservazione e difesa della natura”.

“In questi giorni – ha aggiunto Pratesi – l’attenzione rivolta dalla Presidenza della Repubblica ai temi della tutela dell’ambiente, troppo spesso devastato da una crescita senza regole e da un cieco sfruttamento di risorse preziose come acqua e terra, è una ragione in più per il Wwf a svolgere la sua attività con maggiore impegno e passione”, ha aggiunto.

Un caro augurio è giunto anche dal ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio che il 28 ottobre presenterà un accordo di collaborazione per la tutela della biodiversità con l’associazione del Panda.

Con l’occasione il ministro ha annunciato l’adesione al programma internazionale del Wwf sulle ecoregioni e contemporaneamente consente al Wwf di prendere parte, con propri studi ed esperti, alla definizione del Piano Nazionale per la Biodiversità, piano che costituisce un aspetto fondamentale della Convenzione internazionale per la Biodiversità a cui l’ Italia ha aderito.

“Come ambientalista e come ministro, ringrazio il Wwf per quanto ha fatto in questi quarant’anni in Italia – ha detto il ministro Pecoraro Scanio. L’impegno degli attivisti e volontari ha offerto negli anni un contributo determinante per sensibilizzare l’opinione pubblica su diverse tematiche ambientali”. Il ministro ha augurato un buon lavoro a tutti i gruppi attivi in Italia “perché percorrano, senza arrendersi, il sentiero che porta a un futuro sostenibile”.

Pannelli solari: nuovi impianti per scuole e strutture sportive

Riporto l’articolo pubblicato dall’Ufficio Stampa del Comune di Forlì

PANNELLI SOLARI: NUOVI IMPIANTI AL SERVIZIO DI SCUOLE PER L’INFANZIA E STRUTTURE SPORTIVE
L’intervento sarà sostenuto da un importo di 178 mila euro. Impianto fotovoltaico anche a servizio del nuovo Gattile comunale.

Energia pulita per la produzione di acqua calda al servizio di scuole per l’infanzia e strutture sportive. La proposta, avanzata dal Comune e sostenuta dal Ministero dell’ambiente, ha ricevuto l’approvazione definitiva della Giunta comunale. Il progetto elaborato dall’area lavori pubblici porterà alla installazione di sette impianti a pannelli solari termici ad integrazione della produzione di acqua calda che saranno messi al servizio delle seguenti strutture: complesso di asili nido “Pimpa, Cucciolo, Kamillo Kromo” (via Salvemini), nido “Le Farfalle” (via Lambertelli), scuola materna “La Betulla” (via La Greca), palestre di “San Martino in strada” (viale dell’Appennino 498) e “F. Viroli” del quartiere Ronco, polisportivi “San Martino in strada” (viale dell’Appennino 657) e “Monti” del quartiere Cava. Gli interventi saranno sostenuti da un investimento complessivo di 178 mila euro, con 43 mila euro ottenuti quale contributo dal Ministero per l’ambiente.
Sempre in materia di approvvigionamento energetico mediante pannelli solari, la Giunta comunale ha dato il via libera alla possibilità di realizzare un impianto fotovoltaico al servizio del nuovo gattile comunale di via Bassetta attraverso un rapporto di sponsorizzazione dell’opera che permetta di coprire i costi dell’impianto e consenta visibilità allo sponsor. L’accordo di collaborazione sarà attivato a seguito di una procedura di evidenza pubblica.

Biomasse e Filiera Corta

Biomasse. Questa parola sembra essere il cavallo di battaglia di chi pensa di risollevare l’agricoltura dalla sua crisi strutturale. Così, da un giorno all’altro, vengono presentati tre progetti di nuovi inceneritori di biomasse, tutti nella stessa area, troppo vicini alle abitazioni ed alle altre fonti di inquinamento. Uno di questi tre progetti è già stato presentato nel 2004 a Finale Emilia (MO), dove è stato respinto, ed ora viene riproposto da noi in quella che, secondo alcune menti “illuminate”, dovrebbe diventare il primo polo per le biomasse d’Italia. Basta il buon senso per capire che questa non è la soluzione al problema della nostra agricoltura, ma una proposta temporanea che rischia di compromettere in maniera definitiva il grosso patrimonio che abbiamo accumulato con il tempo: l’esperienza e la capacità dei nostri agricoltori.

Le biomasse sono una fonte energetica da non scartare a priori, ma qualsiasi persona ragionevole capirebbe che non ha senso, in vista del prossimo continuo aumento del costo del petrolio, importare il cibo da paesi lontani e sfruttare i nostri campi solo per bruciarne il raccolto.

Questo è un problema tremendamente serio, che andrebbe affrontato con i dovuti approfondimenti: nel terzo millennio non possiamo affidare la nostra alimentazione alle incognite legate all’assenza di controlli e di diritti dei lavoratori dei paesi dai quali stiamo importando cibo e patologie, e non lo sarebbe nemmeno se ignorassimo i più banali criteri di precauzione per tutelare la nostra salute. Anche sul piano economico, basta pensare al continuo aumento del prezzo dei combustibili dovuto alla continua espansione della domanda ed al superamento del picco di produzione, che andranno a pesare sul trasporto delle merci e quindi sui prezzi al consumo.

Invece di investire sulle ristrutturazioni necessarie a consumare meno energia per ottenere gli stessi confort, come ad esempio avviene in Germania, cerchiamo affannosamente di costruire grosse centrali, che hanno l’unico scopo di far guadagnare poche persone a scapito di tutte le altre.
In questo modo saremo sempre costretti a rincorrere le falle ed a tappare i buchi di una gestione dell’energia che fa acqua da tutte le parti.

In questi giorni è stato detto da più parti che l’agricoltura biologica ha retto la crisi meglio delle altre tipologie di produzione. I Verdi propongono e sponsorizzano da anni un sistema agricolo che prediliga la filiera corta e la produzione di qualità allo stesso prezzo di quella attuale, ma con maggiori garanzie per la salute, per i lavoratori, per l’economia.

Questa sarebbe la soluzione adatta alla crisi del settore: meno importazioni dai paesi che non hanno adeguati controlli, prezzi onesti perché dettati solo dai costi di produzione e non da troppi passaggi intermedi, meno sprechi di energia per il trasporto a lunga distanza.

Se utilizzeremo tutti i nostri campi per produrre materiale da bruciare rischieremo da un lato di mettere la nostra economia locale al giogo degli incentivi incerti e temporanei, la cui sospensione causerà il fallimento immediato di queste produzioni, dall’altro perderemmo tutte quelle capacità che i nostri agricoltori hanno accumulato negli anni.

Per fare questo servono politiche coerenti a tutti i livelli istituzionali, che guardino al medio-lungo periodo con intelligenza: non possiamo più rimandare le soluzioni serie, semplici ed efficaci, altrimenti ci troveremo in una crisi ben più grave di quella attuale. Spostiamo gli investimenti sperperati sulle grandi opere più inutili in aiuti concreti al rilancio della nostra economia, ed otterremo risultati migliori di quelli che ci hanno accompagnato negli ultimi anni.

Peak oil – ovvero la verità dietro le guerre

Come tutti certamente saprete in questi giorni il costo del petrolio è salito sopra i 70 dollari al barile. La spiegazione, si dice nei comunicati stampa, è semplice: la crisi con l’Iran causa tensioni che aumentano i costi di questa materia prima.

Ma è veramente così? I costi del petrolio, sempre in aumento da diversi anni, sono sempre causati da tensioni internazionali? Oppure i conflitti e gli inasprimenti dei rapporti tra gli stati produttori ed i maggiori consumatori sono causati dagli aumenti strutturali del costo del petrolio?

In questo articolo voglio introdurre uno studio, ormai diventato storico, ed una proposta concreta per risparmiare energia, denaro e risorse ambientali.

Nel 1957 un geologo americano, M. K. Hubbert, elaborò un modello matematico per studiare la produzione USA del petrolio. Questo modello prevedeva nel 1970 il momento nel quale la produzione del petrolio americana avrebbe avuto il picco, per poi scendere in quantità e qualità dell’estrazione e salire in termini di costi.

Nessuno gli credette, fino al 1971, anno in cui i petrolieri texani scoprirono che l’estrazione era si faceva sempre più difficile, fino a fermarsi a causa dell’aumento repentino dei costi che non la rendeva economicamente equivalente. Nella seconda immagine vediamo le tre ipotesi sulle quantità di petrolio prodotte in funzione del tempo. Se la produzione crescesse al ritmo degli ultimi anni, avremmo l’ipotesi A, con un crollo vertiginoso dovuto alla fine delle scorte.

Se la produzione rimanesse costante nel tempo, senza aumenti, avremmo l’ipotesi B, altrettanto drammatica per le conseguenze che la linea verticale avrebbe sull’economia mondiale. Hubbert ipotizzò invece un andamento descritto dalla linea C, dove una volta superato un certo limite la produzione sarebbe diminuita gradualmente, a causa dell’aumentare dei costi e della difficoltà di reperimento del greggio.

Il Peak oil è quel limite, il momento del grafico della produzione annuale del petrolio nella quale l’estrazione è al suo massimo livello. La crescita continua della domanda richiede un aumento della produzione, che non può essere continua a causa dell’esauribilità della fonte. Dopo il picco si produrrà sempre meno petrolio ed i costi aumentano a causa della domanda che non scende dello stesso tasso della produzione.
Il fatto che la decrescita della produzione sia graduale e dolce nel grafico non deve però trarre in inganno: gli effetti sull’economia e sui nostri stili di vita saranno sicuramente importanti e netti, a meno che non ci si prepari adeguatamente per limitare la nostra dipendenza da questa fonte energetica non rinnovabile.

Cosa ci aspetterà dopo il picco? Le conseguenze sono abbastanza prevedibili: un innalzamento dei prezzi delle merci e del trasporto, instabilità politica, recessione economica, guerre per le risorse. Di fatto nulla di particolarmente diverso rispetto alla situazione degli ultimi anni, ma sicuramente ci sarà un peggioramento di tutti questi problemi.

Un geologo irlandese, Colin Campbell, ha fondato un’Associazione per lo studio del Picco Petrolifero (Aspo), che tiene sotto controllo la
il grafico di Hubbert a livello globale e studia numerose alternative energetiche per prevenire la crisi successiva al raggiungimento del picco.

Anche in Italia ne esiste una sezione, di cui sono socio, che vanta numerosi e prestigiosi esperti. Il presidente è Ugo Bardi, docente universitario del dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, ed il comitato scientifico è formato da professori, ricercatori, esperti indipendenti ed autori di testi autorevoli sulle energie rinnovabili.

Secondo questi esperti il picco di produzione del petrolio “pulito” (area puntata della terza immagine) sarà nel 2007, mentre gli altri tipi più difficili da raffinare sposteranno il picco poco più avanti, ma con conseguenze pesanti sull’impatto ambientale.

I metodi per uscire da questa crisi imminente ci sono, ma bisogna investire subito (o meglio da ieri, come hanno fatto altri stati con Governi più lungimiranti) su alternative credibili, efficienti ed economiche.

Il presidente di ASPO ha pubblicato tra gli altri una serie di articoli sulla mobilità elettrica, facendo particolare attenzione agli scooter elettrici. Quasi inesistenti come numero di veicoli immatricolati questi scooter hanno una autonomia di 40-50 km (Il lepton della Oxygen, l’EVT 4000e o l’EVT 168) a 45-50 km/h, fanno 100km con meno di un euro di elettricità, hanno emissioni zero e si ricaricano mentre frenano o vanno in discesa. Niente di futuribile, a Firenze ne esistono già circa 3000 totalmente funzionanti, grazie anche alla diffusione delle colonnine di ricarica ed agli incentivi per l’acquisto.
Questi scooter si ripagano dopo un paio di anni, costano dai 1200€ ai 3000€ a seconda dei modelli e fatto un cambio di batterie anche i modelli usati sono come nuovi (perché hanno meno parti consumabili messe sotto sforzo). Il costo maggiore, quindi, diventa quello della sostituzione delle batterie, da fare ogni 3 anni circa con i modelli attuali al Piombo. Anche includendo questo, siamo ad 1/10 circa delle spese di viaggio di una utilitaria a benzina.

Se facciamo un paragone con la mobilità a petrolio possiamo pensare ad uno scooter elettrico come un mezzo che fa 90 chilometri con un litro, grazie ad una migliore efficienza del mezzo.
Ma questo non è il solo ed unico vantaggio che hanno, e non è solo per questo che ASPO cerca di diffonderne l’utilizzo assieme all’uso delle rinnovabili. Le fonti di energia rinnovabile soffrono di un problema abbastanza pesante: sono discontinue. Alternano tempi di abbondanza e di scarsità nell’arco di una stessa giornata e variano in quantità considerevoli nell’arco dei mesi dell’anno.
E’ chiaro, quindi, che da un lato si debba cercare di produrre da fonti diverse, che si completino a vicenda (vento e sole, acqua e geotermia, etc.), e dall’altro cercare mezzi che permettano di immagazzinarne in grande quantità. L’idrogeno è un esempio: la produzione di idrogeno attraverso energie rinnovabili ha senso, ma l’energia sprecata per questo ulteriore passaggio intermedio è tanta e quasi certamente non potremo permettercela a meno di non ricorrere al nucleare.
I mezzi elettrici hanno quindi un doppio vantaggio: l’investimento ed il mercato di questi va a diretto beneficio della ricerca sulle batterie e sull’efficienza dell’immagazzinamento, permettendo allo stesso tempo un immediato ritorno economico.

Con uno scooter elettrico, quindi, si risparmia e si finanzia un mercato che è ancora troppo poco sviluppato a fronte di una grande potenzialità.

Per ultima è necessario fare una considerazione sul nucleare: anche l’Uranio è alla soglia del picco di produzione. Anche senza pensare a Chernobyl bisogna tener presente che i costi dell’energia nucleare d’ora in avanti aumenteranno. Nessuna azienda privata si sognerebbe mai di pensare al nucleare, a meno che non possa escludere dai bilanci i costi ambientali, lo smaltimento delle scorie, le spese militari per difendere un obiettivo sensibile e pericolosissimo.

Il problema del Peak Oil è importante e solo in questi ultimi mesi se ne sente parlare nei quotidiani ed in alcune trasmissioni lungimiranti, come quella di Fazio. Dopo cinquant’anni di studi teorici che ci avrebbero permesso di prepararci per tempo, ora siamo agli sgoccioli ed i governi continuano a far finta di nulla. Ma anche per questo c’è una risposta degli studiosi: Misperception of Dynamics, di cui parleremo probabilmente in una prossima puntata.

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