Giustizia

Tana de Zulueta sull’indulto

Pubblico una lettera di Tana de Zulueta in risposta ad una richiesta di spiegazioni sull’indulto.

varie persone mi hanno scritto per manifestare il loro disagio e in qualche caso anche la propria indignazione per il voto a favore dell’indulto passato prima alla Camera e poi al Senato. Credo che lettere simili siano arrivate a molti se non a tutti i parlamentari dell’Unione. Il disagio è comprensibile e una risposta è dovuta. Provo dunque a spiegare le ragioni di una scelta.

Premetto che l’idea stessa dell’indulto mi mette in difficoltà. Sarà per via della mia formazione in gran parte anglosassone (in quei paesi leggi simili semplicemente non sono contemplate) ma un provvedimento di clemenza generalizzato e applicabile a tutti quelli che hanno commesso determinati reati entro una certa data mi pare che violi quel principio chiave iscritto in tutte le aule di giustizia: la legge è uguale per tutti. Non mi consola nemmeno il fatto che l’indulto è previsto dalla Costituzione: per me è sempre e comunque l’ammisione di un fallimento.

Quando il provvedimento è arrivato in aula alla Camera mi sono premurata di capire cosa ne pensassero i giuristi e i magistrati che più stimo, da Giancarlo Caselli a Carlo Federico Grosso ed a Vittorio Grevi. Una consultazione resa tanto più necessaria per me dal fatto che non vi era stato nessun dibattito tra i parlamentri dell’Unione per spiegare le ragioni che stavano dietro al compromesso raggiunto, salvo sul fatto che fosse stato reso necessario dal bisogno di raggiungere una maggioranza dei due terzi del Parlamento e che fosse, pertanto, ?blindato?.

Forse, alla luce dei fatti, la mediazione era tra due esigenze inconciliabili: da una parte reali esigenze umanitarie, confermate da tutti quelli che hanno a che fare con l’universo carcerario, e dall’altra parte altre ragioni, mai esplicitate, ma che si leggono in filigrana nel testo della legge così com’è stata votata dal Parlamento.

Su un punto i giuristi erano comunque tutti d’accordo: era troppo tardi per affondare il provvedimento. Troppe le attese suscitate e troppo grave la situazione in cui versano le carceri italiane. Il compromesso, però, mi hanno detto, è accettabile solo se accompagnato dal solenne impegno di riforme strutturali che facciano sì che le carceri non si riempiano un’altra volta per gli stessi perversi motivi. Aggiungo che forse la cosa più importante di tutte è che si dimostri, nei fatti, che anche se questo era, in un certo senso, un indulto ?ad personam? (è un fatto incontestabile che a Previti servivano proprio tre anni di indulto per fare decadere la sentenza che lo tiene agli arresti domiciliari) l’Unione non accetta, anzi ripudia la logica dell’impunità che sta dietro le ?leggi vergogna?. Via dunque la Cirami, la Cirielli, la legge sul falso in bilancio. E per non riempire inutilmente le carceri, via la Bossi Fini e la nuova legge sulla droga escogitata da Fini.

Qualcosa è stato detto. Vorrei vedere di più.

E’ possibile, come qualcuno ha scritto, che il compromesso non fosse comunque accettabile, e che sottoscrivendolo la maggioranza abbia rotto il patto di fiducia che la lega al suo elettorato. Spero di no. Non posso dire di essere sicura di avere fatto la cosa giusta votando sì a quest’indulto. Anzi. Comunque mi sono assunta le mie responsabilitàdi di fronte a una scelta per me molto difficile, come molti altri parlamentari dell’Unione che erano altrettanto critici. Ho, invece, un giudizio meno favorevole di molti nei confronti di Antonio Di Pietro, anche se gli riconosco il merito di avere sollevato l’allarme sugli aspetti più preoccupanti del provvedimento. Guardandolo saltare in aula dai banchi del governo alle fila dei suoi parlamentari, a cui passava le istruzioni, mi sembrava che ci fosse qualcosa di finto in questa baraonda. A Roma mi pare che si dica: “Reggetemi che lo meno!”

Mi piacerebbe che Di Pietro si facesse anche lui un piccolo esame di coscienza. Il presidente della commissione Giustizia della Camera, Antonio Pisicchio, che ha presieduto alla stesura del testo dell’indulto, esteso anche alle pene accessorie (poi rimosse dal beneficio in Aula), compresi i reati finanziari e contro la pubblica amministrazione, è un uomo del partito di Di Pietro messo lì su sua precisa richiesta. Allora delle due l’una: o Di Pietro era d’accordo sul compromesso e poi ha cambiato idea, o non si era accorto, lui ex-magistrato e solerte campione della legalità, di quello che stava combinando il suo rappresentante in Parlamento. Comunque sia, meglio guardare in casa propria prima di esporre i propri colleghi di coalizione alla gogna mediatica tramite il proprio blog. Se è stato commesso un errore vediamo di porvi rimedio al più presto, cancellando le leggi ad personam varate dal governo Berlusconi e riformando in maniera strutturale i sistemi giudiziario e penale italiano.

Cordialmente

Tana

In prigione per sempre

Riporto un commento di Claudio Giusti che condivido, anche se sull’indulto credo sarebbero stati necessari un lavoro più attento e l’esclusione di alcuni reati più gravi dal provvedimento.

In prigione per sempre?

Se dovessi capire gli effetti dell’indulto da quello che dicono giornali e televisioni, avrei l’impressione che si stiano per mettere in libertà detenuti che non sarebbero mai più usciti dal carcere. Invece usciranno, un po’ prima, persone che sarebbero uscite, IN OGNI CASO, entro un paio d’anni. Quindi, invece che fare la solita demagogia da quattro soldi, bisognerebbe chiedere alla famosa mamma: “cosa avrebbe fatto fra sei mesi?”. Questo vale però solo se non avete deciso di tenere in prigione tutti per sempre.

Cambieresti?

Cambieresti?Cambieresti? è una sperimentazione rivolta a 1000 famiglie del Comune di Venezia, disposte a fare un tentativo di revisione dei propri consumi allo scopo di riuscire veramente a scegliere quello che veramente serve al proprio benessere, nel pieno rispetto dell’ambiente e della giustizia verso i popoli del sud del Mondo. All’esperimento hanno già aderito 600 famiglie, ed al battesimo erano presenti Beppe Grillo, Gianfranco Bettin, l’assessore all’Ambiente, Paolo Cacciari e i rappresentanti delle associazioni coinvolte. La sperimentazione durerà 10 mesi e coinvolgerà diversi aspetti della vita degli iscritti: dal risparmio energetico al consumo critico, passando per la medicina naturale ed all’uso intelligente del tempo libero.

Italia: fanalino di coda nel rispetto della normativa ambientale UE

Verdi/ALE al Parlamento europeo
Comunicato Stampa – Bruxelles, 15 luglio 2004
Italia: fanalino di coda nel rispetto della normativa ambientale UE
È di oggi la notizia che la Commissione europea sta portando avanti diversi procedimenti di infrazione nei confronti dell’Italia.
Nello specifico, all’Italia si contestano 28 casi di mancato recepimento della normativa ambientale UE.
La Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte europea di giustizia per una serie di infrazioni legate alle discariche industriali e allo smaltimento dei rifiuti, all’assenza di valutazioni di impatto ambientale e all’inosservanza delle nuove norme sui carburanti. L’Italia ha anche violato altre importanti norme dell’UE finalizzate alla protezione dell’ambiente, come le direttive sulla qualità dell’aria e dell’acqua, sulla protezione dello strato di ozono, sul mutamento climatico e sull’inquinamento da fonti industriali.
Monica Frassoni, Presidente del Gruppo Verdi/ALE al Parlamento europeo, ha così commentato la notizia:
“È triste constatare che il nostro Paese è tra quelli col maggior numero di procedure d’infrazioni aperte in materia ambientale. Purtroppo possiamo continuare a parlare di un “caso Italia” a livello di Unione europea ed i cittadini italiani ormai sono cittadini europei di serie B per quanto riguarda l’ambiente in cui vivono.
“Il Governo Berlusconi persiste impunemente in una situazione di illegalità e anzi agisce a livello legislativo per indebolire il già fragile sistema giuridico di protezione dell’ambiente in Italia. Il fatto che dei 43 avvertimenti lanciati oggi dalla Commissione, ben 28 riguardino l’Italia, dimostra che nel nostro Paese c’è un reale problema di carattere strutturale per quanto concerne la legislazione ambientale.”

“Nella legislatura che sta per cominciare continuerò a battermi al Parlamento europeo affinché il diritto alla salute e ad una buona qualità di vita dei cittadini italiani, come sancito dai trattati europei, sia tutelato come quello degli altri cittadini europei.”
Nota per l’editore:
La procedura di infrazione comunitaria: L’articolo 226 del trattato conferisce alla Commissione la facoltà di avviare un’azione legale nei confronti di uno Stato membro che non adempie ai propri obblighi. Se la Commissione ritiene che vi possa essere un’infrazione rispetto al diritto comunitario che giustifica l’apertura della procedura di infrazione, essa invia una “lettera di costituzione in mora” (o primo ammonimento scritto) allo Stato membro interessato, intimandogli di presentarle le proprie osservazioni entro un determinato termine, di solito fissato a due mesi.

Alla luce della risposta o mancata risposta dallo Stato membro interessato, la Commissione può decidere di inviare un “parere motivato” (o “secondo ammonimento scritto” o “ammonimento scritto finale”) allo Stato membro, in cui illustra in modo chiaro e univoco i motivi per cui ritiene che sussista una violazione del diritto comunitario e lo sollecita a conformarsi entro un determinato termine (di solito due mesi).

Se lo Stato membro non si conforma al parere motivato, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee. L’articolo 228 del trattato conferisce alla Commissione il potere di agire contro uno Stato membro che non si sia conformato ad una precedente sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Sempre a norma dell’articolo 228, la Commissione può chiedere alla Corte di infliggere sanzioni pecuniarie allo Stato membro interessato.

Monica Frassoni
Deputata al Parlamento Europeo
Presidente Gruppo dei Verdi/ALE
Bureau ASP 8G202
Parlamento Europeo, Rue Wiertz
B-1047 Bruxelles
Tel. +32 2 2847932, Fax +32 2 2849932
(Strasburgo) Tel. +33 3 88177932, Fax. +33 3 88179932

Ogm: Corte Ue, Stato può sospendere vendita

Da vita.it:

Se uno Stato ha motivi fondati per sospettare l’esistenza di un rischio, puo’ limitare provvisoriamente o sospendere la commercializzazione e l’utilizzo sul suo territorio

La semplice presenza di residui di proteine transgeniche in nuovi prodotti alimentari non impedisce la loro immissione in commercio, mediante una procedura semplificata, se non vi sono rischi per la salute umana. Tuttavia, se uno Stato membro ha motivi fondati per sospettare l’esistenza di un simile rischio, puo’ limitare provvisoriamente o sospendere la commercializzazione e l’utilizzo sul suo territorio. Questa la sentenza della Corte di giustizia Ue del Lussemburgo nella causa che opponeva la Monsanto ed altre imprese attive nel settore della biotecnologia all’Italia per aver vietato l’immissione sul mercato di alcuni prodotti alimentari con granturco geneticamente modificato. Il decreto con cui l’Italia aveva stabilito una sospensione preventiva della commercializzazione e dell’utilizzo di prodotti provenienti da granturco geneticamente modificato risale al 2000. In seguito a quel provvedimento, Monsanto ed altre aziende del settore hanno presentato un ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio ritenendolo contrario al diritto comunitario. Nel 1997 e 1998 le aziende avevano informato la Commissione Ue, nell’ambito di una ”procedura semplificata”, per la quale e’ necessaria solo una notifica all’esecutivo europeo, la loro intenzione di commercializzare prodotti provenienti da granturco geneticamente modificato, quali la farina. Tra l’altro, Monsanto Europe e altre imprese avevano gia’ ottenuto in Francia e in Gran Bretagna l’autorizzazione all’immissione in commercio di alcuni chicchi di mais Ogm per la sua resistenza a insetti ed erbicidi. In Italia, invece, il governo, dopo aver sentito pareri di diversi organi scientifici, ha avuto dubbi sull’innocuita’ di questi prodotti con la conseguente emissione del decreto del 8 agosto 2000. Nella sua sentenza la Corte Ue, a cui si era rivolto il Tar del Lazio, ricorda che il regolamento comunitario sui nuovi prodotti alimentari ha la finalita’ duplice di garantire il funzionamento del mercato interno di questi prodotti e di tutelare la salute pubblica. Lo stesso regolamento, si sottolinea, ”qualifica come sostanzialmente equivalenti a prodotti o ingredienti alimentari esistenti quelli che presentano differenze di composizione, ma che non hanno effetti negativi per la salute”. La Corte rileva inoltre che la ”procedura semplificata” non deve in alcun caso trasformarsi in un indebolimento delle norme di sicurezza che devono essere rispettate dai nuovi alimenti e che talune differenze di composizione di questi ultimi, rispetto a quelli tradizionali, devono essere specificatamente menzionate nell’etichettatura. In virtu’ della cosiddetta ”clausola di salvaguardia”, spiega ancora la Corte Ue, uno Stato membro ”puo’ a titolo preventivo limitare provvisoriamente o sospendere la commercializzazione del prodotto sul suo territorio”. La dimostrazione dell’esistenza di rischi per la salute, secondo i giudici del Lussemburgo, puo’ giustificare ”l’adozione di una tale misura, ma in tal caso il rischio non deve essere puramente ipotetico, ne’ risultare fondato su semplici supposizioni non ancora fondate. Lo Stato deve basarsi su indizi precisi e non su ragioni aventi un carattere generico”. Alcuni aspetti di questa vicenda appaiono tuttavia attualmente ormai superati dopo che nel luglio scorso l’ Unione europea ha adottato nuove regole sull’etichettatura e sulla tracciabilita’ degli Ogm.

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