Politiche

Biomasse e Filiera Corta

Biomasse. Questa parola sembra essere il cavallo di battaglia di chi pensa di risollevare l’agricoltura dalla sua crisi strutturale. Così, da un giorno all’altro, vengono presentati tre progetti di nuovi inceneritori di biomasse, tutti nella stessa area, troppo vicini alle abitazioni ed alle altre fonti di inquinamento. Uno di questi tre progetti è già stato presentato nel 2004 a Finale Emilia (MO), dove è stato respinto, ed ora viene riproposto da noi in quella che, secondo alcune menti “illuminate”, dovrebbe diventare il primo polo per le biomasse d’Italia. Basta il buon senso per capire che questa non è la soluzione al problema della nostra agricoltura, ma una proposta temporanea che rischia di compromettere in maniera definitiva il grosso patrimonio che abbiamo accumulato con il tempo: l’esperienza e la capacità dei nostri agricoltori.

Le biomasse sono una fonte energetica da non scartare a priori, ma qualsiasi persona ragionevole capirebbe che non ha senso, in vista del prossimo continuo aumento del costo del petrolio, importare il cibo da paesi lontani e sfruttare i nostri campi solo per bruciarne il raccolto.

Questo è un problema tremendamente serio, che andrebbe affrontato con i dovuti approfondimenti: nel terzo millennio non possiamo affidare la nostra alimentazione alle incognite legate all’assenza di controlli e di diritti dei lavoratori dei paesi dai quali stiamo importando cibo e patologie, e non lo sarebbe nemmeno se ignorassimo i più banali criteri di precauzione per tutelare la nostra salute. Anche sul piano economico, basta pensare al continuo aumento del prezzo dei combustibili dovuto alla continua espansione della domanda ed al superamento del picco di produzione, che andranno a pesare sul trasporto delle merci e quindi sui prezzi al consumo.

Invece di investire sulle ristrutturazioni necessarie a consumare meno energia per ottenere gli stessi confort, come ad esempio avviene in Germania, cerchiamo affannosamente di costruire grosse centrali, che hanno l’unico scopo di far guadagnare poche persone a scapito di tutte le altre.
In questo modo saremo sempre costretti a rincorrere le falle ed a tappare i buchi di una gestione dell’energia che fa acqua da tutte le parti.

In questi giorni è stato detto da più parti che l’agricoltura biologica ha retto la crisi meglio delle altre tipologie di produzione. I Verdi propongono e sponsorizzano da anni un sistema agricolo che prediliga la filiera corta e la produzione di qualità allo stesso prezzo di quella attuale, ma con maggiori garanzie per la salute, per i lavoratori, per l’economia.

Questa sarebbe la soluzione adatta alla crisi del settore: meno importazioni dai paesi che non hanno adeguati controlli, prezzi onesti perché dettati solo dai costi di produzione e non da troppi passaggi intermedi, meno sprechi di energia per il trasporto a lunga distanza.

Se utilizzeremo tutti i nostri campi per produrre materiale da bruciare rischieremo da un lato di mettere la nostra economia locale al giogo degli incentivi incerti e temporanei, la cui sospensione causerà il fallimento immediato di queste produzioni, dall’altro perderemmo tutte quelle capacità che i nostri agricoltori hanno accumulato negli anni.

Per fare questo servono politiche coerenti a tutti i livelli istituzionali, che guardino al medio-lungo periodo con intelligenza: non possiamo più rimandare le soluzioni serie, semplici ed efficaci, altrimenti ci troveremo in una crisi ben più grave di quella attuale. Spostiamo gli investimenti sperperati sulle grandi opere più inutili in aiuti concreti al rilancio della nostra economia, ed otterremo risultati migliori di quelli che ci hanno accompagnato negli ultimi anni.

Informazione di qualità

In questi giorni Fassino assicura attraverso una intervista che le nomine della futura RAI saranno basate sulla competenza e sulla professionalità, ricordandoci e ricordandosi che non si sceglie un direttore di tg o di rete in base all’appartenenza politica.

Questa presa di posizione è molto importante, anche se forse non sufficiente, soprattutto alla luce di quanto è successo con il Governo precedente, che ha coscienziosamente epurato i personaggi scomodi. Così con il tristemente famoso editto bulgaro l’ex Presidente del Consiglio ha “ripulito” i nostri schermi da Santoro, Luttazzi ed Enzo Biagi.

Con i precedenti governi le diverse posizioni in Rai erano stabilite sulla base di equilibri politici, ma mai con così tanta veemenza erano state rimosse idee critiche nei confronti di un Governo, che oltretutto in questo caso aveva a disposizione altre tre televisioni private di propaganda. Non pago di questo risultato con la legge Gasparri sulle telecomunicazioni si è voluto dare un altro calcio alla pluralità dell’informazione, aggiungendo la farsa del digitale terrestre, finanziando con denaro pubblico i decoder, in gran parte venduti da Mediaset per la visione di contenuti Mediaset. Con leggi ad personam si è scavalcato quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, che aveva deciso che Rete 4 doveva smettere all’inizio del 2004 di occupare irregolarmente le frequenze di proprietà di Europa 7 e trasmettere sul satellite.

Sebbene i nuovi mezzi di comunicazione, internet in primis, conquistino ogni anno uno spazio sempre più rilevante, a livello internazionale stiamo perdendo sempre più quota rispetto agli altri paesi, a causa di politiche non sempre lungimiranti. Incentivare il digitale terrestre quando attraverso internet sarebbe possibile guardare programmi a richiesta dove e quando vuole l’utente è solo un modo per rimandare una rivoluzione già in atto, rimanendo pericolosamente arretrati nel campo dell’informazione rispetto al resto del mondo. Per preoccuparsi basta pensare alla diffusione della banda larga in Italia, posseduta solo dal 13% delle famiglie contro l’80% del Nord Europa, o alla percentuale di famiglie che usano la rete, quasi la metà di quanto accade in Danimarca. Del resto scontiamo il peso di una rete di aziende di telecomunicazioni che non hanno interesse nell’investire in questo settore, preferendo mezzi più costosi, e di una legislazione che permette di avere in Italia costi per la connessione quadruplicati rispetto alle vicine Germania e Francia.
Se questo può sembrare a priva vista un problema limitato e settoriale, bisogna ricordare che il lavoro oggi dipende fortemente dalla capacità di fare, recepire e soprattutto comunicare informazioni. Qualsiasi battaglia politica, per quanto importante, risulta persa senza una adeguata conoscenza del problema e la mancanza di pluralità di informazione è un problema causa di altri mali in molte delle democrazie occidentali. La possibilità di votare, ad esempio, è un diritto fortemente limitato se l’informazione è gestita da una sola persona, perché si instaura un regime basato sulla mobilitazione mediatica.

I Verdi a livello nazionale ed a livello locale hanno sostenuto la proposta di legge di iniziativa popolare Per Un’altra TV e continueranno a raccogliere firme fino alla fine di Giugno.
Lo scopo di questa proposta è sanare la duplice anomalia italiana nel campo dei mezzi di comunicazione audiovisivi, oggi la prima priorità italiana: da una parte, il duopolio Rai-Mediaset che impedisce l’emergere di nuovi attori e limita il pluralismo; dall’altra, il controllo politico esercitato sul servizio pubblico radiotelevisivo, che non ha pari nel mondo democratico. Questa legge si basa sul sistema tedesco, che garantisce l’assoluta indipendenza editoriale dei canali pubblici, quindi non sarebbe una rivoluzione senza precedenti.

Mancano pochi giorni alla scadenza della raccolta di firme, quindi invitiamo tutti i cittadini a firmare la proposta. Per informazioni sui banchetti potete chiedere ai Verdi in Comune oppure controllare su Comitato Forlivese Per Un’altra TV∞

Alessandro Ronchi, capogruppo dei Verdi In Consiglio Comunale a Forlì

Metti il coperchio sulle pentole

Pochi giorni fa il Ministro delle Attività Produttive Scajola, per fronteggiare la crisi energetica dovuta al taglio delle forniture del metano da parte della Russia, ha chiesto agli italiani di mettere il coperchio sopra le pentole. Oltre a questo invito ha previsto, con un decreto, la riapertura delle centrali ad olio combustibile, chiuse perché inquinanti, vecchie e costose, ed una riduzione delle temperature dei riscaldamenti a 18 gradi (al posto dei canonici 20).
Questa emergenza ha fatto capire agli italiani che non è stato fatto nulla, in tutti questi anni, per ridurre la nostra dipendenza energetica dalle fonti non rinnovabili importate dall’estero.
Qualcuno di questi, sull’onda emotiva degli allarmismi, ha riproposto persino il ricorso al nucleare, tecnologia ormai abbandonata anche da chi lo ha sfruttato negli anni passati.
Antieconomico, pericoloso e legato alla disponibilità di Uranio che non è abbondante in forma utilizzabile allo scopo, il nucleare sarebbe l’ennesima beffa che non risolve il problema.
Nessun governo italiano, fino ad oggi, ha saputo metter mano alla fonte più economica, ecologica ed abbondante nel nostro paese: il risparmio energetico.
In effetti l’idea non attrae molto l’attenzione. Non richiama l’idea di abbondanza, della mitica opulenza di una società “sviluppata”, che non conosce confini alla crescita.
Probabilmente per essere veramente efficace, come concetto, dovrebbe chiamarsi diversamente. Anziché risparmio energetico, quindi, utilizzerò in questo articolo “leggerezza energetica”. Un po’ come le barrette per perdere peso, un metodo per essere felici e meno in colpa verso il prossimo che stiamo inquinando.
Se la pensiamo come fonte, la leggerezza energetica è un bene che stiamo sprecando.
Buttereste dalla finestra centinaia di euro? In realtà in Italia lo stiamo facendo.
Basta fare un confronto tra i consumi energetici degli edifici in Italia, Svezia e Germania. In Svezia lo standard per l’isolamento termico degli edifici non autorizza perdite di calore superiori a 60 kWh al metro quadro all’anno. In Germania le perdite sono mediamente di 200 kWh al metro quadro all’anno. In Italia si raggiungono punte di 500 kWh/m2/anno.
Mentre noi, da anni, teniamo gli occhi chiusi e non guardiamo al di là di ieri, negli altri paesi si stanno attuando politiche che permettono di essere meno inquinanti, meno dipendenti dai combustibili fossili e dai prezzi che gli altri stabiliscono per noi.
Mentre è ridicolo che un Ministro arrivi a discutere dei tappi per le pentole, appare chiaro che, prima o poi, dovremo affrontare il problema con la serietà che merita.
Mentre noi pensiamo a come sfruttare gli incentivi europei per falsificare il mercato della produzione delle energie rinnovabili, c’è chi pensa a ridurre le necessità di energia a parità di qualità della vita ed al contempo a realizzare veri mercati alternativi per l’approvvigionamento. Gli esempi da seguire sono sempre gli stessi, non dobbiamo guardare nemmeno troppo lontano. Se investissimo in ricerca sulle rinnovabili, compresa la leggerezza energetica, potremmo risolvere nella maniera adeguata quello che sarà il problema di questo secolo, assieme all’acqua.
Così come è risibile il provvedimento di Scajola, lo stesso modo di ragionare ci viene di fronte anche dietro casa.
L’ultima novità è il progetto di un inceneritore di biomasse presentato per Casemurate di Forlì. Poco lontano dal centro del Capoluogo, all’interno di un centro abitato in mezzo alla campagna, vorrebbero costruire una centrale elettrica che produce energia bruciando 170’000 tonnellate di biomasse all’anno.
Per fare un confronto i tre inceneritori attuali di Hera e di Mengozzi di Coriano bruciano insieme 70’000 tonnellate di rifiuti ogni anno.
Nella categoria delle biomasse rientra quasi di tutto: dalla legna all’erba, dai fanghi di depurazione alla cacca delle galline.
Siccome non produciamo così tanta “biomassa”, probabilmente dovremmo importarla da fuori Provincia, come è capitato ad Argenta, dove viene importato legname dal Canada.
Anche quelle che sono energie rinnovabili, quindi, rischiano di diventare solo un business legato agli incentivi europei, dal bilancio energetico negativo (entra nel ciclo più energia di quella che esce) e conti economici viziati temporaneamente dai certificati verdi.
Purtroppo di leggero, in quello che facciamo, c’è solo il modo di pensare.
Prima o poi il sole ci scioglierà le ali.

COMUNE DI FORLì MOZIONE “CITTÀ AMICHE DELLE FORESTE”

VISTO

– Che le foreste primarie sono un tesoro della Terra e sono insostituibili per l’equilibrio ecologico e climatico del nostro pianeta
– Che la crisi globale delle foreste è divenuta una reale emergenza, per il costante aumento del consumo di prodotti forestali, pasta di cellulosa e legname grezzo, con conseguente forte incremento dei processi di deforestazione che interessano in particolare i paesi in via di sviluppo
– Che il taglio ed il commercio illegale di legname e prodotti forestali contribuiscono fortemente ad aggravare il degrado ambientale e sono fonte di finanziamenti per corruzione, guerre e conflitti
– Che nell’ambito dei paesi G8 e nell’ambito dell’Unione Europea l’Italia ha assunto un l’impegno ad eliminare il
mercato del legno illegale
– Che nell’ambito della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) l’Italia ha assunto l’impegno di invertire l’attuale
tendenza alla distruzione delle foreste del pianeta
– Che nell’ambito dell’avvenuta ratifica del Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di gas serra, l’Italia ha assunto impegni di carattere internazionale in favore della protezione e dello sviluppo sostenibile delle aree forestali

CONSIDERATO
– Che gli acquisti pubblici rappresentano circa il 14% del mercato per prodotti come il legno e la carta, e possono
rappresentare un potente fattore di promozione e orientamento per tutto il mercato
– Che esiste lo standard internazionale di certificazione FSC (Forest Stewardship Council), dotato di autorità, legittimità credibilità su scala mondiale, in grado di garantire la qualità dei prodotti forestali, di certificarne la provenienza, di assicurare che i prodotti certificati derivino da una gestione forestale responsabile e non dal commercio illegale del legno, e siano di conseguenza certificati secondo standard uguali o superiori a quelli definiti dal Forest Stewarship Council – FSC
– Che Greenpeace sta conducendo una campagna globale per la protezione delle foreste primarie, tesa allo sviluppo di politiche di acquisto che premiano il riutilizzo, il riciclaggio con tecnologie pulite di legno e carta, e la certificazione FSC
– Che molte città in tutto il mondo e in Italia (es , Roma, Genova, Bologna, Ravenna, Livorno, Rimini, Crema,
Modena…) hanno aderito al circuito internazionale delle città impegnate nella salvaguardia delle foreste, così come molte città europee
– Che tale ente accreditato svolge la sua attività anche nel nostro Paese, favorendo l’aumento del numero di aziende del settore che offrono prodotti ambientalmente certificati

IMPEGNA
Il Sindaco e la Giunta Comunale
– a procedere all’inserimento della città di Forlì nel circuito europeo di città impegnate nella salvaguardia delle foreste (“Città amiche delle Foreste”)
– a dare preferenza in tutti i bandi gara per gli acquisti di are carta e prodotti tissue (carta ad uso sanitario) riciclati tecnologie pulite e incentivarne la raccolta differenziata
– a dare preferenza in tutti i bandi gara per gli acquisti di prodotti in legno o derivati, a quelli certificati secondo
standard uguali o superiori a quelli definiti dal Forest Stewarship Council – FSC (ad es , attrezzature, mobili e
prodotti in legno)
– a non utilizzare in tutte le costruzioni pubbliche legno proveniente dalla distruzione delle foreste primarie, e a dare preferenza ai materiali certificati FSC
– a sensibilizzare la cittadinanza sul problema del riuso, del riciclo e della certificazione ecologica

Copia della delibera sarà inviata al Presidente della Repubblica, al Ministro dell’Ambiente, a Greenpeace e al Gruppo
FSC Italia (Forest Stewardship Council)

Forlì, 27/9/2005

La Raccolta Differenziata costa meno.

A fine Febbraio il Gruppo Consiliare dei Verdi del Comune di Forlì ha organizzato un incontro per parlare di raccolta differenziata, per confrontare le esperienze di altre zone d’Italia e poter fare proposte concrete per il nostro Comune.
Una delle considerazioni che spesso vengono portate avanti da chi è contrario alla raccolta differenziata è quella del costo finale per i cittadini.
I maggiori esperti indipendenti che lavorano su questi temi dicono una cosa molto importante: se si applica la raccolta porta a porta ed una tariffa puntuale per i rifiuti urbani, basata cioè sulla produzione dei rifiuti calcolata per ogni famiglia, il costo del servizio diminuisce.
Nelle zone in cui i rifiuti vengono raccolti casa per casa ed il cittadino paga solo per i rifiuti che vuole smaltire, la tariffa dei rifiuti è molto più bassa della nostra. In Veneto, dove lavora il Consorzio Priula, il costo medio per abitante è di circa la metà rispetto a quello che paghiamo noi.
D’altra parte capirne il funzionamento di questo sistema è molto semplice: se tutti pagassimo la benzina in maniera forfettaria e non in base ai nostri consumi reali, faremmo almeno il doppio dei chilometri, con costi enormi per la collettività, sia economici (il costo totale verrebbe comunque riversato su tutti noi) sia sanitari ed ambientali.
La raccolta differenziata fatta con la tariffa puntuale e la raccolta porta a porta, inoltre, sposta una parte importante del costo del servizio dalla costruzione degli impianti di smaltimento (inceneritori e discariche) alla creazione di nuovi posti di lavoro.
In un momento problematico per l’economia come quello attuale, risparmiare i soldi della costruzione degli impianti per assumere personale è una scelta sensata anche anche dal punto di vista sociale.
L’esperienza del Consorzio Priula dimostra che la responsabilità della raccolta differenziata non è imputabile solamente ai comportamenti dei cittadini, ma è una conseguenza diretta di alcune scelte politiche che vengono fatte dalle amministrazioni e dai gestori del servizio.
Alcune scelte politiche possono incentivare le buone pratiche e tutelare l’interesse comune attraverso i comportamenti dei singoli.
Attraverso questi strumenti il cittadino paga di meno, contribuisce alla creazione di qualche posto di lavoro e permette una maggiore tutela della salute pubblica.
Per questo il Gruppo Consiliare dei Verdi di Forlì chiede con insistenza che si applichi questo sistema anche da noi, e che si diano precisi indirizzi in questo senso al gestore del servizio.
I cittadini non possono lasciare decidere della loro salute a chi guadagna in base alla quantità di rifiuti che produciamo ed è necessario lo sforzo di tutti, per discutere insieme la soluzione a questo problema.

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