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WordPress diventa un aggregatore

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Interessante questo plugin per WordPress che permette di aggregare e selezionare post e categorie provenienti da altri Feed. Grazie a Stefano per la segnalazione, appena avrò un attimo di tempo ne farò una prova.

In questo non fa nulla di nuovo, se non che vi permette di filtrare ogni feed per categoria, autore, ecc… in modo che solo alcuni post appaiano ed altri no, o che gli elementi che il feed presenta come appartenenti a determinate categorie o tag, sul vostro blog “finiscano” in altre tassonomie…

WordPress si dimostra ancora una volta una piattaforma vivace dal punto di vista dei contributi degli sviluppatori di tutto il mondo, credo che il suo futuro sia più che roseo!

MOZIONE RISPARMIO ENERGETICO

IL CONSIGLIO COMUNALE DI FORLÌ

PREMESSO

* che l’energia è un bene prezioso che non può essere sprecato e la questione energetica è uno dei temi su cui si gioca il futuro del nostro pianeta;
* che la prima fonte di energia è il risparmio energetico, inteso non come rinuncia ma come mantenimento del benessere con minore approvvigionamento da fonti energetiche;
* che il risparmio energetico attiva un sistema virtuoso che, nel rispetto dell’ambiente, produce anche benefici per la diminuzione della spesa pubblica e, assieme allo sfruttamento delle fonti rinnovabili, può già essere una valida alternativa alla costruzione di nuove centrali;
* che un valido strumento per utilizzare meno e meglio risorse e beni consiste negli Acquisti Verdi (Green Public Procurement), recentemente introdotti dall’Amministrazione Provinciale di Forlì-Cesena e già adottati anche dal nostro Comune, con il quali si prevede l’introduzione nei bandi pubblici della richiesta di mezzi e tecnologie che favoriscano il risparmio energetico;
* che il 16 Febbraio è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto che impegna anche le amministrazioni locali al rispetto dei vincoli imposti alle emissioni di inquinanti in atmosfera;
* che è da poco stata approvata la Legge Regionale sull’Energia, che agli articoli 4 e 5 prevede gli ambiti di intervento dei Comuni per la riduzione dei consumi energetici;

IMPEGNA LA GIUNTA COMUNALE

* a farsi promotrice, presso le sedi idonee, di iniziative che abbiano lo scopo di incentivare il risparmio energetico all’interno della pubblica amministrazione, nelle aziende locali e nelle abitazioni private, anche sfruttando gli ambiti di intervento previsti dalla Legge Regionale sull’Energia per la riduzione dei consumi energetici;

* a sfruttare l’introduzione e l’uso degli “Acquisti Verdi” per incentivare il risparmio energetico;

* a ridurre sprechi, inefficienze ed usi impropri dell’energia nelle proprie sedi anche attraverso le società private ESCO (Energy Service Company), che realizzano a proprie spese le ristrutturazioni energetiche richiedendo in cambio, per un numero di anni fissato contrattualmente, i risparmi energetici che riescono ad ottenere;

14/03/2005

Il problema della mela: leggende urbane sul fotovoltaico

Ripropongo qui un articolo scritto da Ugo Bardi, presidente di Aspo Italia e docente di Chimica dell’Università di Firenze, che ritengo molto interessante.

IL PROBLEMA DELLA MELA: LEGGENDE URBANE SULL’ENERGIA FOTOVOLTAICA

Di Ugo Bardi – Febbraio 2005
www.aspoitalia.net
bardi@unifi.it

“Se un uomo vuole disperatamente una mela, magari la pagherà 10 Euro, forse 100 Euro, ma non la pagherà mai due mele” (Franco Battaglia)

Ci sono interi libri che raccolgono leggende urbane e siti internet che le aggiornano continuamente. Dai coccodrilli nelle fogne di New York allle cure miracolose contro l’impotenza, la credulità umana sembra aver bisogno solo di un piccolo incoraggiamento per poi lanciarsi nell’infinito della fantasia.

Anche nel campo dell’energia, le leggende abbondano. Abbiamo leggende ingenue, come quella diffusa negli Appennini Toscani che vuole che la siccità sia dovuto all’effetto delle eliche degli aerogeneratori che “spingono via le nuvole”. Abbiamo poi leggende piuttosto aggressive, come
quella che vuole che gli alti prezzi del petrolio siano dovuti a un complotto delle compagnie petrolifere che tengono nascosto che il petrolio si riforma continuamente nelle viscere della terra e che le riserve sono, pertanto, infinite.

Per i pannelli fotovoltaici, la leggenda pervicace è quella che ci voglia più energia per costruirli di quanta ne possano ridare nel corso della loro vita attiva. La leggenda prende anche la forma di una domanda: “Chi può indicare una fabbrica di pannelli fotovoltaici che sia azionata da pannelli
fotovoltaici?”

E’ il problema di una mela che costa due mele. Ancora peggio di quanto costava la mela dell’albero del bene e del male al tempo di Adamo ed Eva (notoriamente, un’iradiddio). Se questo fosse il caso del fotovoltaico, tutta la crescità tumultuosa del mercato negli ultimi anni (oltre il 30%
all’anno a livello mondiale), tutte i megawatt installati in Europa, sarebbe tutto un errore, una distorsione del mercato causata dai sussidi statali e dalla follia di un gruppetto di ambientalisti fanatici.

Per fortuna, non è vero. Diciamolo meglio: è una leggenda. Diciamolo ancora meglio: è una bufala lustrata a festa e col fiocco rosso. Vediamo di spiegare perché.

Analizzeremo questa bufala con il metodo dell’encomiabile Paolo Attivissimo , ovvero partendo dall’analisi storica. Le leggende hanno tutte un origine, a volte un fondo di verità. Anche la leggenda del basso ritorno energetico delle celle fotovoltaiche ha un origine che va indietro a un lavoro di Howard T. Odum
“Environmental and Energy Accounting” pubblicato nel 1996, del quale si trova un estratto a http://dieoff.com/pv.htm Odum aveva sviluppato una teoria del rendimento energetico basata sul concetto di “Emergia” (proprio così, con la “m”) che è correlata alla quantità di energia necessaria per fabbricare un certo oggetto. Se il termine emergia è un po’ arcano, le unità di misura utilizzate (“solar emergy-joules”) lo sono ancora di più. Ma non importa le astruserie; si tratta in fin dei conti di sommare tutti i componenti dell’energia necessaria per fabbricare una cella fotovoltaica e poi dividere il risultato per l’energia prodotta dalla cella stessa. Così facendo, Odum trovava una resa totale di 0,48, ovvero che una mela fotovoltaica costava quasi esattamente due mele!

I conti di Odum sono stati rifatti ampiamente negli anni successivi. Pochi utilizzano l’arcano concetto di emergia, preferendo il piu semplice “Ritorno Energetico” (EROEI dalle iniziali del termine in inglese). A parte i dettagli del metodo, i lavori più recenti indicano che la resa energetica
delle celle fotovoltaiche è maggiore di uno, in quasi tutti i casi molto maggiore di uno. Non è qui questione di una contrapposizione fra due opinioni di ugual peso: ci sono letteralmente decine di lavori su riviste scientifiche internazionali tutte in accordo ad affermare la buona resa
energetica del fotovoltaico. Fino a un paio di anni fa, l’accordo era che la resa EROEI era circa sette, ovvero piantando una mela si ottenevano sette mele. Negli ultimi tempi, la resa sembra essere aumentata fino a nove (nove mele per una mela). Certi sviluppi recenti promettono valori anche
più grandi. Non c’è nessuna ragione fisica che impedisca alle celle fotovoltaiche di avere efficienze anche 5 volte superiori a quelle attuali e questo si potrà tradurre nel futuro in aumenti corrispondenti dell’EROEI.

Volendo, già oggi si potrebbe benissimo costruire una fabbrica di pannelli fotovoltaici azionata da pannelli fotovoltaici.

Non sembra che Odum abbia mai ammesso esplicitamente che i suoi calcoli erano diventati obsoleti, ma analizzando il suo lavoro vediamo che ci sono due errori principali: il primo è quello di avere enormemente sopravvalutato i “costi amministrativi” che nel calcolo originale sono veramente uno sproposito: la voce energetica più importante di tutte. Il secondo errore è di avere ampiamente sottovalutato la resa energetica di una cella fotovoltaica. Odum si era basato su dati piuttosto anziani, sembra sulla resa di un pannello installato nel 1991. Da allora, la tecnologia è – ovviamente – molto migliorata.

Sfortunatamente, tutto quello che ha a che fare con l’energia acquisisce in breve un significato emozionale e politico. Le celle fotovoltaiche hanno dei detrattori arrabbiati che proprio non riescono a digerire l’idea che si possa ottenere energia – gratis – dal sole. Per questa ragione, l’internet è impestato di pagine dove i calcoli di Odum sono dati come un “ipse dixit” papale, di valore poco meno assoluto del vangelo. Inoltre, quello che succede è che le stime serie più recenti della resa fotovoltaica sono poco visibile, seppellite nelle riviste scientifiche che non accessibili via internet a chi non ha un abbonamento oppure accesso a una biblioteca universitaria. Questo è uno dei grandi misteri del nostro mondo: il fatto che i lavori fatti da scienziati pagati con i soldi delle tasse del
pubblico non siano liberamente accessibili al pubblico, ma questo è un altro argomento. Comunque, se non avete accesso a questi documenti ma volete in ogni caso prova sicura che quanto detto qui corrisponde a verità, procuratevi l’eccellente libro di Domenico Coiante “Le nuove fonti di
energia rinnovabile” (Franco Angeli, 2004) dove tutte queste cose sono spiegate rigorosamente e in italiano.

Quindi, nessuna preoccupazione: le celle fotovoltaiche sono sistemi efficienti per la trasformazione dell’energia solare in energia elettrica e le possiamo tranquillamente installare senza pensare che stiamo in realtà pagando due mele per una mela. Certo, le celle FV sono ancora più costose
dell’energia che viene dal petrolio e dagli altri fossili. Questo avviene sia per le distorsioni del mercato dovuti agli interventi statali, sia per gli investimenti pregressi fatti sui combustibili fossili.

Con il progresso della tecnologia, tuttavia, i costi del FV sono destinati a scendere e non ci sono dubbi che l’energia fotovoltaica sia una strada da percorrere verso un mondo pulito e sostenibile.

Diritto (di Repressione) d’Autore.

L’informatica e le persone che indirettamente ne fanno uso ricorderanno a lungo la data del 18 Maggio 2004. In Italia ed in Europa questa data potrebbe significare un enorme cambiamento dell’insieme delle norme che regolano il diritto d’autore ed il modo di lavorare nel campo dei calcolatori elettronici.
Nello stesso giorno, coincidenza forse non totalmente casuale, è stato convertito in legge il Decreto Urbani ed è stata approvata una direttiva che introduce i brevetti sul software anche in Europa. Proprio su queste pagine sono state discusse le motivazioni che rendono entrambi i provvedimenti inutili dal punto di vista della riduzione degli illeciti, iniqui nell’applicazione delle sanzioni, semplicemente anacronistici ed insensati se guardati nell’ottica di ridiscutere la proprietà intellettuale tenendo conto dei nuovi mezzi di trasmissione delle informazioni.
Partiamo dalla legge Urbani, che con un colpo di mano dell’ultimo momento introduce sanzioni che arrivano a 4 anni di reclusione.
Queste pene esagerate possono essere la “giusta” sanzione per chi trae profitto dallo scambio illecito di materiale coperto da diritto d’autore, come cd musicali oppure video. Tutti coloro che stanno protestando contro questa legge, e sono tanti, sono assolutamente convinti della necessità di riconoscere agli autori il giusto valore, economico e morale. Quella che viene altrettanto fermamente contestata è invece l’iniquità della pena. Una gran parte dei problemi derivanti direttamente da questa legge è inclusa nella definizione giuridica di “trarre profitto”, apparentemente molto simile al “fine di lucro”. Il profitto è un qualsiasi vantaggio o beneficio intellettuale, ed include per esempio anche l’ascolto di un’opera. Il lucro, viceversa, è un guadagno di natura esclusivamente economica. Quando la legge è stata scritta per la prima volta, includeva solamente il fine di lucro. Per fare un esempio, chi masterizzava cd per la vendita rischiava la galera, ma chi li usava per scopi personali non correva questo rischio (ma solo sanzioni amministrative già previste dalla legge). Con questa piccola modifica, ottenuta semplicemente sostituendo nell’Articolo 1 le parole “a fine di lucro” con “a scopo di trarne profitto”, si cambia totalmente registro. Chiunque abbia una sola canzone non originale, secondo la legge ora rischia 4 anni di galera. Per fare un paragone, chi ruba miliardi evadendo il fisco con il falso in bilancio rischia solamente una multa e nessuna sanzione penale, mentre chi maltratta un bambino o un componente della propria famiglia, chi compie violenza privata e chi scambia una sola canzone su internet senza scopo di lucro (al limite anche senza ascoltarla nemmeno una volta), viene punito alla stessa maniera, con 4 anni di carcere. Semplicemente insensato, come il fatto che a discutere di questa legge, tra le altre personalità di “elevato spessore”che decidono del nostro futuro senza capirlo, ci fosse Gabriella Carlucci.
Come se non bastasse questa brutta notizia, dall’Unione Europea nello stesso giorno giunge notizia dell’introduzione dei brevetti software, che il parlamento europeo aveva già bocciato in una precedente seduta. I rappresentanti italiani in commissione avevano dichiarato di essere contrari, per una lunghissima lista di motivi, ma alla fine si sono astenuti.
Come dire, non è nostra la colpa, non possiamo fare nulla, e di nascosto fare l’occhiolino alle multinazionali americane. Le stesse grosse aziende statunitensi che hanno pagato fior di quattrini per sponsorizzare l’attuale presidenza irlandese (http://www.eu2004.ie/sitetools/sponsorship.asp) che guarda caso si è applicata con straordinario impegno in questa direttiva europea.
In conclusione, vorrei soffermarmi su quella che sembra essere la linea generale dei nostri governi moderni, quelli che amiamo chiamare “democratici”. I cittadini vengono sempre di più sovraccaricati del peso del mantenimento della società e dei lussi di pochi imprenditori, che ottengono questi benefici impedendo loro il libero pensiero, obbligandoli a consumare materiale che a loro non serve, ingozzandoli come maiali da ingrasso di finta cultura non voluta, usa e getta e a buon mercato.
Musica, letteratura, cinematografia che da arte diventa prodotto, e da prodotto diventa un oggetto che non ti è permesso rifiutare. Se qualcuno ha qualcosa in contrario, si paga la stesura di una legge (pare che ora sia a buon mercato) che impedisca ogni tentativo di uscire da questa morsa.
Una battaglia è stata persa, ma la guerra è ancora in atto, grazie anche a politici che si stanno mobilitando contro queste insensatezze, con il senatore Cortiana e l’europarlamentare Cappato in testa.
Da parte nostra, dovremmo iniziare a dire di no partendo dalle piccole cose. I nostri 22 euro, invece che spenderli per il cd di Tiziano Ferro, che si ascolta forse una volta e si butta nel dimenticatoio, dovremmo pagarli al piccolo gruppo che suona su un palco, che mette veramente sudore, passione ed intenso lavoro. Che rischia di andare in galera se non paga il suo tributo alla SIAE per ottenere diritti che non arriveranno mai, e che rimane l’unico vero motivo per il quale possiamo ancora considerare la musica un’arte che possa servire all’umanità.
Una, dieci, cento leggi di questo tipo non aumenteranno il nostro consumo di cd musicali, al contrario rischiano di produrre un rigetto simile a quello provato per la carne dai vegetariani.

Di chi sono le idee?

Nei mesi scorsi si è molto discusso sui problemi di proprietà intellettuale, di come essa vada tutelata dalle leggi, di come realizzare un giusto equilibrio che permetta ai cittadini di rispettarle e trarne giovamento. La comunità europea si è quindi messa al lavoro sulla regolamentazione dei brevetti, con particolare attenzione a quelli riguardanti il software, una delle poche parti non brevettabili secondo le leggi vigenti. Il motivo di questo improvviso interesse si può ricercare nella continua pressione di grosse multinazionali americane, che vogliono creare una uniformità di trattamento tra l’Europa e gli Stati Uniti. Negli States, infatti, è possibile brevettare il software, mentre in Europa è stato espressamente vietato dalla convenzione di Monaco del ’73, e c’è stata una forte attività di lobbying per cercare di espandere questa possibilità anche nel vecchio continente.

Questa decisione porta considerazioni economiche, culturali, politiche ed etiche, ed una trattazione seria di tutto l’argomento richiederebbe una letteratura molto più vasta di un solo articolo, per questo motivo mi limiterò a dare un mio giudizio sulle questioni etiche che stanno alla base del problema dei brevetti sul software, perché lo ritengo particolarmente interessante.

Il software altro non è che l’applicazione pratica di algoritmi e metodi matematici. Partire da un’idea diversa è sbagliato, e potrebbe trarci in inganno. Tutto quello che vediamo, dai programmi di videoscrittura ai programmi per la navigazione, sono dirette o indirette applicazioni di algoritmi matematici e paradigmi di statistica e matematica discreta. A volte lo sono indirettamente, quando il programmatore non ha realizzato l’opera utilizzando formule ed espressioni matematiche, ma in questo caso il suo lavoro poggia su quello di altri, che hanno creato le basi per facilitare il suo compito. Tutto questo è necessario per capire il motivo per il quale non è possibile brevettare il software, ma solamente proteggerlo con il copyright.

I brevetti servono per proteggere le innovazioni tecniche, dove per innovazione viene inteso un miglioramento dello stato dell’arte di un settore finalizzato alla produzione. Se invento un modo per produrre energia dall’acqua, posso proteggerla tramite un brevetto. I brevetti sul software, così come sono intesi in America, sono invece brevetti sulle idee. Un esempio può essere l’idea di barra di scorrimento, quella che utilizziamo per vedere le pagine successive di un documento, oppure l’idea di utilizzare un pulsante che richiami una funzione. Dietro questo tipo di idee non c’è una innovazione che porti alla produzione, soprattutto quando quello che si vorrebbe brevettare riguarda unicamente l’interfaccia con la quale gestiamo alcune delle caratteristiche dei computer.

Molte associazioni, tra le quali anche il Forlì Linux User Group, hanno protestato con tutti i mezzi a loro disposizione contro l’introduzione dei brevetti sul software, non con l’obiettivo di liberalizzare la copia dei programmi, già protetta ad hoc dal Copyright, ma con la viva preoccupazione che si potessero brevettare anche nel nostro paese le idee alla base dell’utilizzo dell’informatica.

Sembrerebbe folle il solo pensiero di brevettare l’idea di un volante per automobili, cosa che impedirebbe ai cittadini di cambiare automobile nel corso degli anni, ma gli analoghi riferimenti nel campo dell’informatica, forse perché ancora lontani dalla cultura popolare, non destano altrettanta preoccupazione.

E’ difficile esprimere un giudizio su chi sia il proprietario di un’idea, e se questa “proprietà” vada tutelata per incentivare l’innovazione. In America i brevetti sul software non hanno funzionato, incentivando direttamente la nascita di monopoli settoriali, a causa delle enormi spese giuridiche alle quali sono continuamente sottoposte le ditte produttrici di software (con una media di 500’000 dollari a causa, per essere precisi).

Le idee sono il frutto di un’opera collettiva, nascono e si riproducono grazie allo scambio di informazioni e all’interazione di idee diverse, che ne procreano altre che saranno alla base delle prossime. Il teorema di Pitagora non è mai stato brevettato, ma non si può dire che la diffusione di questa idea non abbia portato innovazione. Per questo l’impossibilità del libero scambio delle idee non funziona come incentivo alla loro produzione, e quasi sempre accade l’esatto contrario, che queste derivino direttamente dalla possibilità di comunicazione.

Questo è chiaro anche ai legislatori americani, che ora stanno rivalutando il problema, ma che in passato probabilmente hanno pensato più agli interessi di pochi grandi, piuttosto che al bene dei cittadini che dovevano amministrare. In Europa continuiamo a resistere alla tentazione delle grandi multinazionali, impedendo la regolarizzazione dei brevetti software, speriamo che in futuro i cittadini prendano più coscienza e si rendano conto del rischio che corrono quando ignorano questi problemi.

Il rischio di perdere la proprietà e la paternità delle proprie idee.

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