Servizi

Di chi sono i miei dati?

Il tema che ho pensato di portare al nanosocial #2, sul quale certamente scriverò ancora almeno per parlare delle mie impressioni, è il problema della disponibilità dei nostri dati inseriti sulle applicazioni web.
Penso che il futuro vedrà spostare tutti o quasi i nostri programmi sul web, che potranno essere utilizzati da qualsiasi dispositivo mediamente “intelligente”.
Scompariranno, almeno parzialmente, i file sul nostro computer.
Questo in parte per qualcuno è già vero, basta pensare alle foto caricate su flickr e magari salvate malamente ed in maniera disorganizzata su supporti deperibili (anche gli Hard Disk lo sono).

Tutti questi servizi web, però, non offrono la garanzia nelle proprie clausole di utilizzo della futura disponibilità dei nostri dati, e quando forniscono delle funzionalità per scaricarli non sono comode e non sono complete (tornando all’esempio di Flickr, si possono prelevare le foto ma non le note ed i commenti, o le discussioni, o gli elenchi di amici).

Con Facebook si arriva al paradosso di non poter scaricare la propria rubrica di indirizzi e mantenerla per più di 24 ore: si violerebbero i termini del contratto.

Twitter si riserva il diritto di modificare o terminare il servizio per qualsiasi ragione, senza nessuna notifica ed in qualsiasi momento.

Tra le possibili soluzioni sicuramente non è molto percorribile il mantenimento dei propri dati a casa propria (non si potrebbero utilizzare tutti i vantaggi della loro disponibilità online & everywhere).

Una proposta potrebbe essere quella di sottoscrivere un contratto/patto con il fornitore del servizio che permetta ALMENO queste possibilità:
– le modifiche ai termini del contratto devono essere notificate per tempo
– possibilità di stabilire nel dettaglio quale licenza d’uso dei propri dati utilizzare
– possibilità di scaricare in qualsiasi momento tutti i dati frutto della propria attività sul servizio. Non solo quindi le foto o le note, ma anche i contatti, le note, e via dicendo.

Serve un metodo che dia la possibilità a chi fornisce il servizio di garantirsi uno spazio commerciale grazie al valore aggiunto che crea, non grazie all’impossibilità di scegliere alternative.

Troppo spesso dimentichiamo che chi fornisce il servizio è un privato, quindi è in casa sua che andiamo ad inserire contenuti. Questo giustamente può fare quello che vuole: chiuderci la porta, chiudere il servizio, cambiare costi e modalità di fruizione.

Oggi sarebbe impensabile avere una casella postale o una cassetta in banca e vedersela chiudere senza poterne ritirare i contenuti. Nella stragrande maggioranza dei servizi web questo invece potrebbe accadere senza tutela dal punto di vista legale.

E’ una cosa che può starci bene per un insieme di informazioni che riteniamo senza importanza, ma certamente non dovrebbe essere trattata con la leggerezza attuale di chi (compreso il sottoscritto) accetta termini di servizio senza prestare nessuna attenzione, perché tanto “lo usano o lo fanno tutti”.

Nel limite del possibile penso che sia più “sicuro” inserire quello che ci sta più a cuore in un nostro dominio, e legarlo ai social network attraverso ponti che mettano in correlazione i contenuti. Ad esempio pubblicando automaticamente su flickr le foto già inserite su una gallery privata, o pubblicando su twitter le note alimentate da un miniblog.

L’avvocato Antonino Attanasio ha proposto una diversa composizione societaria per le aziende che offrono servizi di questo tipo in modo che anche quella sia “sociale” come il servizio che pretende di offrire. Penso che abbia centrato il problema e spero che ne approfondisca l’analisi per poterla linkare: sicuramente una fondazione o una cooperativa permetterebbero una maggiore sicurezza sulla democraticità del futuro del business legato al servizio.

Penso inoltre che i piccoli mono-poli dei servizi web odierni possano ri-trasformarsi di nuovo in una rete di poli che dialogano tra loro, nella quale non importa quale galleria di immagini utilizzi, avrai comunque la possibilità di interagire con gli altri.

In fondo la rete è nata per resistere al crollo di una sua parte, e penso che nessuno auspichi un futuro nel quale 2-3 grandi aziende (se non una sola) possiedano tutto ciò che è direttamente o indirettamente remunerativo, in assoluta anti-concorrenza ed in una gabbia che limita le libertà dell’utente anche sull’utilizzo del frutto del proprio tempo.

Ci siamo liberati di Microsoft perché la parte della nostra vita che aveva in mano era comunque piuttosto limitata. Potremo liberarci di chi può fare qualsiasi cosa dei nostri ricordi, dei nostri contatti, dei nostri documenti o conti bancari, delle basi del commercio online?

Perché www.comuneforli.it punta alla Pastorale Giovanile di Lucca?

Oggi ho presentato una interrogazione per conoscere il motivo che spinge l’amministrazione comunale a ridirezionare i visitatori del sito www.comuneforli.it, registrato dal Comune dal 2005, al sito della Pastorale giovanile di Lucca, con le foto del pellegrinaggio in Terra Santa, La Liturgia del Giorno e gli appuntamenti che nulla hanno a che fare con la nostra città.

Molti visitatori che provengono da altri siti, che mantengono il vecchio indirizzo del Comune, vengono così ridirezionati altrove, dove certamente non troveranno le informazioni che cercavano.

Dopo il temporaneo spostamento avvenuto questa estate di tutti i servizi su www.cofo.it, rivelatosi poi la sigla del sindacato dei fannulloni operosi ed immediatamente abbandonato, oggi il sito del nostro comune si trova nel nuovo www.comune.forli.fc.it, ma i vecchi indirizzi sono stati mantenuti.

Per questo motivo non si capisce il significato del trasferimento di uno di questi alla Pastorale Giovanile di Lucca: si tratta di un gentile invito a non visitare la nostra città?

La Pazzia di Aldo Moro ed i messaggi cifrati allo Stato

Sto leggendo “La Pazzia di Aldo Moro” di Marco Clementi, e mi è venuto qualche dubbio.
Pensando alla sua situazione di rapito, nella possibilità di scrivere lettere all’esterno e nell’indubbio vantaggio derivante dal divario culturale con i rapitori, cerco di immedesimarmi in lui.
Chiunque nella sua situazione avrebbe cercato di mandare segnali sul luogo della sua prigionia.

Eppure a parte qualche raro caso, come ad esempio nelle analisi fatte da Leonardo Sciascia (riportate nella sua relazione alla commissione parlamentare), le sue lettere non sono state studiate sotto questa lente, per cercare di capire se contenessero messaggi cifrati.

Sciascia riporta una sua frase, nella sua prima lettera indirizzata a Cossiga: “mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato”, leggendola col significato “mi trovo in un condominio molto abitato e non ancora controllato dalla polizia”.

Questa frase, apparentemente senza un significato preciso, può contenere un messaggio cifrato di Moro?
E se Moro avesse utilizzato anche qualche riferimento latino, lingua con la quale certamente doveva avere una ottima dimestichezza avendo il diploma di maturità classica e la laurea in giurisprudenza?
E se avesse cercato qualche riferimento alle sacre scritture, dal momento che i rapitori certamente ne erano digiuni? Tra l’altro si era appena fatto consegnare una copia della Bibbia.

Fossi stato in lui avrei utilizzato tutti gli strumenti che segnavano un divario tra il prigioniero ed i rapitori, avendo il tempo e la capacità di nascondere riferimenti utili per la polizia ed i servizi segreti, ed avrei cercato con sinonimi, ambiguità e parole stonate per chi ha la mia stessa sensibilità di far capire che c’era un senso ed una connessione tra questi segnali.

Subito dopo quella famosa frase scrive “sono in questo stato avendo tutte le conoscenze e sensibilità che derivano dalla lunga esperienza, con il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni”.

L’interpretazione comune e dei media dell’epoca era che questa fosse una minaccia alla DC sulla rivelazione di segreti scomodi. Ma se andasse letta con un doppio significato, leggendo nell’esperienza e nella sensibilità i riferimenti culturali ed ideologici con i quali decifrare potenziali messaggi? E se il rischio ed il pericolo non fosse quello di spifferare qualcosa (1° lettura) ma di essere scoperto nel suo modo di parlare?

Anche i rapitori dissero che scrisse più e più volte, limando alla lettera il testo di questa prima missiva. Certamente doveva soppesare le conseguenze delle sue parole sulla politica e l’opinione pubblica, ma probabilmente stava riflettendo anche sui messaggi da inviare.

Allora la fantasia corre, ed aprendo il dizionario di latino della scuola provo a dare significati diversi alle parole che stonano rispetto al resto.
Ricordando che la prigione era situata in un palazzo quasi signorile nel quartiere della Magliana, che è sotto il livello del fiume ed a rischio inondazione, rileggo così la frase di prima pensando a possibili assonanze con parole latine:
mi trovo sotto un dominio (domo, casa) pieno (plenus, ricco) ed incontrollato (trulleum è anche una conca: in/presso/vicino a una conca).

Non sono ovviamente vicino ad un centesimo della cultura ed alla sensibilità di Moro, quindi qualsiasi speranza di capire eventuali messaggi cifrati per me è sicuramente vana, ma sono dell’idea che quelle lettere dovessero contenere sicuramente qualche segnale.

Mi pare molto strano che non sia stata presa in esame nemmeno l’ipotesi della presenza di un messaggio cifrato, attribuendo ad una sorta di pazzia e disperazione i contenuti delle lettere di un personaggio che fino a pochi giorni prima era considerato uno statista di massimo livello.

Del resto questa non è che una delle tante stranezze che avvolgono questa vicenda, sulla quale probabilmente non sapremo mai l’intera verità.

L’incertezza della pena porta alle colpe di classe

In questi giorni si parla tanto di sicurezza. Trattare questo tema è e rimarrà molto difficile, in Italia, finché non riusciremo a cambiare un po’ la nostra mentalità.
Lascio perdere le considerazioni su rom, immigrati clandestini e punk a bestia: al di là del modo di vestire, credo sia importante punire i reati piuttosto che selezionare categorie (leggi spesso razze) da perseguitare più di altre.
Il problema vero, a mio parere, è che in italia il reato non è reato, e le leggi non sono leggi ma consigli (e come tali si possono seguire o meno).

Ed il finto pugno duro di questi giorni deriva direttamente dalla nostra incapacità di punire chi sbaglia.

Questo deriva anche dalla nostra impostazione cattolica, che ci porta anche incosciamente a pensare che qualunque sbaglio esista un perdono, che per alcuni rimane la confessione. Appare molto evidente nel caso dei ragazzini che hanno ucciso a Niscemi: uno di questi dopo aver confessato l’omicidio ha chiesto se per questo poteva tornare a casa.

Altri paesi influenzati dall’etica protestante vivono con maggiore responsabilità il prorio impegno nel Mondo.

Cassano si comporta male? Puniamolo severamente, così cambierà atteggiamento! Salvo poi dire due giorni dopo che in fondo quello è il suo carattere, che siccome gioca bene non importa cosa fa fuori ed a lato del campo.

Il nostro rapporto con la classe politica non è differente: indignazione immediata e preventiva, quando ancora non è accertata la colpa, dimenticatoio e perdono altrettanto veloce ed assoluta indifferenza una volta confermata l’accusa nei tre gradi di giudizio.

Guardando Gomorra riflettevo sul fatto che il primo problema da risolvere non è tanto la delinquenza in alcune aree del nostro Paese, ma l’assoluta connessione tra questa e l’etica diffusa nello strato sociale: il ragazzino protagonista si avvicina al clan più per voglia di diventare qualcuno, di “crescere”, che per reale necessità. In un Paese normale chi vuole crescere studia o si impegna in qualcosa che lo porterà ad ottenere risultati.

In un Paese nel quale i risultati non si ottengono attraverso il merito e l’impegno e gli errori non si pagano, è chiaro che la delinquenza trova molto più spazio.

Così tornando al discorso iniziale, io preferirei che si tornasse a riutilizzare il termine “giustizia“.

Perché la percezione di sicurezza è più forte quando si vede che l’errore non viene perdonato, ma punito.

Quando chi uccide 4-5 persone perché ubriaco al volante viene condannato e non ottiene la nuova patente – sempre che gli venga tolta – dopo pochi mesi.
Quando chi parcheggia la propria auto in divieto di sosta paga la sua multa come chi ha il biglietto scaduto delle righe blu.
Quando chi pesta un compagno di classe per noia viene costretto a fare servizio civile e ripagare con il sudore il proprio errore.
Quando chi acquista le frequenze di una rete televisiva può utilizzarle e non vedersi il proprio spazio occupato irregolarmente.

Con punizione ovviamente non intendo il sistema per il quale i poveracci vanno in galera senza scampo ed i più ricchi, colpevoli di reati ancora più gravi, stanno tranquilli nelle loro ville.

Per essere un minimo più severi persone più esperte di me consigliano di riscrivere il codice penale, troppo vecchio e ferraginoso, introducendo pene alternative al carcere per reati minori.

E chiaramente andrebbero semplificate un po’ le norme, senza che questo significhi creare strade e corsie preferenziali. In sostanza si può semplificare la legge solo se con questo non si lasciano passare reati e non si fanno sconti, come voleva fare Veltroni abolendo la Valutazione d’Impatto ambientale e come vuole fare Bersani con le sue semplificazioni che alleggeriscono le responsabilità d’impresa.

Proprio l’impossibilità, o la non volontà, di punire tutti i reati porta all’individuazione delle colpe per razza o classe sociale.

Visto che non puoi/vuoi selezionare chi sbaglia, si usano i diversi (per orientamento sessuale, per razza, per religione, per capacità fisiche, ecc.) per dimostrare il proprio pugno duro e tutelare l’immagine di severità che deve apparire all’elettorato.

Mi spiace, finché non si smetterà di tentare tutti i santi giorni l’approvazione di leggi ad personam per evitare guai giudiziari ai più forti, questa severità farà semplicemente ridere.

Sistemi di mobilità e sostenibilità: esperienze a confronto

CONVEGNO Giovedì’ 29 NOVEMBRE 2007 – ore 10 Palazzina AVIS sede Circoscrizione 1 via G. della Torre n 7 (centro storico) – Forlì
II centro studi regionale WWF Forlì, grazie al contributo della Fondazione Carisp Forlì e della ditta Micro-vett, sta sperimentando un sistema di car sharing gratuito a servizio del centro storico basato su veicoli elettrici. Il fine è di proporre ai cittadini ed agli enti pubblici un modello di mobilità sostenibile che sia basato su veicoli a basso impatto ambientale e su sistemi di mobilità pubblica e privata in grado di riqualificare, in particolare, le aree urbane di particolare pregio come i centri storici. Per fare un primo bilancio dell’iniziativa in funzione da un anno e per confrontare diverse opinioni ed esperienze sulla mobilità sostenibile, sono stati invitati Amministratori del territorio provinciale e Tecnici degli Enti competenti sulla Pianificazione del Traffico e Tutela dell’Ambiente.

Programma:
=> Saluto di Oredano Ravaglioli, Presidente della Circoscrizione 1 del Comune di Forlì
=> Introduzione a cura di Claudio Malmesi, Responsabile Centro Studi WWF E.R. Energia Clima
=> Sistemi innovativi in sperimentazione, a cura di Nicola Contrisciani, Resp. Laboratorio Regionale Energia ERG-ENEA
=> Ruolo dei vettori energetici innovativi nella mobilità sostenibile, a cura di Luca Buzzoni Mobility Manager Regione Emilia Romagna
=> Trasporto Pubblico in sede propria (filovie e corsie preferenziali), a cura di Laila Errani, Responsabile Commerciale ATR;
=> Testimonianze dei partecipanti alla sperimentazione del Car Sharing elettico di Forlì
=> Prospettive dei sistemi a propulsione elettrica e finanziamenti dedicati all’acquisto di veicoli a basso impatto ambientale, a cura di Micro Vett
=> Tavola rotonda fra Amministratori del territorio ed Esperti intervenuti

Scarica il volantino dell’iniziativa:
Sistemi di mobilità e sostenibilità: esperienze a confronto

Torna su