Media

200 euro a testa di tasse? No, sono 20.

La Voce di Romagna di oggi riporta, in prima pagina e nelle civette, un presunto aumento di 200 euro di Irpef pro-capite per i cittadini di Forlì, dovuto alla manovra correttiva per il bilancio votata dalla Giunta di ieri.
In realtà all’interno dell’articolo si riporta, vicino alla ripetizione dei presunti 200€, anche la cifra complessiva di cui si sta parlando che è di 2,4 milioni di euro. Facendo una semplice divisione per il numero di cittadini del Comune di Forlì (circa 120’000) risulta che la media dell’aumento delle tasse sarà, se la proposta passerà in Consiglio Comunale, di 20€ annuali a testa, non 200.

Blog e Politica

Stefano Garuti, di Carpi e Luca Conti di Senigallia, mi hanno invitato a dire la mia su un tema che mi interessa molto, ma che non ho avuto il tempo di approfondire prima d’ora.
Se internet è lo strumento delle risposte immediate, è anche strumento di discussione asincrona, e scusandomi per il ritardo approfitto degli archivi dei loro blog.

Il titolo del tema è l’utilizzo del blog per l’attività politica.

Io credo che un blog sia già di per sè uno strumento di partecipazione politica. Poter dire la propria opinione, senza limiti, censure o mezzi intermedi di trasmissione è una esperienza esaltante ed importante di democrazia.

Per un cittadino come me, che ha un ruolo istituzionale e svolge attività politica oltre al proprio lavoro, sicuramente è qualcosa di ancora più importante.
E’ un modo diretto per coinvolgere i cittadini all’interno della propria attività, offrendo trasparenza e molto tempo in cambio di un aiuto.

L’aiuto che cerco attraverso questo strumento è quello della partecipazione dei lettori alle discussioni sui temi che ritengo importanti. Qui scrivo intere collezioni di articoli sui problemi più scottanti, come lo sono stati l’Inceneritore, l’accordo di Programma Querzoli-Ferretti ed i bilanci.

Se nei quotidiani ho uno spazio risicato, qui chi vuole approfondire un tema trova gli strumenti che riesco a mettergli a disposizione: atti ufficiali, documenti politici e programmatici, rassegne e comunicati stampa (non solo miei).

Molti temi, infatti, hanno bisogno di una discussione approfondita. Spesso la nostra partecipazione alla vita pubblica è limitata ad un voto ed all’espressione di un sì o un no nei confronti di una proposta.
Ma la vita ed i problemi raramente si risolvono con un interruttore: spesso il dialogo, la discussione, lo studio approfondito e le proposte condivise portano a soluzioni che non stanno ai lati del binomio, o che sono rivoluzionarie rispetto al punto di vista dal quale ci eravamo posti.

Il blog, come ogni strumento, ha dei limiti: il tempo, sicuramente.
Per chi non fa della politica una professione è difficile gestire un blog, oltre alla regolare attività politica (riunioni, comunicati, consigli, etc), che ovviamente va a risicare quel poco di tempo libero che rimane alla vita privata.

Credo, inoltre, che l’audience di un blog politico, soprattutto se locale, sia ancora molto ristretto. Quanti dei navigatori abituali preferiscono leggere di inceneritori, la sera, piuttosto che qualcosa di leggero e divertente? Non molti.
Quei pochi, però, sono lettori abituali, oppure persone interessate ad un problema specifico che trovano, anche dopo mesi o anni, l’approfondimento che cercavano.
Altri, ancora meno numerosi, partecipano attivamente attraverso proposte, modifiche costruttive agli ordini del giorno pubblicati in anteprima, critiche sulle posizioni esposte.

Esporsi alle potenziali critiche prima di farlo pubblicamente è altamente costruttivo, anche se spesso antistrategico dal punto di vista politico. Sta all’autore decidere se vale la pena, volta per volta, lanciare la sfida.

Anche se i partecipanti non sono moltissimi, anche se i lettori sono poche centinaia invece delle migliaia dei quotidiani locali, il valore dei primi è ben differente. Nel caso del blog possono partecipare, in diretta, alla discussione. I quotidiani, invece, per ovvie limitazioni devono stringere la dimensione degli articoli e gli spazi, non offrono un feedback immediato e d hanno filtri che i blog non hanno. Dieci persone che leggono i feed rss o sono iscritte alla newsletter valgono più di mille che leggono una lettera riportata su un quotidiano.
Certamente sono tutti importanti, ognuno a suo modo ed in maniera differente.

Quanto di quello che ho scritto finora sarebbe pubblicato su un quotidiano? Poco, quasi nulla. Certi temi, inoltre, vengono totalmente oscurati perché il pubblico medio non è interessato (perché di età diversa rispetto agli internettiani, ad esempio).

Nel mio piccolo, ecco quello che faccio qui:
– trascrivo, quando possibile, i miei interventi più importanti
– pubblico documenti, presentazioni, atti, ricorsi e tutto quello che mi passa per le mani in formato elettronico, anche per mantenere un archivio storico di quello che è stato fatto dalle amministrazioni e dagli attori politici e non della mia città.
– comunico le convocazioni, anche se non troppo spesso a causa dell’invio cartaceo da parte del Comune che mal si presta al copia-incolla
– pubblico i comunicati stampa del mio gruppo e quelli delle associazioni che ricevo
– segnalo articoli interessanti
– segnalo eventi che ritengo importante pubblicizzare
– pubblico in anticipo le mozioni che intendo promuovere, per chiedere consigli e raccogliere eventuali critiche.

Non so se questo lavoro paghi elettoralmente. So per certo che nella media ben poco viene speso, in termini di risorse economiche e temporali, per la campagna su internet. E’ un mezzo con un suo target che viene sfruttato poco.
Io, invece, ho puntato molto su questo aspetto, convinto che permetta di avvicinare al dibattito politico persone che altrimenti ne sarebbero escluse, e facilitare una comunicazione anche quando non facile ed immediata.

Per me la politica non è fatta di soli slogan pubblicati su manifesti, che detto sinceramente mi interessano molto poco. La campagna elettorale si fa tutto l’anno e tutti gli anni attraverso il buon lavoro di tutti i giorni. Sono inoltre convinto che questa sia l’opinione di molti cittadini, più di quanto si immagini.

Prima o poi tutto questo diventerà normale e sostituirà i discorsi fatti nei bar e nelle piazze, ormai totalmente scomparsi, sui problemi quotidiani o più profondi che ci troveremo ad affrontare nel nostro futuro.

Sesto Potere: Inceneritore, Clan-Destino si mobilita per la catena umana

Riprendo la notizia pubblicata ieri da Sesto-Potere:

(25/8/2005 19:03) | INCENERITORE, CLAN-DESTINO SI MOBILITA PER LA ‘CATENA UMANA’ DI SABATO
(Sesto Potere) – Forlì – 25 agosto 2005 – Gli attivisti dell’Associazione Clan-Destino rinnovano oggi a cittadini e mass media l’invito a partecipare alla manifestazione – una catena umana di protesta organizzata per sabato 27 agosto 2005 alle ore 10:00 – sottolineando le motivazioni che sarebbero alla base della loro iniziativa: “Gli inceneritori emettono in atmosfera metalli pesanti (in particolare mercurio) e composti che persistono nell’ambiente (tra cui diossine e furani) estremamente cancerogeni e mutageni, in grado di accumularsi lungo la catena alimentare, fino al latte materno. Le polveri sottili emesse (PM10, PM2,5 e PM0,1) sono molto più dannose di quelle prodotte da qualsiasi altra combustione.
L’incenerimento trasforma rifiuti relativamente
innocui in rifiuti tossici e pericolosi”.

E viene indicata anche l’alternativa: “Fra tutti i sistemi di gestione dei rifiuti urbani l’incenerimento è quello che, a parità di materiali trattati, ha i costi più elevati e produce il maggiore impatto ambientale. Riduzione, riuso e riciclo dei rifiuti sono l’alternativa agli inceneritori.
Effettuando una raccolta differenziata spinta col metodo “porta a porta” si ottiene in poco tempo una drastica riduzione dei rifiuti che renderebbe inutile l’ampliamento degli inceneritori. Esistono già numerose esperienze che dimostrano come ciò sia possibile senza incrementare le tariffe per gli utenti”.

L’Associazione Clan-Destino accusa le amministrazioni di non aver dar seguito alle indicazioni ed alle richieste in tema di gestione rifiuti che i cittadini avevano profuso nel processo decisionale di Agenda 21.

Faletti, l’Open Source e gli amanuensi

Mantellini e Morelli scrivono i loro commenti su una intervista rilasciata da Giorgio Faletti a “La Stampa”, nella quale dichiara, tra le altre cose:

«Io invece penso che l’open source sia il sistema migliore per precipitare nella barbarie. Certe cose vengono fatte perchè esiste un’industria che le produce e investe senza un ritorno economico. Senza un editore, Hemingway non sarebbe stato scoperto».

Io credo che non sia solamente malafede, è chiaro che i venditori attuali di beni immateriali (e lui è uno di questi), faticano ad adattarsi ad un mondo completamente diverso, dove chiunque può avere una buona idea e distribuirla senza grossi intermediari, dove la distinzione tra il bianco ed il nero, il professionale e l’hobby, il commerciale ed il gratuito, è sempre meno netta.

Faletti, che ha fatto delle sue passioni un lavoro, non può pensare che sia possibile nel 2005 impedire a chiunque di trovare canali alternativi per distribuire la propria idea.

Se una persona qualsiasi avesse scritto “Io uccido” non sarebbe stato pubblicato: serviva un nome-logo per poter vendere.


E’ chiaro, quindi, che questo sistema vada rivoluzionato, a scapito del povero Giorgio, che difficilmente si adatterà ad un mondo competitivo, nel quale un cognome, un reality show o due tette rifatte non siano l’unica chiave per ottere il meritato successo.

Giorgio lo sa, e sa bene che ogni cambiamento nei media che distribuiscono contenuti miete vittime.
La stampa ne fece tra gli amanuensi.
Internet, le creative commons, il copyleft e compagnia bella ne faranno tra i Faletti.

Rischio e Percezione.

Nello scorso numero abbiamo parlato di elettrosmog. In quell’articolo ricordavo che le persone sono più preoccupate dalle grosse antenne rispetto ai telefoni cellulari, che invece sono più pericolosi per la salute. Le antenne delle reti per computer wireless, hanno una loro emissione di onde elettromagnetiche, ma destano molta meno preoccupazione a causa della loro minore dimensione.
Questa occasione mi ha fatto riflettere sul rapporto tra un rischio reale e la paura dei cittadini, che deriva dalla percezione che hanno del problema. Quasi mai le due cose sono proporzionali: ci si aspetterebbe che la paura aumenti con l’aumentare del rischio, mentre non è così.
Le persone si preoccupano per quello che vedono, e solitamente osservano con maggiore attenzione quello che viene fatto loro notare.
Esistono centinaia di esempi di questo tipo. Le lavatrici, i televisori, i forni elettrici, nella coscienza comune sono innocui, mentre il forno a microonde è sempre considerato uno strumento del diavolo.
Questo deriva dal fatto che la visibilità di un problema è differente dalla sua reale consistenza. Il discorso, che sembra quasi filosofico, è assolutamente pratico e reale.
Gran parte delle colpe di questo fenomeno è causato dalla mancanza di una adeguata informazione, che spesso è calibrata sulla base di quello che l’utente vuole sentirsi dire, piuttosto che su dati reali. Alcuni quotidiani, ad esempio, utilizzano civette che fanno pensare a grossi scandali, pubblicano articoli che sono ambigui proprio per stimolare la fantasia dei lettori, oppure rimangono sul vago perché chi legge dia una propria interpretazione, spesso errata o gonfiata, del fatto reale.
Michael Moore, l’autore del documentario 9/11, accusa i media americani di mostrare spesso persone di colore al centro di episodi di cronaca nera, in percentuale molto maggiore al reale. Moore dice che questo influisce sulla percezione del problema della criminalità molto pesantemente, spingendo i cittadini americani all’odio ingiustificato contro alcune razze o all’acquisto di armi per l’autodifesa. Se i cittadini americani non avessero armi in casa, correrebbero molti meno rischi, perché la percentuale di incidenti casalinghi causati dal possesso di armi è maggiore degli omicidi a scopo di rapina.
Così avviene quotidianamente anche nelle nostre città, attraverso i nostri piccoli media: radio e quotidiani.
Se facessimo un test per chiedere agli esaminati quale pericolo temono maggiormente, sicuramente otterremmo dati molto interessanti. Al centro delle nostre paure, potrei scommetterci, sarebbero presenti in prima fila le violenze ed i borseggi da parte di albanesi, rom ed extracomunitari.
Nessuno direbbe, tra i primi 4-5 posti, la strada di notte, la nebbia, il fumo.
Tutto quello che ci circonda, ogni giorno, contribuisce ad una pubblicità negativa verso alcuni problemi, ed al contempo sminuisce il valore di alcuni rischi molto più gravi.
Già ora l’informazione gioca un ruolo primario rispetto ad ogni altro, perché è in grado di mutare le nostre necessità sulla base di interessi che non sono i nostri.
Così come riesce a cambiare la percezione del rischio, cambia anche la percezione delle nostre necessità. E’ necessario, per noi, bere, fumare, avere auto di grossa cilindrata, mentre è assolutamente out avere una Panda elettrica, girare in bicicletta, fare un giro con il cane.
Dobbiamo quindi cercare, in ogni modo, di capire il funzionamento di questi strumenti ed imparare a difenderci nel modo migliore che possiamo, per curare l’interesse comune. E farlo nella maniera migliore possibile, utilizzando l’informazione per spiegare le cose e cercare di aumentare la conoscenza comune, la cultura condivisa, contro l’uniformità e la banalità.
Non credo che la soluzione a questo problema stia nell’utilizzare gli stessi strumenti, per colpire attraverso slogan e frasi ad effetto l’attenzione ed il cuore della gente. Credo che il mezzo influisca pesantemente sul risultato, ed una informazione vera, diffusa con cattivi strumenti, finisce per diventare una cattiva informazione. A costo di ridurre il target della nostra informazione, credo sia necessario evitare sempre ogni semplificazione strumentale.
La cultura e l’informazione sono le uniche armi che abbiamo contro gli slogan pubblicitari, che stanno invadendo ogni settore della nostra vita, dalla spesa alla politica.
Per questo motivo credo che dovremmo utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, a partire dai bollettini universitari per arrivare alle radio amatoriali, alle televisioni di strada, ai blog su internet. Se impareremo a diventare parte attiva dei processi di informazione riusciremo veramente ad essere liberi di scegliere e liberi di comprendere.

Torna su