Tecnologia

Metti il coperchio sulle pentole

Pochi giorni fa il Ministro delle Attività Produttive Scajola, per fronteggiare la crisi energetica dovuta al taglio delle forniture del metano da parte della Russia, ha chiesto agli italiani di mettere il coperchio sopra le pentole. Oltre a questo invito ha previsto, con un decreto, la riapertura delle centrali ad olio combustibile, chiuse perché inquinanti, vecchie e costose, ed una riduzione delle temperature dei riscaldamenti a 18 gradi (al posto dei canonici 20).
Questa emergenza ha fatto capire agli italiani che non è stato fatto nulla, in tutti questi anni, per ridurre la nostra dipendenza energetica dalle fonti non rinnovabili importate dall’estero.
Qualcuno di questi, sull’onda emotiva degli allarmismi, ha riproposto persino il ricorso al nucleare, tecnologia ormai abbandonata anche da chi lo ha sfruttato negli anni passati.
Antieconomico, pericoloso e legato alla disponibilità di Uranio che non è abbondante in forma utilizzabile allo scopo, il nucleare sarebbe l’ennesima beffa che non risolve il problema.
Nessun governo italiano, fino ad oggi, ha saputo metter mano alla fonte più economica, ecologica ed abbondante nel nostro paese: il risparmio energetico.
In effetti l’idea non attrae molto l’attenzione. Non richiama l’idea di abbondanza, della mitica opulenza di una società “sviluppata”, che non conosce confini alla crescita.
Probabilmente per essere veramente efficace, come concetto, dovrebbe chiamarsi diversamente. Anziché risparmio energetico, quindi, utilizzerò in questo articolo “leggerezza energetica”. Un po’ come le barrette per perdere peso, un metodo per essere felici e meno in colpa verso il prossimo che stiamo inquinando.
Se la pensiamo come fonte, la leggerezza energetica è un bene che stiamo sprecando.
Buttereste dalla finestra centinaia di euro? In realtà in Italia lo stiamo facendo.
Basta fare un confronto tra i consumi energetici degli edifici in Italia, Svezia e Germania. In Svezia lo standard per l’isolamento termico degli edifici non autorizza perdite di calore superiori a 60 kWh al metro quadro all’anno. In Germania le perdite sono mediamente di 200 kWh al metro quadro all’anno. In Italia si raggiungono punte di 500 kWh/m2/anno.
Mentre noi, da anni, teniamo gli occhi chiusi e non guardiamo al di là di ieri, negli altri paesi si stanno attuando politiche che permettono di essere meno inquinanti, meno dipendenti dai combustibili fossili e dai prezzi che gli altri stabiliscono per noi.
Mentre è ridicolo che un Ministro arrivi a discutere dei tappi per le pentole, appare chiaro che, prima o poi, dovremo affrontare il problema con la serietà che merita.
Mentre noi pensiamo a come sfruttare gli incentivi europei per falsificare il mercato della produzione delle energie rinnovabili, c’è chi pensa a ridurre le necessità di energia a parità di qualità della vita ed al contempo a realizzare veri mercati alternativi per l’approvvigionamento. Gli esempi da seguire sono sempre gli stessi, non dobbiamo guardare nemmeno troppo lontano. Se investissimo in ricerca sulle rinnovabili, compresa la leggerezza energetica, potremmo risolvere nella maniera adeguata quello che sarà il problema di questo secolo, assieme all’acqua.
Così come è risibile il provvedimento di Scajola, lo stesso modo di ragionare ci viene di fronte anche dietro casa.
L’ultima novità è il progetto di un inceneritore di biomasse presentato per Casemurate di Forlì. Poco lontano dal centro del Capoluogo, all’interno di un centro abitato in mezzo alla campagna, vorrebbero costruire una centrale elettrica che produce energia bruciando 170’000 tonnellate di biomasse all’anno.
Per fare un confronto i tre inceneritori attuali di Hera e di Mengozzi di Coriano bruciano insieme 70’000 tonnellate di rifiuti ogni anno.
Nella categoria delle biomasse rientra quasi di tutto: dalla legna all’erba, dai fanghi di depurazione alla cacca delle galline.
Siccome non produciamo così tanta “biomassa”, probabilmente dovremmo importarla da fuori Provincia, come è capitato ad Argenta, dove viene importato legname dal Canada.
Anche quelle che sono energie rinnovabili, quindi, rischiano di diventare solo un business legato agli incentivi europei, dal bilancio energetico negativo (entra nel ciclo più energia di quella che esce) e conti economici viziati temporaneamente dai certificati verdi.
Purtroppo di leggero, in quello che facciamo, c’è solo il modo di pensare.
Prima o poi il sole ci scioglierà le ali.

Riparare televisioni e monitor invece di buttarli

Un amico ha aperto un sito dove spiega il suo passatempo da bravo perito elettronico:
##### (indirizzo cancellato perché il sito non esiste più)

Ripara monitor ed apparecchiature elettroniche, alcune delle quali destinate alla discarica, per ridurre il nostro impatto ambientale con il sempre maggiore richiamo all’usa e getta anche nei grandi elettrodomestici.

L’invito che fa è quello di cercare di evitare di buttare via ciò che non funziona, che riteniamo obsoleto, ma che ancora può essere ripristinato ed avere una seconda vita. Gli elettrodomestici nuovi ed economici spesso sono fatti per durare solo il tempo della garanzia, per essere sostituiti, mentre la razionalità vorrebbe che con la tecnologia aumenti anche la durata delle cose che costruiamo.
Contattatelo se avete qualche monitor o qualche televisore che non funziona, prima di buttarlo via. Avrete fatto un favore anche all’ambiente.

Aggiornamento 6/2/2012: Nonostante questo articolo sia stato scritto tanti anni fa, ancora in tanti mi scrivono chiedendomi come si ripara il loro televisore. Io non so riparare televisori, vi consiglio di cercare un tecnico che lavori vicino a casa vostra.

Se avete dei dubbi, scrivete un commento a questo articolo, magari qualcun altro saprà rispondervi, ma non aspettatevi la soluzione e non scrivetemi in privato, è inutile. Quello che so lo scrivo qui.

Nulla di vero tranne gli occhi

Significativo che questo sia il titolo dell’ultimo romanzo di Faletti. Mantellini scrive un articolo molto interessante su Punto-Informatico, in anteprima sul suo blog.

A questo proposito, volevo aggiungere al discorso fatto in precedenza (credo che sia stato tra i più commentati della storia di questo blog), un paragrafo tratto dal libro di Lessig, Cultura Libera:

… non c’è nulla di sbagliato o di sorprendente nella campagna dell’industria produttrice di contenuti per tutelarsi dalle dannose conseguenze dell’innovazione tecnologica. E io sono l’ultimo a sostenere che il cambiamento prodotto dalla tecnologia di Internet non abbia avuto un profondo impatto sugli affari di tale industria o, come spiega John Seely Brown, sulla sua “architettura delle entrate”.

Ma il solo fatto che un particolare settore d’interesse chieda il sostegno del governo non significa che tale sostegno vada accordato. E solo perché la tecnologia ha indebolito un determinato modo di lavorare, non significa che il governo debba intervenire per sostenere quel vecchio comportamento. La Kodak, per esempio, ha perso fino al 20 per cento del mercato della fotografia tradizionale a causa delle tecnologie emergenti delle macchine fotografiche digitali 05. Qualcuno pensa forse che il governo debba proibirne la produzione soltanto per sostenere la Kodak?

Dobbiamo tutelarci dai legislatori e fare le nostre battaglie politiche, per difenderci da chi utilizza gli ignoranti come Faletti per portare avanti la sua battaglia.

Solo con l’interesse di tutti possiamo vincere la battaglia contro chi vuole farci tornare al medioevo dell’informazione.

A Forlì non esiste un problema per l’elettrosmog. O quasi.

Abbiamo delle leggi nazionali che impongono dei limiti per le emissioni di onde elettromagnetiche da parte delle antenne, i controlli dicono che questi limiti sono ampiamente rispettati, ma questo non significa che la preoccupazione dei cittadini nei confronti delle nuove installazioni sia immotivato.
Prima di tutto bisogna proteggere dalle emissioni gli asili nido e le scuole materne, ma anche i parchi gioco e tutti gli altri luoghi di accesso per l’infanzia, per proteggere i bambini da eventuali rischi, dato che per loro il rischio è più elevato.
Poi bisogna riappropriarsi della capacità di programmazione delle installazioni, per discutere insieme con i cittadini, senza ipocrisie, le zone più adatte per costruire nuove antenne se ne hanno la necessità. Le richieste fatte dai cittadini sono più che legittime: è necessaria una maggiore informazione sulle nuove installazioni, affinché si possa conoscere la programmazione dei gestori e fare proposte di modifica.
E’ semplicemente folle che per legge gestori diversi non possano condividere le stesse antenne, con la naturale conseguenza della moltiplicazione degli impianti. Se questo fosse possibile, allo stato attuale potremmo avere ⅓ o Œ delle antenne esistenti.
La tecnologia UMTS, quella della videocomunicazione, obbliga ad un aumento del numero degli impianti, a causa delle diverse frequenze con le quali lavora.
L’organizzazione mondiale della sanità ad oggi non riesce a fornire informazioni adeguate sull’impatto a lungo termine che questo tipo di onde ha sulla nostra salute, ma esperimenti sui topi hanno dimostrato un aumento dell’incidenza del cancro con l’esposizione ravvicinata ad una antenna trasmittente. Non esiste, in pratica, un limite minimo di emissioni che eviti con certezza problemi per la salute.Sappiamo per certo che l’esposizione ad una fonte di elettrosmog provoca un riscaldamento dei tessuti, e per un telefono cellulare significa un riscaldamento del cervello.
Il cervello è estremamente sensibile alle differenze di temperatura, anche minime, ed anche se esistono studi contrastanti sugli effetti, possiamo pensare con ragionevole certezza che questo riscaldamento non faccia bene alle nostre cellule grigie. Per questo motivo è consigliabile tenere il cellulare lontano dalle orecchie, tramite vivavoce o auricolari, soprattutto quando questo inizia la chiamata (è il momento di maggiore intensità delle onde).
Questo non significa che si debba aver paura solo dei cellulari: le onde elettromagnetiche sono prodotte anche dagli elettrodomestici (televisori, radiosveglie, computer, lavatrici) e dagli elettrodotti, per fare solo qualche esempio importante, quindi dovremmo fare attenzione a tutto quello che incide sull’elettrosmog.
L’impatto emotivo che provoca l’installazione di una antenna è molto più forte a causa della visibilità dell’impianto e dalla preoccupazione verso una tecnologia che è molto recente. A volte capita che non venga accettata una nuova installazione nei pressi di un edificio, per precauzione, ma allo stesso tempo non si hanno problemi ad edificare nuove strutture nei pressi di una antenna, come se la preesistenza di questa modificasse la sua presunta pericolosità.
Dovremmo affrontare questo problema in maniera più rigorosa, mettendo sempre al primo piano la nostra salute, rispetto ai vantaggi economici delle grandi aziende della comunicazione.
Non tutti sanno che al diminuire del segnale, il cellulare aumenta le sue emissioni per migliorare la ricezione. E’ quindi molto peggio avere in tasca un cellulare senza campo (in questi casi è meglio spegnerlo), piuttosto che una antenna a qualche centinaio di metri.
Il limite di legge per le emissioni dei cellulari, infatti, è molto più permissivo rispetto a quello delle antenne: circa 30 V/m contro 6 V/m.
Cerchiamo di agire in maniera più prudente: un bambino di 10 anni non ha bisogno di un telefono cellulare, soprattutto se rappresenta un rischio per la sua salute.
Infine sarebbe opportuno scegliere telefoni che abbiano la minore emissione possibile, anche per dare un segnale al mercato: esiste un metodo per misurarla e viene indicato con l’acronimo SAR, ed ogni produttore è obbligato ad allegare i livelli di emissione al manuale del cellulare.
La paura, da sempre, è un meccanismo di autodifesa eccezionale.
Una maggiore consapevolezza, però, non può che aiutarci a calibrare meglio i nostri timori sui pericoli più importanti.

Il rendimento delle auto elettriche e dell’idrogeno

Andrea mi manda, in privato, una serie di conti sui rendimenti delle auto elettriche e quelle ad idrogeno (con motore a celle di combustibile ed a scoppio). I dati, se comparati, restituiscono una indicazione importante sulla tecnologia ad oggi più vantaggiosa. Faccio in anticipo le conclusioni, prima dei dati: Le auto elettriche sono più vantaggiose rispetto a quelle ad idrogeno, perché a parità di energia prodotta ne viene dispersa molta meno, grazie ad un rendimento notevolmente più alto. L’unico vantaggio dell’idrogeno riguarda gli equilibri economici della distribuzione del carburante: mentre un’auto elettrica si può ricaricare ovunque, per l’idrogeno serve un distributore professionale (perché comunque è pericoloso e difficile da produrre in proprio), ed un cambiamento del carburante non modificherebbe la situazione delle compagnie di distribuzione. Per questo motivo probabilmente in futuro vedremo maggiori spinte verso l’idrogeno, rispetto all’elettrico, ma questo non ci deve trarre in inganno: dobbiamo cercare di renderci indipendenti dai combustibili fossili prima possibile, e non potremo farlo con facilità se rimarremo ancorati a sistemi che su 100 unità di energia ne lasciamo 6 allo stadio finale, quello che permette alle vetture di muoversi. Questo dato è importante: per ogni 6 chilometri che facciamo, con l’idrogeno ne lasciamo indietro 94 dispersi nel nulla.

Tabella generale dei rendimenti

Rendimento di una centrale termoelettrica 45% (se va bene, tenuta pulita, ecc)
Rendimento di una linea di trasporto di energia elettrica 80% (se avete dati migliori, documentati, passatemeli , per favore)
Rendimento di un processo di elettrolisi 70% (la pirolisi costa un sacco di più dal punto di vista energetico, per quel che ricordo)
Rendimento di un motore a combustione interna, ciclo otto 25% max, se si parla di un motore di autovettura puo` essere anche inferiore, in città
Rendimento di un accumulatore elettrico 85-90%
Rendimento di un motore elettrico 90-95%
Inoltre, in sistema (auto + motore elettrico + accumulatore + sistema di regolazione elettronico con recupero) permette di recuperare l’energia cinetica ricaricando le batterie al posto di dissiparla con il riscaldamento dei freni
Rendimento di una cella a combustibile 20-40% (ma credo che il valore giusto sia quello basso: 20%)

Quindi vediamo i vari casi partendo da una quantità iniziale di energia fossile (petroli/carbone/metano/uranio)

1) Caso auto elettrica
inizio 100 unità di energia;
trasformo in elettricità, 40%, restano 40 unità; trasporto l’energia, 80%, restano 32 unità;
accumulo in batterie, 85%, restano 27.2 unità;
la uso con motore elettrico, 90%, uso 24,48 unità, recuperando nelle frenate.
Sintesi: auto elettrica tradizionale, quasi 25% di rendimento globale, e l’energia è ben utilizzata e prodotta in centrale (minimo inquinamento “tecnicamente possibile” ad oggi).
2) Caso auto elettrica con cella a combustibile ad idrogeno.
inizio 100 unità di energia;
trasformo in elettricità, 40%, restano 40 unità; trasporto l’energia, 80%, restano 32 unità;
elettrolisi dell’acqua, 70%, restano 22,4 unità;
tralascio le perdite per trasportare l’idrogeno liquido ed i problemi per lo “smaltimento dell’ossigeno”, problema sempre trascurato.
trasformo idrogeno in energia elettrica, 30% (ottimistico), restano 6,72 unità di energia;
la uso con motore elettrico, 90%, uso 6.05 unità di energia.
Sintesi: auto elettrica ad idrogeno, circa il 6% di rendimento globale, comunque l’auto deve avere accumulatori (per recupero sulle frenate e spunto in accelerazione) e deve avere un serbatoio contenete idrogeno liquido ad una temperatura bassissima ed una pressione alta. Oltre al problema della produzione di CO2 in centrale (la stessa di prima) c’è anche il problema dell’ossigeno (un eccesso di ossigeno crea grossi problemi di incendi e problemi alla vita umana).

3) Caso auto ad idrogeno con motore tradizionale.
inizio 100 unità di energia;
trasformo in elettricità, 40%, restano 40 unità; trasporto l’energia, 80%, restano 32 unità;
elettrolisi dell’acqua, 70%, restano 22,4 unità;
tralascio le perdite per trasportare l’idrogeno liquido e distribuirlo.
la uso con motore a scoppio, 25% (ottimistico), uso 5.6 unità di energia (e, a meno di auto ibrida, non recupero le frenate).
Sintesi: auto tradizionale ad idrogeno, circa il 6% di rendimento globale. Restano gli stessi problemi del caso 2.

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